Luigi Sandri 

La via regale per risolvere il problema del pluralismo teologico

da Adista n.34/2005

 

La questione del pluralismo - teologico e pastorale - all'interno della Chiesa cattolica romana è di scottante attualità dopo che il card. Joseph Ratzinger, per 24 anni prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, è stato eletto Benedetto XVI. Senza voler sciogliere qui i nodi cruciali connessi con tale problematica, vorrei sfiorarla partendo da un fatterello quasi insignificante; e tuttavia - così mi sembra - a suo modo illuminante e istruttivo.

Il 25 aprile notai sul tavolo della sala-stampa vaticana (là ove si incontrano i giornalisti accreditati) una pila di copie de Il Settimanale di Padre Pio. Il numero, datato 1-8 maggio, aveva in copertina una bella foto del nuovo papa e, all'interno, articoli quasi tutti dedicati a lui e al recente conclave. La pubblicazione - proveniente da Castelpetroso (Isernia), "Con approvazione ecclesiastica", e giunta al quarto anno di vita - così presenta se stessa: "Rivista settimanale di formazione e di informazione cattolica dei Francescani dell'Immacolata".

Non so se chi mise quel pacchetto sul tavolo della sala-stampa (dove arrivano solo riviste cattoliche-doc) avesse il consenso delle autorità della stessa, oppure se vi fu posto da una "mano amica". Ne presi comunque una copia e, più tardi, lessi l'articolo su "Le quattro note della Chiesa", ripreso dal IV volume degli Scritti di Padre Pio, pp. 1067-1074, edizione 1994. E strabuzzai gli occhi. Cito: "Lutero, Calvino e compagnia bella [furono] pieni di superbia, zeppi di vizi fino agli occhi, i quali si divisero dalla Chiesa per assecondare le loro malvagie passioni dalle quali erano dominati… La dottrina che queste sette [protestanti] insegnano è empia e immorale". Ribadendo che solo quella romana è "la vera Chiesa", padre Pio sostiene poi: "Il protestantesimo ci potrà mostrare delle buone madri di famiglia virtuose secondo il mondo, ma non ci potrà mai mostrare una suora ed una figlia della carità, che negli ospedali affronti il tifo, il colera… In una parola, i protestanti mai hanno potuto finora mostrarci almeno una persona di una santità tutta pratica, tutta sacrificata al bene degli infelici".

Padre Pio è morto nel 1968: dunque aveva vissuto l'epoca di Giovanni XXIII e del Vaticano II. Non sono esperto sulla vita del frate taumaturgo di San Giovanni Rotondo; perciò ignoro se le parole citate siano state scritte prima o dopo il Concilio. Se lo scritto - come, a occhio, parrebbe probabile - risale agli anni Trenta/Quaranta, la meraviglia è assai contenuta: il buon frate afferma quanto, allora, era moneta corrente nella massa dei cattolici - preti, vescovi e papi compresi. Però mi chiedo: non è gravissimo che francescani devoti, ma sprovveduti, pubblichino scritti del "santo" risalenti a decenni prima del Concilio, senza riportare, se ci sono stati, i cambiamenti di opinione compiuti dal famoso frate; e senza comunque avvertire i lettori che le tesi di padre Pio erano appunto "precedenti" il Vaticano II, e che oggi esse confliggono frontalmente con la "dottrina" dei pontefici? È imbrogliando - perché di autentico imbroglio pastorale si tratta - che Il Settimanale "forma" cattolicamente i suoi lettori?

Che se poi gli scritti citati risalissero agli anni 1958-68, sarebbe inaudito che un frate cappuccino fosse stato beatificato (1999) e poi canonizzato (2002) da papa Wojtyla malgrado egli scrivesse e predicasse in modo totalmente contrario al Vaticano II, e su un punto dirimente, l'ecumenismo. O forse il buon frate era esentato dall'obbedienza al Concilio richiesta a tutti i cattolici?

Ma se anche lo scritto riportato risalisse, come voglio sperare, agli anni preconciliari, alcune domande urgono. Padre Pio mutò poi opinione? La fece conoscere? Oppure, sistemati Lutero e Calvino come abbiamo visto, poi non si occupò più del problema? Se fu così, sarebbe lecita, in un "santo", una tale dimenticanza su un tema così importante?

È inevitabile rivolgere questi interrogativi agli zelanti e (immagino) simpatici Francescani dell'Immacolata che curano Il Settimanale. Cercando di sapere qualcosa di più del loro Istituto, ho appreso che esso è stato fondato nel 1965: proprio l'anno della chiusura del Vaticano II! Sono forse nati, tali Francescani - approvati ufficialmente da Giovanni Paolo II nel 1998 - per dare una mano, sotto sotto, a mons. Marcel Lefebvre, il grande nemico teologico del Concilio? Oppure il gruppetto "in missione" a Castelpetroso è del tutto estraneo alla spiritualità dell'Istituto?

Lungi da me chiedere di far tacere i buoni Francescani dell'Immacolata molisani. Cordiale è, a loro, l'augurio: "Crescete e moltiplicatevi". La domanda, piuttosto, è un'altra: perché una Chiesa che nulla ha da dire contro i francescani della provincia di Isernia che apertamente sabotano - sotto il manto protettivo di san padre Pio - il Vaticano II, ha invece tanto da dire, e da punire, contro persone (da Charles Curran a Leonardo Boff, da Ivone Gebara a Tissa Balasuriya, da Roger Haight a Franco Barbero) che hanno sostenuto idee le cui radici, a loro giudizio, nascono dal Concilio? Sbagliano, forse, tali teologhe e teologi? Può anche essere: ma perché non lasciare al dibattito teologico - sempre serrato e ribollente - il compito di mettere in evidenza luci e ombre delle varie opere, sapendo che le tesi errate infine cadono da sole sotto il peso delle ponderate obiezioni di chi le contesta?

Diciamo la verità: una Chiesa che vede con simpatia Il Settimanale di Padre Pio (tra parentesi: il numero citato ricorda che il frate ringraziò Paolo VI per l'enciclica Humanae vitae "scritta dal papa contro la piaga della contraccezione che padre Pio definiva un "omicidio anticipato") dovrebbe pure vedere con magnanimità, e dare la sua "approvazione ecclesiastica", alle opere di Haight, di Boff e di tutti gli altri inquisiti. Non sarebbe, questo, un sano pluralismo? O le autorità ecclesiastiche ritengono corretto usare una pazienza inesausta per i "conservatori", e invece calare implacabilmente la spada sui "progressisti"?

La piccolissima vicenda de Il Settimanale di Padre Pio - con la straordinaria indulgenza dimostrata dalle autorità ecclesiastiche verso i buoni Francescani negatori del Concilio - forse potrebbe suggerire a Benedetto XVI, ove ne venisse a conoscenza, la via regale per risolvere, almeno in parte, il problema del pluralismo teologico nella Chiesa romana: estendere la benignità usata verso i reverendi padri di Castelpetroso anche ai teologi di frontiera che, invece, a suo tempo, il cardinal Ratzinger bloccò d'imperio.