LABORATORIO 8

 

Condomini solidali e villaggi “Gaia” tra utopia e realtà

 

Il tema per il laboratorio mi era stato suggerito agevolmente dalla conoscenza personale di un amico che partecipa al gruppo “Uomini in cammino” e che da sempre è appassionato ricercatore di possibilità di vita comunitaria, con modalità che permettano sobrietà, condivisione, risparmio e rispetto per la natura di cui siamo parte. Grazie a un rapido passaparola sono arrivato alle persone che abbiamo poi invitato a raccontarci esperienze, motivazioni e ricadute coerenti con gli obiettivi del Convegno.

 

  • Luigi Giairo viene da un’esperienza di Cdb, quella del Vandalino a Torino negli anni a cavallo tra i ’60 e i ’70, quando incrociano l’esperienza di “Comunità e famiglia” di Milano. Circa dieci anni fa nascono i “condomini solidali” come esperienza di vita. Per conoscerli nel dettaglio vi rimando alla relazione di Giairo che ci ha già mandato per gli Atti. Ve ne offro un piccolo stralcio:

“Chi desidera partecipare a quest’avventura, dopo aver effettuato un lavoro di discernimento in un “gruppo di condivisione” è richiesto difermarsi a scrivere un PATTO di mutuo aiuto con cui le persone si impegnano a diventare vicendevolmente risorsa le une per le altre :

  1. Io mi impegno ad appoggiarti, secondo le mie possibilità, nei tuoi desideri di realizzazione, e ti chiedo di fare altrettanto con me;
  2. Individuiamo nella cassa comune un segno concreto di solidarietà (ma anche la prassi del bilancio di giustizia, il risparmio etico, o il GAS, o altro ancora).
  3. Individuiamo anche un’occasione per verificare costantemente il cammino intrapreso, che può essere il confronto sulla Parola di Dio per i credenti, e/o sugli ideali e gli stili di vita, ma sempre alla luce di scelte concrete e quotidiane che indichino un cammino in avanti, pur con le cadute e i limiti di ognuno.
  4. Attraverso il metodo della condivisione ci impegniamo a raccontarci (la condivisione è una modalità di incontro basata sul portare la propria esperienza di vita, sull’ascolto dell’altro senza possibilità di discussione, sul non giudizio).
  5. Ci manteniamo collegati con ciò che è fuori di noi, della nostra comunità, agganciati all’altro da noi, al mondo, alle esperienze che possono insegnarci qualcosa e allargare il nostro respiro.
  6. Intendiamo crescere nello scambio gratuito dei beni materiali e immateriali attraverso modalità quali, ad esempio, la banca del tempo, dei talenti e dei saperi
  7. Ci sosteniamo concretamente, nei limiti delle proprie possibilità, alle diverse forme di accoglienza che ogni famiglia ed ogni persona deciderà di mettere in atto,
  8. Favoriamo, per quanto dipende da noi, l’introduzione di attività culturali e concrete di legame con il territorio circostante.
  • Macaco e Cervovolante (sono i loro nomi “comunitari”) ci presentano, anche con l’aiuto di un DVD, la vita e le motivazioni che reggono l’esperienza della comunità di Damanhur in Val Chiusella, in provincia di Torino. Damanhur è una “federazione di comunità”: attualmente sono 23, di circa 30 persone caduna, distribuite sui territori di 5 Comuni, per un totale di circa 1000 persone, di cui 600 residenti a tempo pieno in comunità.

Alla base della convivenza c’è una filosofia comune, i cui fondamentali sono (dai miei appunti):

    • “fare” è l’unica cosa che conta
    • scuole di tipo “familiare” con esami statali annuali
    • condivisione della cura di figlie e figli
    • ricerca della biosostenibilità
    • rete nazionale e internazionale di eco-villaggi
    • coordinamento affidato ad un/una reggente annuale e responsabilità personali in ogni gruppo-comunità
    • sperimentazione, anche tecnologica, “per il futuro dell’umanità”
    • pieno inserimento sul territorio: circa 450 persone fanno volontariato (protezione civile, Croce Rossa, donazione di sangue, ecc...); uno è sindaco e più di venti sono consiglieri/e comunali.

 

  • Il dibattito è stato molto serrato e ha permesso di evidenziare anche altre esperienze. Come ha detto Michele Meomartino, l’Italia è piena di iniziative di solidarietà e di condivisione (ne abbiamo conosciute altre anche durante il Conversando con... e il Dialogando con...): difficile è conoscerle, vederle; e, soprattutto, è problematico riuscire a vivere la reciprocità nei grossi centri urbani.

L’altro aspetto che è emerso riguarda la diffidenza, diversamente motivata, che spesso ci anima verso “grandi opere” come Damanhur: “un modello è tanto più interessante quanto più è riproducibile”. Credo che la risposta stia nel riconoscimento della diversità come ricchezza; e, anche, della difficoltà a “riprodurre” esperienze, perchè incarnano le differenze individuali delle persone che le hanno messe in atto. E’ come le cdb: non ce ne sono due uguali e spesso ci scopriamo in ansia per il loro futuro, che non ci è difficile vedere diverso da come noi le abbiamo create e vissute; addirittura ne temiamo, a volte, la scomparsa.

Questo vale, in particolare, per la forma “condomini solidali”, “cohousing”, “comunità territoriali”... come quella di Fidenza, dove le persone continuano ad abitare dove stanno, ma si sono legate con un patto di mutuo aiuto che, pensando alla propria morte, significa anche “metto nelle vostre mani anche i miei figli e le mie figlie”...

Nasce così una “cultura” della condivisione e, naturalmente, le esperienze concrete possono essere molto diverse, ha concluso Luigi. “Importante è avere un sogno”, ha concluso Macaco, “ed esprimerlo: da cosa nasce cosa”, ha aggiunto Cervovolante.

 

  • Io penso che ci sia spazio per tutte queste pratiche all’interno di una cultura della “prevenzione”, che significa, nel mio pensiero, dare alle persone la possibilità di star bene, di vivere in armonia. Basta il sufficiente. Mentre ci prendiamo cura, reciprocamente, gli uni degli altri e delle altre, le une delle altre e degli altri.

Non potrebbero nascere anche delle cdb organizzate così? Comprendenti, cioè, anche la convivenza o, almeno, un patto di auto mutuo aiuto...

Penso che, rispondendo alla terza domanda di Stefano Toppi, pratiche simili di vita richiedano una profonda e condivisa motivazione ideale, spirituale. Non parlo di correligionarietà, come potrebbe essere l’appartenenza ad uno stesso partito o movimento di tipo sociale; intendo valori come “alleanza, fiducia, accoglienza, sobrietà, solidarietà, condivisione, responsabilità” (cito da un fascicolo di “Comunità e famiglia”) che difficilmente abitano nei luoghi dove impera la competizione.

Per questo credo che il tema del convegno e, in particolare, quello del nostro laboratorio, fossero decisamente coerenti con la nostra ricerca di fede e di pratiche d’amore, di condivisione, di convivialità delle differenze. Sono certo che l’approfondimento e la sperimentazione ci coinvolgeranno ancora in futuro.

 

Pinerolo, 14 maggio 2008

 

Beppe Pavan