TEMPI DI SORORITA’

a cura di Catti Cifatte

 

Vogliamo la pace in Palestina fortissimamente

In questi ultimi tempi avere la possibilità di collegamenti via internet ha dato a tutti e tutte la facoltà di conoscere la situazione del conflitto nella striscia di Gaza in modo dettagliato, garantendoci una visione completa e non di parte, come i media istituzionali ci hanno presentato, per questo in questa rubrica posso citare alcuni messaggi ricevuti in rete che sono di fatto un aggiornamento della situazione e un segno tangibile della speranza, che ci sostiene nonostante tutto. Per esempio, particolarmente significativo è stato il messaggio circolato oggi nella lista di “lisistrata” e “un ponte per” che ci consente di accedere alle risoluzioni delle Nazioni Unite sistematicamente non rispettate da Israele fin dal 1948!

“Oggi, dopo quattro settimane di guerra atroce, uno spiraglio per la pace sembra essersi aperto: questo uno dei numerosissimi messaggi ricevuto in rete poche ore fa: (…) La dichiarazione unilaterale di tregua di Israele e la disponibilità di Hamas a sospendere le ostilità per una settimana lasciano sperare che, dopo oltre 1300 morti e più di 5000 feriti, il massacro sia cessato...Tuttavia sappiamo che questa tregua è un risultato importante ma non è ancora detta la parola finale. Bisogna che siano restituite alla popolazione di Gaza le condizioni per vivere con dignità e in libertà; occorre che le frontiere siano aperte per il passaggio di viveri, medicinali, fonti energetiche, è necessario che l'esercito israeliano si ritiri: in poche parole occorre che la popolazione di Gaza non resti prigioniera nel suo territorio.”

A molte di noi in rete, ieri è arrivato anche questo messaggio di Gian Carla Codrignani, che voglio riportare come spunto per la riflessione su questo durissimo conflitto tra Israele/ Palestina e con riferimento a quanto abbiamo riflettuto insieme nel laboratorio “Percezione del limite ed anelito di giustizia: relazioni sororali” organizzato con il gruppo donne della Comunità di Oregina di Genova, durante l’Incontro nazionale dei gruppi donne di Castel San Pietro di cui alle precendenti puntate di TDS .

“ (…) Anche su ciò che è accaduto/accade a Gaza ci sono distinzioni da fare. Primo: si deve dolorosamente "prendere atto"  dell'incapacità di tutti i poteri internazionale di risolvere un conflitto in atto da 62 anni. Secondo: questo attacco, come gli altri, era prevedibile, quindi "prevenibile"; ma nessuno, né la diplomazia né le leadership pacifiste riescono a fare prevenzione di nessun conflitto. Terzo: quando c'è già la guerra e non c'è più rimedio, si può agire con la solidarietà e l'assistenza alle vittime e/o fare agire la politica. Quarto: la politica non può che essere mediazione e non può prendere posizione "a fianco" di una sola parte, perché significa assumere la logica amico/nemico e schierarsi: non aiuta  perché si deve arrivare a proposte condivise. Quinto (e più importante): è assolutamente vietata l'ignoranza. Per esempio, boicottare i commerci è una misura possibile, contestare il commerciante ebreo è da idioti perché l'ebreo è un cittadino italiano.

I cinque punti sono tutti "neutri" e le donne vivono un'impotenza in più: anche le più femministe di noi firmano i documenti comuni e vanno alle manifestazioni comuni. Eppure c'è tutta una letteratura di donne che ragionano sulla guerra, sui problemi internazionali e perfino sull'etica e sulla teologia. Manca - dispiace doverlo riconoscere - una "politica delle donne". Che è tutta da inventare.”

Sinceramente ci si trova di fronte a contesti talmente più grandi di noi che la prima considerazione e valutazione che diamo è di completa impotenza; non sappiamo da dove incominciare e mi domando: serve continuare a scrivere su tds? a senso continuare a scrivere e a parlare “di una visione da parte delle donne”? è compresa veramente a fondo questa visione?

Mi stimola molto ciò che scrive, ed in cui sicuramente crede, Gian Carla, e penso che, anche se lei non lo dice esplicitamente, forse sarebbe possibile un superamento dell’attuale condizione se si attivasse veramente una “politica delle donne”. E’ chiaro per noi che non si tratta della politica gestita da donne come Condoleeza Rice e Tzipi Livni, rappresentanti degli Stati super potenti fautori delle guerre, si tratta invece di una politica dalla parte degli ultimi e delle ultime, chiamata politica delle donne in quanto politica in grado di sovvertire nel profondo il sistema e la logica della dominanza della società “maschile”, politica della partnership per eccellenza e politica dalla parte di chi, donne, bambini, anziani, impotenti, generalmente rappresentano le più numerose vittime delle guerre e delle violenze in tutti i tempi.

Ecco perché, sentendoci parte del movimento delle donne e volendo “fortissimamente” la pace in Palestina e non solo,parliamo al Femminile Plurale: noi donne sappiamo “che la via della pace non passa per morti e distruzioni, non si edifica con la violenza, ma con la giustizia ed il rispetto del diritto dei popoli”(messaggio di Nino Lisi del 18/01/09), e delle singole persone nella loro dichiarata diversità di sesso, età, classe, religione ed appartenenza! Sappiamo anche che spesso la prima sede della violenza è nei rapporti tra i due sessi: quando nelle relazioni interpersonali prevale la figura di un “possessore” che dettale sue regole al posseduto. Questa è la più difficile delle guerre da sradicare e smantellare! Intorno a questa logica dominatrice si sono formate le relazioni sociali, familiari di padronanza, padronali nei contesti lavorativi, kiriarcali nelle comunità ecclesiali, relazioni che ancora oggi condizionano i contesti sociali ed i singoli uomini e donne.

Al Convegno nazionale dei gruppi donne a Castel San Pietro, nel nostro laboratorio, abbiamo cercato di riflettere proprio su queste nostre condizioni di limite, leggendo delle poesie di poetesse sulla guerra e sulla condizione delle donne e bambine nei conflitti, cercando di trasmettere le nostre impressioni e le nostre aspettative per consentirci un confronto a tutto campo: sono state possibili diverse modalità espressive: lettura, scrittura, poesia, incastri di parole stimolanti, costruzione di immaginari condivisi, messaggi simbolici, messaggi corporei ....... ho raccolto, per gli atti, diversi messaggi, dipinti, grafici simbolici significativi a riguardo.

Il laboratorio dunque non ha voluto solo significare il rammarico per la nostra parzialità, per l'oggettiva difficoltà di superamento della logiche della violenza e della guerra, bensì la forza della nostra visione di pace, e di giustizia, l' esigenza e apertura ad un più ampio spettro multicolore di possibilità che le donne possiedono nel loro intimo, nella loro psiche, nei loro infiniti desideri e speranze. Vale ancora la pena di diffondere questa visione di donna per consentire di arrivare ad una svolta, insieme ai nostri figli e figlie, per consentire a tutti e tutte la scelta da che parte stare, anche nel senso di farsi carico delle realtà degli altri e delle altre, con l’aperta volontà di accoglienza delle diversità, con la prospettiva di convivenza e di reciprocità di ascolto e di aiuto, accettando anche la limitatezza delle nostre risorse e capacità, aprendoci ad una pace che è anche silenzio, vuoto, spazialità ed infinito.

In questo senso è stata data lettura, all’inizio dei lavori del laboratorio, della bellissima poesia di Simone Weil “La Porta” che qui di seguito riportiamo:

Aprite la porta, dunque, e vedremo i verzieri,

berremo la loro acqua fredda che la luna ha traversato.

Il lungo cammino arde ostile agli stranieri.

Erriamo senza sapere e non troviamo rifugio.

Vogliamo vedere i fiori. Qui la sete ci sovrasta.

Sofferenti, in attesa, eccoci davanti alla porta.

Se occorre l'abbatteremo con i nostri colpi.

Incalziamo e spingiamo, ma la barriera è troppo forte.

Bisogna attendere, sfiniti, guardare invano.

Guardiamo la porta; è chiusa, intransitabile.

Vi fissiamo lo sguardo; nel tormento spingiamo;

noi la vediamo sempre, gravati dal peso del tempo.

La porta è davanti a noi; a cosa serve desiderare?

Meglio sarebbe andare senza più speranza.

Non entreremo mai. Siamo stanchi di vederla.

La porta aprendosi liberò tanto silenzio.

Che nessun fiore apparve, né i verzieri;

solo lo spazio immenso nel vuoto e nella luce

apparve d'improvviso da parte a parte, colmò il cuore,

lavò gli occhi quasi cechi sotto la polvere.

 

Ecco le nostre riflessioni: siamo di fronte ad una porta, un limite che sembra invalicabile. Quante porte, quanti limiti, quanti muri! Sappiamo e vogliamo andare al di là perché desideriamo il superamento del nostro limite.La nostra libertà inizia dove si concretizza la libertà di tutte le altre donne: abbiamo questa percezione reale dei limiti? Siamo in un sistema sociale con forti sperequazioni, che fissa parametri di onnipotenza, che difficilmente ci fa percepire i nostri limiti. Ma che cosa è la giustizia? Siamo convinte che quando c’è giustizia c’è percezione del limite, viceversa la consapevolezza del proprio limite favorisce e promuove la giustizia. La giustizia è considerare l’altra, l’altro, le sue espressioni vitali, il suo modo di vivere. Occorre dunque abbattere i muri, aprire la porta, andare verso lo spazio, riconoscere il proprio limite e aprirsi verso le altre e gli altri, ma……al di là non ci saranno fiori o verzieri, troviamo invece lo spazio immenso nel vuoto, un vuoto che ci ricolma il cuore e ci lava gli occhi, come dice la Weil con parole che richiamano un linguaggio biblico: noi donne abbiamo detto che potremmo anche definirlo un contesto divino.

Genova 18 gennaio 2009