Le Comunità di base devono "strutturarsi"?

Confronti, N° 3 - Marzo 2008

 

La desacralizzazione liberante

La desacralizzazione delle culture, dei poteri, dei riti e della esistenza individuale e sociale non è un’invenzione della società secolare. E’ un bisogno radicato nel profondo e un’esperienza che forse attraversa tutti secoli.

Il mito biblico di Eva e il mito greco di Pandora alludono ambedue a una visione dell’esistenza umana come cammino di desacralizzazione, tragico e insieme però liberante. Eva che mangia il frutto della consapevolezza e Pandora che apre lo scrigno del senso dell’esistenza lo fanno desacralizzando l’onnipotenza divina e sfidando i suoi sacri divieti. Da lì prende senso l’evoluzione culturale umana. I miti antichi sono utopie in senso proprio, senza luogo e senza tempo. Somigliano in qualche modo alle cellule staminali: generati ai primordi dell’umanità, restano sempre giovani e sempre generativi. Sono l’espressione di un essere umano allo stato germinale prima che la civilizzazione lo avesse modellato e forse almeno in parte alienato. Debitamente interpretati, sono quindi importanti per una ricerca sui fondamenti della nostra esistenza e sul cammino della liberazione dalle alienazioni.

Quel bisogno e quell’esperienza di desacralizzazione liberante caratterizzano molti movimenti di trasformazione profonda che si sono succeduti nella storia fino ad oggi. Caratterizzano certamente il movimento di Gesù e, con un salto temporale ma non morale, le stesse comunità di base.

Ogni giorno che passa scopro sempre nuovi segni di una profonda affinità fra quello che viene individuato come “movimento di Gesù” e l’esperienza delle comunità di base.

La vita delle comunità di base si è sviluppata prendendo ispirazione da letture bibliche in cui il senso della desacralizzazione è molto chiaro.

Come ad esempio il seguente passo di Matteo: “Se aveste compreso che cosa significa: Misericordia io voglio e non sacrificio, non avreste condannato individui senza colpa. Perché il figlio dell’umanità è signore del sabato”.

Attraverso la forma di racconti e detti relativi ai profeti o a Gesù, chi ha scritto i passi biblici della desacralizzazione parla in realtà di sé e dell’area di comunità di cui egli era parte. Di fronte alla sacralità alienante di regole e riti sia ebraici sia pagani essi si sentono liberi dalla cultura sacrificale e “signori del sabato”. Non sono contro le regole e contro i riti, ma contro la loro sacralità, il loro assolutismo, la loro lontananza dalla realtà della vita.

L’esperienza di vita delle comunità di base così radicata nel profetismo biblico non è affatto isolata.

Ad esempio, nello scorso mese di settembre i Padri Domenicani della Provincia olandese dell’Ordine, dopo mesi di studio, preghiera e meditazione, resero pubblico, inviandolo a tutte le parrocchie d’Olanda, un documento dal titolo Kerk en Ambt (Chiesa e Mistero) che rivendicava per ogni comunità cristiana il diritto di scegliere una o più persone tra i suoi membri, “non fa differenza se sono uomini o donne, omosessuali o eterosessuali, sposati o single” per svolgere un ministero ma non in forma esclusiva. L’eucarestia “non è una prerogativa o un potere esclusivo del prete, ma la consapevole espressione della fede da parte dell’intera comunità”.

La notizia provocò scandalo in Vaticano soprattutto per il fatto che l’iniziativa della elaborazione del documento e della sua diffusione avveniva con l’approvazione del Padre Provinciale dell’Ordine in Olanda P.Ben Vocking.

Per questo il Vaticano chiese alla Conferenza Episcopale Olandese e ottenne la pubblica sconfessione del documento “in contrasto con la fede cattolica”.

Lo stato di necessità per la carenza di sacerdoti è stato quasi sempre l’argomento base sul quale teologi e pastoralisti hanno appoggiato le loro argomentazione biblico-teologiche e storiche. Ma è stato il grande teologo, ora scomparso, Bernard Häring a spostare l’ottica limitata dell’emergenza e a mettere in discussione il modello di sacerdozio prosperato nella Chiesa cattolica lungo i secoli. “La Chiesa dei primi tre secoli -ha detto Häring- non conosceva né il termine clero, né la struttura ad esso corrispondente.” Fu la Chiesa costantiniana che costituì la gerarchia e l’autorità santa, con la conseguente divisione dei credenti in due stati, clero e laicato, ordinati e popolo. La gerarchia pretese per sé la guida delle comunità e soprattutto l’ambito liturgico. Ai laici furono affidati ruoli di servizio e fu imposta l’obbedienza e la sottomissione della coscienza attraverso la confessione del peccati. Tutto ciò in palese contrasto con quanto avveniva nei primi duecento anni di cristianesimo. Né, prima del quinto secolo esisteva alcun sacramento dell’ordinazione sacerdotale, che di fatto non ha alcun fondamento biblico o dogmatico (cfr. Giovanni Avena di ADISTA sul sito www.cdbitalia.it).

La prassi di laicità e di desacralizzazione delle comunità di base non è univoca né definita una volta pertutte. E’ plurale, crea sempre dei problemi e comunque ha bisogno di essere continuamente rinnovata e adeguata ai bisogni emergenti.

Per questo nei giorni 8 e 9 dicembre del 2007 si è svolto, a Tirrenia, il collegamento nazionale delle Cdb in forma seminariale sul tema "Fare comunità. Ministeri/servizi: quali? come esercitarli?”.

Sul bisogno di “fare comunità” mi sembra che i partecipanti al seminario abbiano espresso un comune sentire. L’individualismo esasperato che ci domina alimenta per contraddizione un grande bisogno di comunitarietà oltre i confini.

Purtroppo però scarseggiano luoghi dove l’individuo possa uscire dal proprio isolamento e crescere e arricchirsi e liberarsi insieme agli altri/e in tutte le dimensioni della esistenza e in una rete di rapporti tendenzialmente alla pari. Abbondano è vero i luoghi dell’affollamento dove si possono soddisfare i bisogni propri dell’individuo nella società di massa: protezione, rassicurazione, stordimento, consumo compreso il consumo del sacro, delega, affidamento infantile all’abbraccio materno/paterno del guru, del maestro di spiritualità, del medico dell’anima e di quello del corpo. Per mia esperienza anche molta di quella realtà che nel seminario stesso è stata chiamata “chiesa di base” appartiene a una tale configurazione. Nessuno scandalo, per carità. Se si tratta di una dimensione di passaggio verso un “oltre” la sequela del guru può essere e forse deve essere valorizzata. Devo dire però che la “comunità di base” si caratterizza proprio per una sua particolare proiezione verso un tale “oltre”.

E qui si è innestato il tema dei ministeri/servizi. Le comunità di base sono forse orientate a stabilizzarsi dandosi una struttura capace di attrarre, di offrire segni di appartenenza, addirittura dotandosi di “nuovi ministeri ordinati e consacrati democraticamente”? A me è sembrato che pochi si siano dimostrati attratti da una simile prospettiva. C’è stato dibattito. Molti però alla dimensione della stabilità preferiscono la dimensione della precarietà, dell’aderenza ai bisogni profondi dell’oggi, del fermento che si nasconde e si mescola nella massa della farina e la fa lievitare tutta, del chicco di grano caduto in terra che deve morire per portare frutto.

 

Enzo Mazzi

 

 

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