Luigi Sandri

Referendum: come se in Italia esistesse la Chiesa cattolica

Da Adista n. 44/2005       

 

Tra i molti aspetti in qualche modo connessi con l'imminente referendum, con i suoi quattro quesiti sulla legge 40/2004 per la procreazione medicalmente assistita (Pma), ve n'è uno praticamente ignorato dai mass-media: il dialogo ecumenico.

Ma "c'azzecca", l'ecumenismo, con questi referendum? Ci pare di sì, perché non è un'esclusiva della Conferenza episcopale italiana guidata dal card. Camillo Ruini un'articolata riflessione sui temi etici e teologici, oltre che sociali e giuridici, legati alla Pma. Interessa da vicino ogni Chiesa (e anche ogni religione; ma qui ci limitiamo a considerare il campo cristiano), ciascuna pensosa sul "che fare" per servire al meglio l'umanità.

Il 13 dicembre 2003, all'indomani dell'approvazione, da parte del Senato, della legge in questione, poi definitivamente approvata dalla Camera nel febbraio successivo, la Commissione per la bioetica della Tavola valdese aveva affermato che questa legge impone una serie di proibizioni "in nome di astratte ispirazioni ideologiche e religiose" quando, invece, "uno Stato laico e pluralista non può farsi paladino di una concezione etico-religiosa della vita e del concepimento in contrapposizione ad altre".

Il punto di vista della gerarchia cattolica italiana su quella legge fu, ed è, diametralmente diverso. Esso è ben noto e, in questa sede, non vogliamo addentrarci in una sua analisi dettagliata, come non lo facciamo per il punto di vista valdo-metodista. Qui ci interessa il metodo, più che il merito. Dunque, sostenendo che la 40/2004 non era affatto una legge "cattolica", ma tuttavia un "minor male" accettabile perché salvaguardava alcuni capisaldi dell'etica cattolica, all'avvicinarsi del referendum, il card. Ruini, il Consiglio permanente e poi l'intera Cei, hanno invitato i cattolici - anzi, i cittadini - all'astensione, per far fallire, con la mancanza del quorum, il referendum.

Sullo sfondo di tale presa di posizione della Cei stanno nodi cruciali. La gerarchia della Chiesa cattolica italiana si ritiene l'unica interprete della "legge naturale" e di che cosa sia bene per l'umanità. Secondo i vescovi, dalla fede nel Dio di Gesù Cristo e dalla fedeltà all'Evangelo il cristiano coerente avrebbe, nel caso in questione, una sola ed unica scelta possibile: disertare le urne.

Le Chiese valdesi e metodiste non hanno una "gerarchia" nel senso cattolico del termine; e, perciò, anche la citata Commissione poteva solo offrire idee e consigli, lasciando ad ogni credente la piena libertà di scegliere secondo la propria scienza e coscienza, ed evitando di dare pagelle a chi votasse in un modo o in un altro, o si astenesse.

D'altronde, la Cei ha ribadito che la sua pressione per l'astensione al referendum non aveva mire egemoniche, o voglia di rivincita per le pesanti sconfitte subìte nei referendum sulla legge del divorzio (1974) e dell'aborto (1981). L'intenzione dichiarata era solo quella di "illuminare" la gente sulla gravità dei problemi sul tappeto perché poi decidesse "bene".

Se questo è vero, sarebbe stato "naturale" che, sui temi-chiave dei referendum, la Cei avesse favorito tavole rotonde, anche sul quotidiano da essa controllato, trasmissioni nelle tv e nei programmi alle sue dipendenze, o anche alla Rai (forse che, consigliato amichevolmente da Ruini, l'amabile Vespa non avrebbe fatto sul tema dieci puntate di Porta a porta?), con teologi, teologhe ed esperti cattolici da una parte, e valdo-metodisti (e di altre Chiese, naturalmente, e poi di altre religioni) dall'altra. Sarebbe stato, questo, un servizio preziosissimo per la causa che si afferma di voler difendere: convincere la gente della bontà delle proprie ragioni "in difesa della vita". Proprio in tête-à-tête televisivi (o… su stampa) con gli "altri", la Cei, attraverso i suoi uomini, avrebbe potuto dimostrare, in modo lampante, l'infondatezza delle "suggestioni" valdo-metodiste, anzi, la loro estraneità alla fede cristiana. E, constatando la debolezza delle tesi dei "protestanti", magari si sarebbero convertiti quei cattolici che avevano giudicato un insopportabile diktat il pressante invito della Cei all'astensione e, dalla decisione di andare ai seggi (e, Dio non voglia, votare anche dei SI'), pentìti e rassicurati sarebbero invece passati alla scelta dell'astensione.

Così, in una Chiesa "normale", avrebbe agito la Cei. Ma non è accaduto nella Chiesa cattolica italiana, forse perché questa, da troppi anni, è "normalizzata". E gelosissima del suo privilegio - ribattuto ogni momento anche dai "laici" - che essa è la Chiesa. Altre non ce ne sono, in Italia, a "difendere la vita" e a "discernere" la verità. La gente non deve assolutamente vedere, in un cavalleresco "duello" teologico, che vi sono diverse Chiese, e che è assai differente, spesso, il loro modo di rapportare le parole dell'Evangelo con l'etica e poi con le leggi di uno Stato laico e pluralista. Quale Chiesa, allora, sarebbe la più convincente?

Eppure, l'auspicato confronto sicuramente avrebbe arricchito gli uni e gli altri, e fatto riflettere gli uni e gli altri, mettendo forse in crisi antiche certezze degli uni e degli altri. E, soprattutto, avrebbe fatto pensare, molto pensare, la gente. L'avrebbe "illuminata". Ma una Cei protesa a dimostrare il peso della sua "presenza" nel Paese, poteva forse attardarsi nei lacci del dialogo ecumenico?

Il 29 maggio, a Bari, il papa ha ripetuto il suo impegno ecumenico; l'indomani ha lodato i vescovi italiani "impegnati a illuminare e motivare le scelte dei cattolici e di tutti i cittadini" sugli imminenti referendum. Nessun cenno al dialogo ecumenico sulle risposte ai problemi etici, quelle che più di ogni altra toccano la vita della gente e che, certo, essendo diverse, più di ogni altra dimostrano quanto le Chiese siano lacerate. Per fortuna, con la Dominus Iesus nel 2000 il card. Ratzinger fece chiarezza, affermando che, quelle legate alla Riforma, "non sono Chiese in senso proprio". Questo sì che è parlar chiaro.

 

* giornalista