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ORA DI RELIGIONE ED ESPERIENZE DI EDUCAZIONE NON CONFESSIONALI

La sentenza del TAR del Lazio a proposito dell'insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche ha finalmente svegliato la riflessione e il dibatitto su un tema colpevolmente dormiente.

Ha ragione il sociologo Franco Ferrarotti nel sostenere che la fame di sacro e il bisogno di religione vanno sottratti all'abbraccio mortifero della religione-di-chiesa, burocratica e gerarchicamente autoritaria. Se c’è una vittima della cultura violenta del dominio del sacro è l’educazione o meglio sono i bambini. La lezione confessionale di religione o di catechismo, strutturalmente basata com'è sul dogmatismo, separata dalla vita, apertamente o spesso sottilmente impastata di sensi di colpa, di peccato, di sacrificio, di paura, è una delle più grandi violenze che si possono fare alle coscienze in formazione. Il monopolio educativo in campo religioso delle chiese, di quella cattolica ma non solo, impedisce o rende assai difficile agli educatori, insegnanti, genitori di mettere i ragazzi e i giovani in condizione di avvicinare laicamente le esperienze storiche e attuali di spiritualità-sapienza-religione. Si rischia la contrapposizione rispetto all'insegnamento dogmatico. Eppure bisogna tentare, usando tutti gli accorgimenti pedagogici per evitare o limitare al massimo situazioni di conflittualità interiore.

Chi pratica percorsi pedagogici innovativi con forza creativa sa bene che da una educazione o da una scuola laica non si possono escludere gli aspetti spirituali e religiosi e si devono tentare anche in quel campo esperienze alternative positive e non contrappositive. Altrimenti i giovani verranno formati in aspetti fondamentali della personalità e della coscienza solo dall’insegnamento dogmatico della religione di chiesa, senza potersi confrontare con un sapere laico.

Esperienze di educazione liberatrice laica non-confessionale in campo spirituale-morale-religioso per la verità ce ne sono, forse in abbondanza specialmente fuori d’Italia, ma non emergono, sono scollegate fra loro, non costituiscono più movimento. Soprattutto tali esperienze sono private degli strumenti di comunicazione e di confronto dalla cappa di conformismo che c’è in giro.

E’ così che quei genitori e insegnanti che riescono a percepire la struttura autoritaria e sottilmente violenta della catechesi, e ne soffrono, non riescono a trovare punti di riferimento per impostare una ricerca in campo religioso che sia coerente con la loro impostazione pedagogica. Si tratta spesso di educatori che praticano una pedagogia strutturalmente laica, invitano a porsi interrogativi e curiosità più che dare risposte, impostano metodologie di ricerca più che proporre/imporre saperi e verità, favoriscono il protagonismo dei ragazzi e dei giovani piuttosto che imporre la propria personalità, orientano verso un sapere socializzato e verso la cooperazione dando l’esempio e quindi presentandosi agli studenti e anche ai figli non in forma individuale ma come gruppo, équipe, comunità di operatori educativi che collaborano e si confrontano, tesi a socializzare il sapere piuttosto che a trasmettere un sapere posseduto. Ma essi non riescono a trovare strumenti per praticare coerentemente questa pedagogia nel campo dell’educazione religiosa.

Le esperienze educative delle Comunità di base potrebbero rivelarsi utili soprattutto per gli educatori laici, insegnanti, genitori.

In molte comunità di base, che per la loro posizione di frontiera sono il luogo privilegiato dell’innovazione anche in questo campo, gruppi di genitori insieme a educatori e animatori tentano la difficile strada di una educazione di sintesi fra la tradizione e l’innovazione, fra il meglio delle esperienze religiose dell’umanità, nessuna esclusa, e in particolare, ma in modo non esclusivo, fra il Vangelo e la scienza, fra la dimensione spirituale e quella intellettuale-fantastica-materiale, fra il mondo simbolico e rituale religioso e la simbologia laica.

Quei gruppi di genitori cercano, faticosamente bisogna dirlo, di riprendersi il ruolo di educatori accettando di crescere insieme ai loro figli e di ricomporre in una sintesi nuova la propria personalità. Non sono sognatori. Fanno cose piccole ma vere. Le comunità di base non sono certo la soluzione e non vogliono essere un modello. Sono esperienze piccole e precarie. Non vivono per riprodursi e durare. Si pensano e si vogliono come una ventata leggera, forse dello Spirito che soffia dove vuole. Ma potrebbe trattarsi di una brezza di futuro.

I materiali che le varie communità producono nel campo della educazione, diversamente datati, hanno in comune alcuni caratteri essenziali di contenuto e di metodo che riteniamo molto attuali.

- Laicità come liberazione e autonomia dalle dipendenze alienanti, dall’assolutismo con cui non di rado vengono presentate ai giovani le acquisizioni della scienza e specialmente della storiografia, dal dogmatismo di quelle che vengono definite “verità di fede”, dall’omologazione ai modelli imposti da un sistema di norme morali senz’anima.

- Spiritualità – religiosità – sapienza, non in senso moralistico e impositivo, non come “dover essere” né come colpevolizzazione, ma piuttosto nel senso della ricerca per elaborare insieme ai ragazzi/e il bisogno di orientare positivamente la propria esistenza, partendo da interrogativi, angosce, paure, idealità, esperienze, e alimentandosi al patrimonio prodotto dall’umanità, in particolare, ma non in modo esclusivo, al Vangelo e alla Bibbia.

- Creatività, utilizzando “tecniche didattiche” diverse molte delle quali i ragazzi/e conoscono già perché ormai ampiamente usate nella didattica scolastica.

- Intercultura, che significa educazione in un orizzonte di arricchimento reciproco e intreccio fra le culture. Si parla molto oggi di intercultura ma di frequente ci si limita al dialogo, spesso riservato ai rappresentati ufficiali delle religioni con sistematica esclusione per ogni realtà di dissenso interno ad ogni religione o cultura; ci si apre anche a una conoscenza e a un certo rispetto per fedi, usanze, e ritualità diverse. Tutto questo non è certamente da sottovalutare ma non è ancora intercultura. Può essere un primo passo purché in un cammino senza preclusioni. Mentre spesso è un approdo nella convinzione della superiorità se non della assolutezza della propria cultura e religione.

- Partecipazione-collaborazione fra bambini e ragazzi di età diversa, fra giovani e adulti, priva di ogni elemento di esclusione o emarginazione.

Non sarebbe l'ora di fare uno sforzo per rendere fruibili tutti questi materiali educativi?

                                                                                                                                                                                            Enzo Mazzi - CdB Isolotto - Firenze


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