TEMPI DI SORORITA’

a cura di Catti Cifatte

 

Intervista a Giulietto Chiesa

 

 

Giulietto Chiesa nato ad Acqui Terme (Al) il 4/9/1940, giornalista dal 1979, dirigente della FGCI e del PCI negli anni 1970-1979, dal 1/10/1980 al 1/9/1990 è corrispondente da Mosca prima per l'Unità, e poi per la Stampa, e rimane in Russia fino alla fine del 2000. Attualmente e' editorialista e commentatore politico della Stampa e anche del Manifesto e di Avvenimenti. Ha lavorato per il Tg 5, Tg 1 e Tg 3, collabora saltuariamente con Radio Svizzera Internazionale, con Radio Vaticana, con la BBC in lingua russa, con Radio Liberty, con NTV (Russia) e con Deutsche Welle, e regolarmente con Rai News 24 e diversi programmi RAI, tra cui Primo Piano della Rete 3.

Ha scritto: "Operazione Teheran" di Ed De Donato, "L'Urss che cambia" Ed. Riuniti, "La rivoluzione di Gorbaciov" di Garzanti, "Transizione alla Democrazia" Ed.Lucarini, "Cronaca del Golpe Rosso" Ed.Baldini & Castoldi, "Da Mosca, Cronaca di un colpo di stato annunciato" di Laterza, "Russia Addio" Ed.Riuniti, "Roulette russa" Ed.Guerini & Associati, "G8-Genova" di Einaudi, "Afghanistan anno zero" di Guerini & Associati, scritto con il giornalista e disegnatore satirico Vauro e con prefazione di Gino Strada. Per Feltrinelli "La Guerra Infinita" (2002) e "Superclan" (2003)scritto con Marcello Villari, "La guerra come menzogna" Ed. Nottetempo, "Invece di questa sinistra" Ed Nottetempo, che contiene il suo programma politico per le elezioni europee; a ottobre 2004 ha pubblicato per le edizioni Piemme, insieme al vignettista Vauro, "I peggiori Crimini del Comunismo", una denuncia satirica che svela il passato 'rosso' di alcuni degli uomini più vicini al Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi.

Negli ultimi cinque anni si e' occupato di studio della globalizzazione e, in particolare, degli effetti sul sistema mediatico mondiale. Come Membro del Parlamento europeo ha aderito al Gruppo dell'Alleanza dei Democratici e dei Liberali per l'Europa ed è anche membro delle commissioniper il commercio internazionale, per la cultura e l'istruzione, per la sicurezza e la difesa, di cooperazione parlamentare UE-Russia,

 

 


 

Sappiamo che l'Italia è all'ultimo posto in Europa circa la presenza delle donne in politica e ai vertici delle istituzioni, sebbene la nostra storia sia segnata da autorevoli e significative presenze femminili in tutti i campi. A mio giudizio tale condizione delle donne è anche frutto di condizionamenti culturali di stampo cattolico, ma il “maschio dominante” è anche fortemente presente nelle organizzazioni laiche; nelle tue analisi politiche hai mai avuto interesse per la questione femminile ed approfondito queste tematiche?

Concordo con il dato che l'idea del maschio dominante sia il minimo, davvero minimo, comune denominatore tra l'eredità cattolica e gran parte della tradizione laica italiana, ivi inclusa quella del movimento operaio. Devo però aggiungere che non sono mai stato convinto di certi filoni del movimento femminista che, a mio avviso, più o meno inconsapevolmente, hanno finito per rafforzare una visione sessista dei rapporti sociali. Solo l'hanno fatto al contrario. Non l'ho mai ritenuto utile alla causa della cosiddetta emancipazione, meglio direi, liberazione, della donna. In secondo luogo ritengo che non si debba cominciare dalla fine, ma si debba pazientemente cercare l'inizio e da quello partire. Le "quote" femminili sono sbagliate. La promozione della donna in politica non si fa in termini amministrativi, perchè questi non promuovono le migliori donne, ma le peggiori, di regole. Esattamente come avviene per gli uomini.

Occorrono leggi che tutelino la parità femminile sui luoghi di lavoro, questo sì lo difendo con la massima energia. Ma la politica non è un luogo di lavoro, o non dovrebbe esserlo.

Avere la capacità e la volontà di sottomettere al giudizio degli ultimi ed in particolare delle ultime il proprio operato, le proprie idee politiche o le proprie strategie non è costume degli uomini, meno che meno degli uomini di potere. Allo stesso modo è raro trovare politici capaci di confrontare la propria proposta politica con le prioritarie esigenze di salvaguardia ambientale, di eco-compatibilità e di corretta sostenibilità nel tempo. Oltre alla parzialità maschile, l'accostamento di queste osservazioni critiche, vuol fare emergere soprattutto la sintonia del pensiero-azione femminile con “la cura del creato”. Cosa pensi dell'eco-femminismo, ciò che accomuna le lotte delle donne con una visione di riappacificazione con la natura? In altre parole esiste per te una “politica diversa” delle donne?

La mia esperienza, di uomo, di padre, di marito, mi dice che esiste una politica diversa per le donne. Cioè che le donne hanno una sensibilità accentuata, e migliore, per temi etici e naturali. Come l'hanno per la cultura. E' proprio questo che, in primo luogo, deve essere valorizzato nell'interesse comune.  

“Per la loro condizione – non generalizzata ma storica – di oppressori, gli uomini tendono a nascondere o a nascondersi la violenza delle loro relazioni con le donne. Per questo il punto di vista delle oppresse rappresenta una integrazione e una correzione del punto di vista degli oppressi” ( sono parole di Giulio Girardi che condivido). Cosa suscita in te, anche partendo dal tuo vissuto personale, questa riflessione? Sei un giornalista molto conosciuto, un politico che fa comunicazione ed in quel campo hai molto ascendente, è possibile pensare di averti anche “dalla parte delle donne” per superare l'informazione del modello dominante e improntare l'informazione ad un modello di partecipazione condivisa?

Io sono, in questo campo come in tutti gli altri, contrario al modello dominante. Per definizione, perchè tutti i modelli dominanti sono ideologici, proprio nel senso opposto a quello che gli enciclopedisti pensavano. Il modello dominante non è infatti quello che soddisfa la maggioranza ma, al contrario, quello che viene imposto da una minoranza sulla maggioranza. Per questo sono "dalla parte delle donne", nel senso precipuo che ho detto prima. Non nel senso di volere delle donne "uguali" agli uomini. In primo luogo perchè le donne non sono uguali agli uomini, e pretendere dalle donne di diventarlo significa forzare la natura. La storia neppure non può essere forzata oltre certi limiti. E le sedimentazioni culturali non si raschiano con la violenza ma si limano con il tempo e il lavorio culturale profondo. in questo senso sono convinto che non può esserci liberazione della donna senza una parallela liberazione dell'uomo. Entrambi debbono liberarsi dei loro pregiudizi.  

Quello che viene denominato sviluppo sostenibile, nel nostro linguaggio occidentale, è pur sempre un derivato della cultura del dominante, sembra che non ci sia più limite a questo processo inarrestabile… ma chi osserva criticamente e il più delle volte impotente, auspica una frenata brusca, una uscita da questa spirale della crescita infinita per fare ritorno ad una società in cui viene valorizzato “il limite”, la relazione di genere, il piacere della vita vissuta in ogni istante….valori che si perdono e che invece possono essere recuperati…si fa spazio una dimensione del trascendente e di una nuova religiosità .. a riguardo, quali secondo te gli scenari che ci si presentano nel confronto tra i popoli? Perché non ammettere apertamente la parzialità dei nostri punti di vista e ricominciare ad educarci alla valorizzazione delle diversità, prima di tutto quelle sessuali?

Non ho niente da aggiungere a queste considerazioni assai sagge. Che si riassumono in un semplice concetto: abbiamo bisogno di un nuovo modo di vivere e di consumare. Senza questo c'è la guerra, perchè non vi sono più risorse per uno sviluppo egoistico e indefinito. E per avere la pace, cioè la sopravvivenza, abbiamo bisogno di riconoscere la diversità.

 

“C'è confusione nel movimento contro la guerra. E confusione vuol dire tante cose: che il movimento è poco e incerto, che non riesce a dire quello che sarebbe necessario contro la guerra che continua, e che non riesce a dire che altre guerre si preparano. E perché. Per questo occorre ritornare sul tema del pacifismo.(…) Ma c'è una motivazione pacifista, oggi, che non è smontabile, né calunniabile, non ideologica né di parte, ed è quella che deriva da un'analisi dello stato delle cose, così come viene emergendo sempre più evidentemente. Dobbiamo essere pacifisti perché oggi il pacifismo è una questione di sopravvivenza, per noi e per i nostri figli. E non si può neppure dire più per i nostri nipoti, perché nessuno oggi e in grado di fare previsioni più lunghe.”

( 3 settembre 2005, su Avvenimenti)