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MESSAGGIO DEL BUON LADRONE

Ecco il testo del messaggio del Buon Ladrone; ve lo ripropongo come l’ho ricevuto:

 

«Claudio mi ha chiesto di raccontare come è andata e quello che ho provato.

In realtà non so neanche se sono mai esistito.

Forse è stata una necessità teologica quella di creare me – Buon Ladrone – in confronto con l’altro, il Cattivo Ladrone.

Forse rappresento simbolicamente tutti i carcerati che alla fine, poche ore prima dell’esecuzione capitale, comprendono tante cose sulla vita.

Non lo so neanche io, ma ormai sono un personaggio vivo, perché presente da circa 2000 anni nelle riflessioni di miliardi di uomini e donne religiose; e scusate se non è poco!

Così vi racconto come l’ho vissuta io.

 

Avevo sfidato la vita ed ero stato catturato. Mi sentivo totalmente disperato, distrutto nel fisico e nel morale e senza speranza. Da quel momento non sono più stato me stesso, ma un pezzo di carne viva in mano alle guardie, sballottato qua e là, percosso, umiliato, affamato, assetato. Rimpiangevo il mondo là fuori che continuava pacifico la sua vita di ogni giorno e l’odiavo al tempo stesso perché non soffrivano quello che soffrivo io. La notte non dormivo ma vegliavo i miei incubi.

Quando ci hanno inchiodati alla croce di legno, ho vomitato l’anima dal dolore e dal terrore di rimanere appeso come si appende un maiale scannato perché spurghi tutto il sangue dalla gola squarciata. Almeno ne fanno sanguinacci di quel sangue. Il mio avrebbe intriso la terra e poi sarebbe stato diluito dalle piogge o disperso dai calzari della gente. Tanta gente…..ma mia madre non era lì, mi aveva ripudiato da tempo.

A fianco a me ho riconosciuto un uomo, di nome Gesù, che avevo visto da lontano passare per Gerusalemme seguito da una schiera di uomini e donne che lo esaltavano, ma la cosa non mi aveva interessato più di tanto, perché avevo i miei affari da seguire e nemici da cui nascondermi.

Mentre stavamo così in preda a dolori indicibili, tutti e tre fermi – e chi si poteva muovere – e in silenzio – che si poteva mai dire ? -  l’altro, quello che voi chiamate il Cattivo Ladrone, che era un poveraccio come me – e chi non lo è in quelle condizioni ? – prese a blaterale qualcosa prima piano poi sempre più forte e con maggiore insistenza. Chiedeva a Gesù di salvare sé stesso e noi (per fortuna si era ricordato anche di me) perché lui aveva il potere di farlo. Lo chiamò Cristo, che per quanto sapessi voleva dire qualcosa come messia, salvatore di Israele, un uomo che può tutto insomma.

Che follia! Chiedere a un poveraccio di usare un potere che chiaramente non aveva, perché se lo avesse avuto, non sarebbe stato certo inchiodato ad una croce. Diceva cose che aggiungevano male interiore al male fisico che non ci abbandonava un istante.

In mezzo al dolore sentii una rabbia prepotente che montava dentro – che ci lasciasse morire in pace invece di torturarci entrambi con i suoi sogni di grandezza e potere. E così mi uscì fuori qualcosa di nuovo per me, che normalmente non mi fregava niente degli altri e della loro vita. Parlai di giustizia, di ingiustizia, meriti, male, Regno, futuro, anch’io ormai folle dalla paura non sapevo più neanche cosa stavo dicendo: parole rivolte proprio a questo Gesù che non conoscevo, parole insolite per me, che però mi fecero star bene, almeno per qualche istante, come se avessi finalmente fatto qualcosa di buono nella mia vita, prima di ripiombare nel dolore e nell’angoscia.

Successe qualcosa di strano. Quel Gesù non degnò di uno sguardo quello che voi chiamate il Cattivo Ladrone (come se io fossi buono) e rivolse lo sguardo verso di me, sussurrando la promessa di un futuro prossimo con lui nel paradiso.

Quello che più mi impressionò fu lo sguardo su di me che accompagnava le sue parole. Uno sguardo di tenerezza esistenziale, come una carezza di affetto, una mano calda su un corpo infreddolito, un bicchiere di acqua pura all’assetato, un abbraccio all’impaurito, un lavaggio su una ferita aperta.

E poi la parola “paradiso” mi ricordava qualcosa di quando ero bambino e mia mamma me ne parlava sempre, come di un luogo, un tempo di pace, serenità, assenza di dolore; quel dolore che sentivo, ma non sentivo più come prima. Era diventato un dolore sopportabile, anzi gradito, perché stava rompendo tutte le durezze accumulate negli anni, la mia corazza interiore, difesa e prigione al tempo stesso. Tutto questo cadeva a pezzi, si frantumava, si scioglieva; sentivo un gran calore nel petto, una forza nuova si allargava piano piano, prendendo tutto il mio corpo.

Non so bene se fossi ancora sveglio o vivessi un sogno o se le due cose alla fine coincidevano. So soltanto che alla fine successe una cosa meravigliosa, successe che…»

 

Claudio Giambelli- CdB di san Paolo - Roma


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