XXXI INCONTRO NAZIONALE DELLE CDB

Castel San Pietro Terme (BO)

“SOCIETÀ SOBRIA, EQUA E SOLIDALE”

CULTURE E PRATICHE DAL BASSO

 

STORIE ED ESPERIENZE... DI "RIFIUTI" CHE DIVENTANO "RISORSE"

Tenda della Pace – Caserta

 

CRONOLOGIA E SVILUPPO DELLA TENDA DELLA PACE

Giugno 2003: La storia della Tenda della Pace inizia con l’operazione ad alto impatto decretata dall’allora ministro dell’Interno Pisanu. I missionari comboniani presenti a Castel Volturno decidono di incatenarsi ad una finestra della prefettura per protestare contro l’azione indiscriminata della polizia ai danni della comunità di immigrati africani presenti sul litorale domizio. I missionari trovano subito solidarietà nel vescovo di Caserta Raffaele Nogaro e in due comunità religiose, le suore orsoline di casa Rut e i padri Sacramentini, arrivati in città da pochi mesi. Anchein molti laici quest’azione così dirompente suscita vivo interesse e sostegno umano. Per tutto il mese di giugno si susseguono diversi incontri sotto un gazebo allestito all’indomani dello “scatenamento” forzato dei religiosi: messe celebrate all’aperto, solidarietà da parte di altre comunità religiose, documenti redatti e fatti recapitare alle autorità competenti. Tutto un fermento di energia che fa incontrare tante persone di Caserta ma che, soprattutto, ha fa maturare la possibilità di nuovi percorsi di giustizia, di pace, di solidarietà verso i fratelli migranti.

Da quest’esperienza iniziale è nato un percorso di riflessione e di azione. Due comunità religiose, casa Rut, già impegnata per l’integrazione di ragazze immigrate vittime della prostituzione e della violenza, casa Zaccheo dei padri sacramentini e alcuni laici si sono coagulate per tentare di rendere visibile il vangelo attraverso gesti concreti in favore dei fratelli e delle sorelle migranti. A novembre dello stesso anno, durante la Giornata del Migrante si decide di porre, all’entrata della Cattedrale, un enorme gommone, segno-provocazione in ricordo delle tante vittime degli sbarchi dei clandestini.

Gennaio 2004: viaggio delle mille speranze. Mille richiedenti asilo, residenti nel casertano, sono accompagnati a Roma ad una manifestazione antirazzista. Partecipano all’Angelus del Papa e, dopo due giorni di “resistenza”, strappano ai rappresentanti del governo la possibilità che la loro condizione venga presa in esame. A maggio dello stesso anno nasce l’idea di una Tenda itinerante, la Tenda della Pace, segno visibile dell’impegno non solo a parlare di pace ma a riflettere insieme e sperimentare gesti e stili conformi al grande valore a cui crediamo, che scandisce il suo itinerario nelle principali piazze di Caserta, portando attraverso il contributo di tutti, e in particolare del vescovo Nogaro,il suo messaggio.

2005: Da questo momento in poi la Tenda della Pace comincia a prendere corpo come laboratorio aperto e casa di preghiera, cui fa eco il ritornello di un canto che si rifà a Isaia 54, 2: “Allarga lo spazio della tua tenda, c’è un posto per tutti, per chi sa ascoltare”.

2006: La Tenda allarga il suo spazio a laboratori di approfondimento sui temi della Pace e dei Diritti Umani alla luce della lettura e meditazione del Vangelo, con una molteplicità di testimonianze. La Tenda della Pace pur continuando la sua azione di sensibilizzazione sull’integrazione dei migranti si apre all’ascolto dei problemi della città, con particolare riferimento ai temi ambientali del verde pubblico e dei rifiuti. Questa rinnovata sensibilità nasce dall’impegno di attualizzare il Vangelo nella vita quotidiana in un momento abbastanza buio della vita della collettività, visto l’emergere di un degrado chiaro nell’ambito civile e politico.

2007: l’impegno si sposta all’azione di testimonianza concreta sull’emergenza del Macrico, area dismessa dall’esercito di proprietà dell’Istituto Sostentamento Clero della diocesi, sul quale era in atto una speculazione come area edificabile.

2008: Dalla Tenda della Pace e da altre forze della città nasce il Comitato “Città Viva” che, perfar fronte all’emergenza rifiuti, promuove e gestisce direttamente, avendo sede nella parrocchia N.S. di Lourdes, la raccolta differenziata.

 

L’ESPERIENZA DI RACCOLTA DIFFERENZIATA DEI RIFIUTI

Negli ultimi cinquant’anni, il mondo occidentale ha utilizzato tre diverse definizioni per rappresentare la fase storica inaugurata dal secondo dopoguerra: “società del benessere, società dei consumi, società dei rifiuti”, evolutesi di pari passo con il progresso tecnologico, l’aumento della produttività e il graduale dipanarsi delle sue conseguenze negative. Quella che tutti conosciamo come “emergenza rifiuti” ci fa toccare con mano gli effetti perversi di un intero sistema di produzione, squilibrato perché finalizzato ad una crescita quantitativa, utopicamente infinita, e incurante sia dei vincoli ecologici, quali la disponibilità limitata di materie prime ed energia, sia della massa sempre crescente di sostanze inquinanti e di rifiuto che va a saturare la tollerabilità limitata dell’ambiente.

Tutto ciò, in contrasto con quanto avviene normalmente in natura, dove i processi sono di norma circolari: tutto ciò che è eliminato da un organismo viene riutilizzato da altri organismi. L’uomo, purtroppo, ha reso questi processi lineari: alla fine dell’utilizzazione di una risorsa, troviamo scorie inutilizzabili, inquinanti, che provocano gravi danni all’ambiente e a tutti i viventi.

Nella Bibbia si parla di benessere “Le sue vie sono vie deliziose e tutti i suoi sentieri conducono al benessere” (Pro 3,17), un concetto forse molto diverso da quello che si ha in mente al giorno d’oggi.

Nella “società del benessere” abbiamo sperimentato che tirare al limite la corda della "produttività" è la strada maestra per vivere tutti peggio: la corsa alla “quantità” nell’economia, nei consumi, si è trasformato in uno stile di vita bulimico, per cui il “benessere” si è tramutato in uno stato di costante e profondo malessere a causa dell’affanno psicologico che pervade la nostra vita quotidiana. Come affermava anche Giovanni Paolo II, la crisi che stiamo vivendo non è solo ecologica, ma anche morale e spirituale. E una crisi morale si affronta con una conversione, cioè con un cambiamento di prospettiva, di atteggiamenti e di comportamenti.

Ma il dato più inquietante è che nel periodo 2003-2006, mentre i consumi complessivi sono aumentati del 2,9% i rifiuti sono cresciuti dell’8,3%, (dati del Presidente dell’Apat Giancarlo Viglione a margine della presentazione del Rapporto rifiuti 2007). Se ci domandiamo da cosa dipenda questo "disallineamento" fra consumi e rifiuti, viene spontaneo pensare agli imballaggi.La società dei consumi è anche la società delle scatole, delle vaschette, delle bottiglie di plastica, delle lattine e dei cartoni, che sicuramente proteggono e impreziosiscono commercialmente i prodotti, ma che pure contribuiscono, e in misura piuttosto cospicua, a riempire i nostri già traboccanti sacchetti della spazzatura. Nella puntata di Report, la trasmissione di Rai 3, del 12 aprile questo aspetto è stato messo in evidenza molto bene: per alcuni prodotti l’involucro costa più del contenuto, come se quest’ultimo fosse il pretesto per vendere il contenitore. Visto che nei processi di produzione e uso delle merci, il peso dei rifiuti è superiore a quello delle merci prodotte e utilizzate, è molto semplice capire come mai non ci siano più posti per accumulare i nostri rifiuti. La società pensa che sia possibile buttare via tutto: in realtà, non si butta via nulla, in quanto il rifiuto può solo allontanato dalla vista, quando ciò è possibile! (Vedi metafora della città di Leonia!) Ma può accadere che “più ne cresce l’altezza (dei rifiuti), più incombe il pericolo delle frane: basta che un barattolo, un vecchio pneumatico, un fiasco spagliato rotoli dalla parte di Leonia e una valanga di scarpe spaiate, calendari d’anni trascorsi, fiori secchi sommergerà la città nel proprio passato che invano tentava di respingere”.

In Campania, a un certo punto non ci sono stati più spazi disponibili per “occultare” i rifiuti e questi hanno invaso le città, con il loro odore nauseabondo e la loro sconcezza. Il problema dei rifiuti in Campania è solo la punta dell’iceberg di un problema più generale che riguarda lo smaltimento dei rifiuti in Italia: la Corte europea di giustizia del Lussemburgo ha condannato l’Italia per la tardiva e non correttaapplicazione della Direttiva comunitaria del 1999 volta a prevenire le ripercussioni negative delle discariche sull’ambiente. In Campania questo “problema generale” è assurto a vero e proprio disastro ambientale per la sussistenza di diversi fattori: una classe politica intimamente compromessa col potere camorristico, un sistema di consorzi che ha permesso ai clan di fatturare, in soli due anni, sei miliardi di euro, un apparato di assunzioni clientelari all’interno di società consorziate con le amministrazioni, che ha fruttato alla politica ben 13000 voti e 9 milioni di euro l’anno, un sistema di discariche private, acquisite dai Commissari di governo durante le varie “emergenze” e a cui i proprietari stessi hanno fatturato cifre da capogiro, per attività di smaltimento eseguite da ditte di trasporto da loro gestite (come riporta Roberto Saviano sulla discarica di Giugliano - Villaricca, al cui interno sono stati sversati rifiuti speciali provenienti da tutta Europa. Acquisita dal Commissario di governo durante l’emergenza rifiuti del 2003, fruttò al suo stesso proprietario, che smaltiva con una società da lui gestita, oltre 35 milioni di euro in due anni! Da “La Repubblica”, 5 gennaio 2008.)

A Caserta il problema dei rifiuti non esiste solo da quando le televisioni hanno diffuso le immagini che oggi tutti conoscono: è dagli inizi degli anni Novanta che Comitati organizzati di cittadini lottano per difendere il territorio dalle discariche, che hanno avvelenato le falde acquifere con metalli pesanti e sostanze radioattive, ancora una volta con la complicità della malavita e il silenzio e l’ignoranza delle Istituzioni. Quindici anni fa non era tutto chiaro come adesso, neanche a noi che costituivamo i comitati di lotta: si sentiva la puzza, si vedevano strani traffici di camion che scaricavano di notte, si sentiva odore di bruciato e si vedevano fumi salire da quel grosso “buco nero”. Massicce proteste popolari dei vari Comuni intorno a Caserta, denunce e raccolta di testimonianze sui traffici notturni portarono ad un intervento della magistratura che chiuse la discarica Lo Uttaro nel 1994. Qualche anno dopo, l’Unità di Crisi stabilì che a Caserta non dovevano sorgere impianti di smaltimento rifiuti perché la zona presentavo un alto rischio ambientale, anche per la presenza delle cave. Questo fino all’arrivo della nuova emergenza nell’autunno del 2006, dalla quale non siamo più usciti e che ha messo a nudo il diabolico sistema gestito dalle amministrazioni colluse con imprenditori prestanome di clan camorristici. Su questo disastro “annunciato” da tutti i precedenti descritti si innesta la nostra iniziativa.Come gruppo “Tenda della pace” abbiamo sviluppato una sensibilità particolare alla difesa del territorio, perché riteniamo che gli atti di violenza sull’ambiente siano le prime forme di ingiustizia sociale e di negazione dei diritti civili, quali il poter respirare aria non tossica, bere acqua senza la paura di rimanere intossicati, non rimanere soffocati nel cemento.

Nel periodo più buio, quando davanti ai palazzi si ergevano cumuli di rifiuti che effondevano la loro puzza fino all’interno delle nostre case, anche senza aprire le finestre, e sui marciapiedi colava un liquido putrescente che inesorabilmente arrivava ai tombini per essere ingoiato negli scarichi, è bastata una domanda sconsolata che mi ha posto un’amica: “È possibile che non ci sia niente da fare? ”. Voglio precisare che fino a quel momento, per oltre un anno e mezzo, non eravamo stati con le mani in mano: cortei, presidi alle discariche, anche con tafferugli, azioni dimostrative davanti ai palazzi del Comune e della Provincia, ma tutto senza sortire risultati. Gli Amministratori, tra cui i vari Commissari straordinari, hanno sempre ritenuto che le richieste dei cittadini fossero ben poca cosa da non meritare neanche ascolto, stigmatizzate come fatte “dal solito gruppo di contestatori”. Questo “qualcosa” doveva essere quindi un impegno diverso dalle manifestazioni di piazza, un esempio da dare alle Istituzioni. Perché allora non trovare un luogo “nostro” in cui effettuare la raccolta differenziata, incanalando la rabbia dei cittadini in un’azione concreta e provando a ridurre davvero l’enorme massa dei rifiuti che assediava il nostro quartiere? E perché non iniziare dalla Chiesa? La parrocchia, come comunità di cittadini, ha il compito di offrire aiuto alla gente in situazioni di necessità, specie quando coloro che hanno l’obbligo di adempiere ad un dovere istituzionale non sono in grado di farlo, mettendo in atto un principio di sussidiarietà che costituisce uno dei fondamenti della dottrina sociale della Chiesa.

Questa consapevolezza, nata dalla condivisione di alcune riflessioni con i padri di Casa Zaccheo e la mattina stessa, domenica 13 gennaio, comunicata alla comunità parrocchiale durante l’omelia, è stata la forza per partire nella nostra avventura nella “monnezza”. La cosa più entusiasmante è stato, però, scoprire che un’analoga maturazione avveniva, contemporaneamente, in un’altra parrocchia della città, con la quale abbiamo preso contatti e organizzato l’aspetto operativo. Il messaggio divulgato alle comunità era un forte richiamo alla responsabilità individuale, ma anche un incitamento a riprendersi la sovranità attraverso gesti concreti di partecipazione:

Da queste macerie è però necessario che qualcuno si alzi e cominci a camminare, tracciando uno stretto e impervio sentiero, l’unico percorribile e in grado di restituire ai cittadini parte della loro dignità e sovranità! “Per la nostra Chiesa andare in città significa andare a piantarsi nel centro della piazza, dove ferve la vita, dove passa la gente, dove si costruisce la storia” (don Tonino Bello.)

È con questo spirito che due parrocchie, a nord e a sud di questa nostra città, periferie nel senso di distanza dai palazzi del potere, hanno chiamato i cittadini ad una gestione partecipata del ciclo dei rifiuti, ponendosi come luoghi di ascolto della rabbia e del dolore, ma anche come segno che qualcosa può e deve cambiare.

Ora i cittadini devono concretizzare in gesti efficaci il loro desiderio di portare un segno di speranza per tutti ma, soprattutto, per i giovani che corrono il grosso rischio di assuefarsi al degrado e considerarlo una “normalità”. Il rispetto delle regole fissate per questo servizio di raccolta dei materiali è il punto di partenza su cui cominciare ad annodare i fili per tessere una trama di legalità su cui fondare la nostra vita civile e sociale”.

 Due settimane dopo questa data nei cortili di tre parrocchie della città la ditta Erreplast, una Società Recupero Imballaggiche ricicla la plastica aveva sistemato dei grossi scarrabili per raccogliere differenziatamente plastica, carta, cartone, alluminio e banda stagnata! Le difficoltà burocratiche per ottenere i permessi dal Comune non avevano altra motivazione se non quella che il nostro intervento, in qualche modo, “scippava” la primogenitura di un qualsiasi intervento dell’amministrazione, per cui siamo stati costretti a definirla “azione dimostrativa di raccolta differenziata”.

L’iniziativa si è posta due obiettivi molto importanti: dimostrare che la raccolta differenziata è un’abitudine alla portata dei cittadini della nostra città, sfatando un pregiudizio più volte espresso dai nostri amministratori su una nostra presunta “sciatteria”, ed educare le persone alla consapevolezza che ciascuno è responsabile dei propri comportamenti nei confronti dell’ambiente, superando il senso di sfiducia che le nostre azioni siano come gocce d’acqua nell’oceano delle sfide che ci troviamo di fronte. Ma l’effetto cumulativo di gesti semplici ha un suo peso e i risultati lo dimostrano: in soli 65 giorni abbiamo tolto dalle strade ben 87540 Kg di rifiuti, solo nella nostra parrocchia, ben 141240 Kg nelle tre parrocchie della città.Il successo dell’iniziativa ha messo in luce il desiderio della gente comune di collaborare alla ripresa di questa nostra terra così martoriata da anni di rapina del territorio, traffico illecito di rifiuti tossici, cementificazione selvaggia, di voler vivere in scenari diversi da quelli che hanno agghiacciato il mondo intero con le immagini di rifiuti accumulati nelle città con i cittadini che protestano, fanno barricate e bloccano strade e ferrovie. Io credo che in questo disastro morale nel quale ci siamo trovati immersi fino al collo si stia facendo strada anche il senso del limite, una liberazione collettiva dall’ossessione di essere un popolo di maxi-consumatori (come invece vorrebbero i nostri politici, che continuano a sacrificare terreno per costruire centri commerciali e si gloriandosi per essere la regione che possiede “i centri commerciali più grandi d’Europa!”).

La Campania è caratterizzata da uno strano destino: sembra che tutto debba essere in grande, la bellezza e il degrado, l’abnegazione e il servilismo, la verità e la menzogna, come quella che apre il documentario di Esmeralda Calabria, Andrea D’ambrosio e Peppe Ruggiero “Biùtiful cauntri”: “Ve ne dovete andare, qui non potete filmare, è privato”. “Ah sì, e di chi?”. “Dello Stato”.

La nostra esperienza non ha la pretesa di risolvere il problema, sappiamo bene che non è nelle nostre possibilità. È stata un’esperienza prototipo, nata al di fuori delle strumentalizzazioni politiche, che ha avuto il merito di insegnarci la forza dell’azione dal basso e la pratica di una nuova forma di solidarietà verso la nostra terra e il nostro “prossimo”, perché abbiamo sperimentato sulla nostra pelle che se si perde anche uno solo perdiamo tutti.

In sinergia con l’iniziativa di raccolta differenziata, la cooperativa “Newhope”, nata dal sogno di restituire, attraverso il lavoro,dignità a tante donne migranti vittime di violenza e sfruttamento, considerate “rifiuti della società”, ha avviato il progetto “Una borsa formato SPERANZA”, realizzando una borsa di tela per la spesa da usare al posto dei sacchetti di plastica. In questo piccolo oggetto è racchiusa la speranza che un semplice gesto, teso alla salvaguardia di nostra madre Terra, possa diventare il simbolo di un nuovo mondo, in cui non esistano “rifiuti” ma solo risorse.

La partecipazione di tante persone che si sono rese disponibili con la loro collaborazione volontaria, quotidiana, gratuita, nel tempo ha arricchito il progetto di idee nuove, migliorandolo, rendendolo un modello riproducibile in altre realtà e anche a livello istituzionale. È stato, a mio avviso, anche una stoccata al senso di sconfitta che spesso ci pervade ancor prima di provare a reagire, alla convinzione che il potere politico sia troppo forte per essere scalfito dalle nostre azioni.

È stato unanimemente riconosciuto da tutti i partecipanti che l’esperienza ci ha cambiato non solo nella conoscenza puntuale del problema dei rifiuti, ma soprattutto sul piano più ampio della responsabilità personale e sociale. I volontari hanno garantito non solo una presenza continua presso i container ma hanno svolto un ruolo di “educatori” quotidiani della comunità che non è più disposta a dare carta bianca ai politici, ma intende esercitare un’azione di vigilanza su tutte le scelte che riguardano i beni della collettività. La nostra azione continuerà ad oltranza, fin quando non sarà attuato dal comune un piano che contempli la riduzione della quantità di rifiuti e il riciclaggio di tutti i materiali.

“Le sfide ecologiche ci offrono l’occasione di rilanciarci sui cammini del Vangelo. È, nel senso biblico del termine, un "momento favorevole" per affermare il nostro legame con Dio lasciandoci permeare dalla novità del Vangelo” (lettera pastorale dei vescovi canadesi sull'ambiente).

 

RELAZIONI AUTENTICHE CHE RIVELANO L’UOMO SORGENTE DI OGNI RISORSA

Ci sono momenti importanti nella nostra vita, in cui percepiamo all’interno di noi stessi l’inquietudine di una domanda, una spinta alla ricerca, in cui dal profondo “preme” il desiderio e la nostalgia di un’individualità autentica che vuole comunicarsi. Questi momenti accadono quando il mondo esterno si presenta difficile e persino ostile. E’ possibile che una difficoltà per quanto apparentemente insormontabile diventi fonte d’impegno, di relazione, di rinnovamento, in sintesi di risorsa. Infatti, la natura delle relazioni e l’obbiettivo che muove una comunità può dar vita a cambiamenti profondi e duraturi. Oggi, invece, si coglie un’esasperata tendenza ad interpretare la realtà per manipolarla, deformarla e rifiutarla, perdendone l’esperienza di un contatto e un sentire autentico. Interpretare significa disporsi di fronte alla realtà e ai suoi linguaggi sospettando un senso diverso dietro le parole. L’atteggiamento di chi interpreta non è quello di chi ascolta, ma di chi non si fida e quindi non si affida alla parola che gli giunge.

Talvolta, c’è violenza nell’interpretazione. Invece, è possibile ascoltare ed accogliere, senza alcuna interpretazione, la nascita di nuove sorgive di vita nel tessuto sociale di una città che, irrigandone l’oscurità e la quiescenza, provocano “dal di dentro” un fermento di ricostruzione umana e di rinascita spirituale. E’ quanto sta avvenendo a Caserta. Casa Rut, Casa Zaccheo, Tenda della Pace, Coop. NeWhope sono cellule che pulsano di una nuova vitalità ed espandono concentricamente la forza di un amore creativo capace di trasformare il cuore della nostra comunità.

Il cammino, infatti, non consiste solo nella crescita della propria individualità e della propria originalità interiore, ma anche nello sforzo di stabilire relazioni “liberanti” con il mondo, trasformandolo in modo creativo. E forse è proprio la forza di queste comunità, capaci di creare mutamenti, a contagiare i giovani, gli immigrati, i “rifiutati dalle istituzioni”, ma anche quanti solitamente sono scettici e diffidenti verso ogni forma di cambiamento. Nasce così una nuova forza: il Comitato “Città Viva” che vuole reagire alla dimensione del potere e agire iniziative sociali volte a migliorare la qualità della vita e dell’ambiente in cui si vive.

Il contesto ambientale in cui il comitato sorge e si radica è circoscritto ad una sola zona della città: ci si concentra su progetti di quartiere rispettando il valore del limite e trasformandolo in risorsa. Ci si muove nel basso con le forze che sono nel basso: calarsi in una realtà, immergersi nel suo profondo lasciandosi toccare e trasformare dai suoi contenuti, consente una reciprocità di cambiamento. E’ una scelta esistenziale, non strategica, che comporta il diventare comunità: un sentir-ci, un esser-ci e apre alla vera esperienza di incontro e di comunione. Mentre il gruppo va costruendosi con queste modalità sulle prime iniziative sociali, l’Emergenza rifiuti esplode in Campania in tutta la sua drammaticità e violenza. Molte, moltissime parole e immagini sugli eventi di cronaca che hanno fatto il giro del mondo. Nel concreto, anche noi del Comitato ci siamo immersi nell’esperienza dei “rifiuti”, dando vita ad un’intensa e impegnativa raccolta differenziata di plastica e carta: un’iniziativa che è diventata comunitaria e che ha avuto nel suo piccolo un valore altamente trasformante. Un gruppo di volontari addetti alla raccolta, offrendo la propria disponibilità, è riuscito a coinvolgere gran parte della città nell’impegno. Quasi immersi nei rifiuti, ci sono stati momenti di incontro e di scambio autentici, impensabili in altre circostanze e in altri luoghi. Nella semplicità del gesto quotidiano, consegnare il sacchetto differenziato, è custodita la risorsa di nuove relazioni e di un nuovo modo di vivere la città. E’ emersa con evidenza la motivazione comune al cambiamento che ha spinto giovani e anziani, donne e uomini, immigrati e residenti a nuove forme di solidarietà: cadono le barriere sociali e tutti sono protagonisti del gesto.

Una solidarietà che esplode dalla passione interiore per la vita, da un’intolleranza verso ciò che uccide l’uomo e la sua Terra, dal coraggio di una speranza, da una viva fede che vuole semplicemente dirsi nel suo spazio quotidiano.

Ma la passione interiore per la vita non può bastare a se stessa, si nutre di relazione. L’uomo nasce da una relazione; la sua identità si costruisce attraverso una relazione primaria fondamentale che lascerà traccia indelebile nel profondo di ciascuno.

La vera identità dell’uomo, la sua essenza è relazione d’amore. L’uomo è per se in quanto è per un altro, ed è per l’altro in quanto è per se: la relazione esprime quest’unione d’identità. L’esperienza del proprio io è imprescindibile dall’esperienza del tu. La relazione che l’uomo ha con se stesso è preceduta dalla relazione che un altro ha con lui. Io non potrei rapportarmi a me stesso al mondo interiore dei miei pensieri, dei miei sentimenti, delle mie emozioni, al mio corpo se non esisto già nella relazione che un altro ha con me. L’uomo è uomo solo nel modo di ESSERE CON ALTRI.

E la comunicazione è molto più del semplice scambio di parole: è la manifestazione all’altro di ciò che sono. Questo dirsi, questo rivelarsi è comunicare, è dono di se. Infatti, si comunica anche nell’ascolto, nel silenzio. L’incontro è l’evento, l’esperienza in cui l’uomo si rivela all’altro e mentre si rivela all’altro si svela a se stesso. L’incontro è una cosa, la relazione ne è un’altra.Ecco perché non tutti gli incontri realizzano una comunicazione.

L’uomo ricerca la dimensione dell’incontro autentico come fonte di nutrimento per la sua anima, in cui conosce e rivela la sua verità , la sua unicità “differenziata”. Questo richiede un cammino che ci spogli di tutti quei processi di identificazione e di proiezione a cui l’esistenza ci sottopone fin dal momento della nascita. Ci identifichiamo con modelli esterni che non ci appartengono e proiettiamo sugli altri ciò che fa parte di noi, il più delle volte ciò che di noi stessi “rifiutiamo”.

Occorre recuperare dentro di noi la fisionomia del nostro vero volto, dei nostri desideri profondi, delle nostre scelte; in poche parole occorre recuperare l’autenticità e vivere relazioni autentiche. L’autenticità è la trasparenza di uno sguardo, è la sincerità di un sentimento, è la vita che ci tocca. Le relazioni autentiche sono liberanti la nostra verità e consentono all’uomo di esprimersi nel paradosso della sua natura umana che è forza e debolezza, fermezza e vulnerabilità, fragilità e grandezza, luce e ombra. Ritrovare il senso della propria totalità significa accettare in noi stessi e nella comunità anche la presenza di aspetti negativi e deteriori.

L’esperienza della raccolta differenziata ha reso possibile concretizzare nel quotidiano sia un incontro umano solidale e autentico sia un incontro con gli aspetti sgradevoli e “rifiutati”. Vedendo i”rifiuti” abbiamo preso contatto, abbiamo toccato quanto di noi e fuori di noi consideriamo da eliminare. Ma le parti negative, accettate e integrate in un percorso di crescita e di cambiamento, fanno si che l’uomo si scopre e si rivela nella sua autenticità. La verità del nostro mondo interiore consente di liberarci di quella proiezione del negativo sugli altri o di identificarci solo con il negativo in noi e ci fa scoprire che proprio nel lato oscuro e rifiutato della nostra personalità può celarsi il più alto valore individuale.

Dalle relazioni autentiche possono nascere nuove esperienze di solidarietà che sono RISORSA per l’io e per il noi.

 

Contributi di: p. Adriano Bustreo, Titti Malorni, Assunta Porfidia.