Marcello Vigli  

Il nuovo papa tra la prima omelia di Benedetto XVI e l’ultima del cardinale Ratzinger

Da www.italialaica.it

 

I cattolici impegnati a soddisfare bisogni, ad affermare diritti e a costruire la pace nella giustizia in tutti i paesi del pianeta globalizzato, non si lasceranno coinvolgere nella crociata contro la “dittatura del relativismo” che presumibilmente Benedetto XVI si appresta a bandire rompendo definitivamente la pace con la modernità siglata dalla Chiesa nel Concilio Vaticano II. Continueranno, col loro impegno, a testimoniare che Gesù non è venuto per essere Grande tra i Grandi, ma per farsi piccolo tra i piccoli, povero tra i poveri, limitandosi a sperare che l’assunzione del ruolo induca il nuovo papa a temperare l’intransigenza nella difesa della dottrina tradizionale  con la disponibilità ad un allentamento del centralismo curiale e ad un’apertura alla collegialità. La scelta del nome lo lascerebbe intendere. Benedetto XV fu chiamato a gestire la disastrosa frattura nella chiesa provocata dalla crociata antimodernista, voluta da quel Pio X canonizzato da papa Wojtyla, e ne uscì decentemente.

Non potranno restarne fuori gli intellettuali e politici, cattolici e non, che si sono lasciati coinvolgere nel circo mediatico sorto intorno alla morte di papa Wojtyla, alla preparazione e allo svolgimento del conclave, e che, dopo l’elezione di Joseph Ratzinger, sono impegnati a scrutarne le mosse e a rileggere libri e discorsi per individuarne orientamenti e strategie. Un esercizio difficile e deviante, che li distrae dal compito, ben più urgente, di porsi l’interrogativo su che cosa colloca il papa Grande tra i Grandi della terra. Su questo ruolo bisognerebbe impegnarsi a riflettere. Scoprirebbero che le migliaia di giovani di tutto il mondo mobilitati dai Legionari di Cristo, dall’Opus Dei, da Comunione e Liberazione, e le folle organizzate dalle parrocchie italiane e polacche che hanno invaso piazza San Pietro sono diventate per l’Italia un evento politico grazie alle dirette televisive magari a reti unificate e alle “coperture” giornalistiche a cui nessuna testata ha saputo sottrarsi. Loro si limitano a invocarlo santo e grande, ma chi fa Grande il papa sono gli altri Grandi che lo cooptano nel Palazzo riconoscendolo soggetto politico per giovarsene come alleato. Lo riconoscono ideologo dell’occidente cristiano o, più modestamente, nel nostro paese lo accettano e lo subiscono come referente, attraverso il suo vicario cardinale Ruini, di quelle forze di destra e di sinistra pronte a negoziare il sostegno elettorale delle gerarchie ecclesiastiche a spese della laicità delle pubbliche istituzioni. Dalla rincorsa ad accaparrarsi tale sostegno deriva un grave inquinamento della dialettica democratica: una conferma che la battaglia per laicità è la battaglia per la democrazia. Forse da intellettuali e politici della sinistra ci si dovrebbe attendere minore attenzione alle dinamiche vaticane, se ne neutralizzarebbe l’effetto mediatico, e più impegno nella preparazione alla battaglia referendaria sulla legge 40.

Roma 19 aprile 2005