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BIGLIETTO D'INVITO

In due interventi apparsi nel settembre scorso su Adista e sul sito delle CdB, Nino Lisi e Giovanna Romualdi affrontano il tema della presa di distanza dalla gerarchia ecclesiastica, punto di arrivo di un percorso, passato attraverso il disagio e il dissenso nei confronti della chiesa gerarchica, che, in entrambi gli interventi, si percepisce come un cammino vissuto e sofferto.

Riprendo qui l’argomento perché, devo confessare, questo “prendere le distanze”, e farlo in nome della sequela di Gesù e dell’annuncio del regno, mi crea inquietudine e a questa inquietudine voglio dare voce.

E’ la chiesa che dobbiamo amare oppure gli uomini e il regno? E’ la domanda che si pone Nino nella sua lettera ad Adista, che così conclude: “Se alcuni fossero comunque interessati a tenere in conto le categorie del dissenso e del disagio, ne considerino anche una terza, quella della distanza: riguarda coloro – e mi risulta che non siamo pochi – che continuano a sforzarsi di stare nella sequela di Cristo e proprio per questo prendono o hanno preso le distanze da questa chiesa gerarchica”.

L’argomento, con toni diversi, è ripreso da Giovanna: “Quanto al rapporto con la Chiesa, c’è stato per molte/i il tempo del disagio rispetto ad una profonda contraddizione fra un appello alla libertà che sentiamo venire dal vangelo al popolo di dio e le strettoie in cui sentivamo che veniva costretto dai ‘pastori del gregge’. Poi c’è stato il tempo del dissenso in cui abbiamo contestato il modo con cui veniva tradito il concilio che sembrava dovesse aprire strade per il rinnovamento. Oggi, anche avendo denunciato la struttura oligarchica e patriarcale di questa Chiesa, misuro la distanza da essa e non entro neanche più nel merito dei suoi stili ecclesiastici.” E conclude Giovanna: “Beh, oggi è il tempo della distanza e cerco solo compagne e compagni con cui sperimentare – se ha ancora un senso – la sequela di Gesù sulle strade della Galilea.”

In entrambi gli interventi è centrale la sequela di Gesù, è da qui perciò che intendo partire con la mia riflessione. Lo farò facendomi aiutare da una parabola, quella dei due fratelli, che troviamo al capitolo 15 del Vangelo di Luca.

In questa e nelle precedenti due parabole dello stesso capitolo, quella della pecora smarrita e della moneta perduta, Gesù risponde a coloro che lo criticavano per le sue cattive frequentazioni: - Gli agenti delle tasse e altre persone di cattiva reputazione si avvicinarono a Gesù per ascoltarlo. Ma i farisei e i maestri della legge lo criticavano per questo. Dicevano: “Quest’uomo tratta bene la gente di cattiva reputazione e va a mangiare con loro”. Allora Gesù raccontò questa parabola … - (Luca 15,1-3)

La parabola dei due fratelli è ben nota. Mi limito qui a sottolineare due passaggi.

Il fratello minore, quello che si era perduto, torna a casa. Il padre lo vede da lontano, gli corre incontro, lo abbraccia e per lui prepara una grande festa.

Il fratello maggiore, che è rimasto nella casa paterna e che non si è mai smarrito, sta nei campi a lavorare; quando torna e viene a sapere dai servi della festa per il ritorno di suo fratello, si sente offeso e si rifiuta di entrare in casa. Allora il padre esce e lo prega di entrare anche lui a far festa.

E’ felice il padre per aver ritrovato il figlio che credeva perduto, ma la sua felicità non è completa, lo lascia ed esce di casa per andare dall’altro e pregarlo di entrare.

E’ questo l’immaginario che Gesù aveva di Dio: un Dio partigiano, che sta dalla parte dei piccoli, dei poveri, dei perduti, di tutti coloro che, agli occhi degli uomini, sono maledetti, ma che vuole bene anche agli altri, ai farisei, ai maestri della legge (rappresentati nella parabola dal fratello maggiore), a chi pensa di avere la verità, si mette in cattedra e dalla cattedra spara sentenze. Anche per loro c’è un invito alla festa.

Guidato dalla fede in questo Dio, Gesù si comporta come il padre della parabola. Seguiterà sempre ad invitare i farisei alla festa, denuncerà con forza le ipocrisie, senza mai però prendere le distanze dagli ipocriti. E ciò non era per lui un optional, né una distrazione nel suo impegno per la costruzione del regno di Dio con i dannati e le dannate del suo popolo. Al contrario era parte integrante di quel cammino verso il regno.

Una grande festa dove tutti stanno insieme: era questo il suo sogno.  

 “I pubblicani e le prostitute vi precederanno nel regno dei cieli” (Matteo 21,31), aveva detto un giorno Gesù, rivolgendosi ai capi dei sacerdoti. Se quelle parole saranno arrivate come un pugno nello stomaco ai suoi malcapitati interlocutori, esse però nascondevano un invito e una speranza: che anche loro, sebbene dopo i pubblicani e le prostitute, potessero un giorno scendere dalle loro cattedre ed entrare nel regno.

Metterci alla sequela di Gesù significa convertirci e costruire il regno di Dio con gli ultimi e le ultime del nostro tempo. Ma come se non bastasse, Gesù ci chiede qualcosa in più (d’altra parte Gesù un po’ esagerato lo è!): ci chiede una conversione contagiosa che vada a scomodare soprattutto quelli che convertiti si sentono già. Non era questo che faceva Gesù con i farisei e i maestri della legge?

In tutti questi anni in cui ho condiviso con tanti fratelli e sorelle il cammino delle CdB, dissenso per me è significato questo: denunciare con forza e senza sconti i peccati della chiesa, e farlo non prendendo le distanze, ma con la partecipazione, la sofferenza, la testardaggine di chi non si rassegna, di chi preferisce lo scontro all’indifferenza - perché è l’indifferenza, non l’odio, il vero opposto dell’amore -, di chi dal gioco non intende chiamarsi fuori.

Nella festa c’è un posto per tutti, fintanto che anche uno solo di quei posti rimarrà vuoto, la festa non sarà completa! Così la pensava il padre della parabola.

Il tempo del dissenso non è finito.

Dea Santonico

CdB di San Paolo - Roma


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