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Un nuovo paradigma teologico

 

         Nell’ultimo suo scritto, incompiuto, il mai dimenticato amico fraterno Martino Morganti scriveva: “In un giorno che non so ma in un periodo di anni ipotizzabili [fine anni '60 - inizio '70], conobbi l’ortoprassi, e fu una buona conoscenza”. È quanto è successo a me (si parva licet…) con la teologia del pluralismo religioso.

         Per la maggior parte della sua esistenza la chiesa ha pensato e preteso di essere l’unico ovile: fuori della chiesa non c’è salvezza; era la teologia esclusivista. Dal secolo scorso nasce e si afferma, con il concilio Vaticano II, la teologia inclusivista: la salvezza avviene anche al di fuori della chiesa, ma non fuori di Cristo, unico salvatore-mediatore universale. Tra gli anni 60 e 70 vede la luce, non come prodotto di una scuola teologica fondata da un qualche teologo geniale, ma come movimento spirituale nel seno del popolo di Dio in tutti i continenti, la teologia del pluralismo religioso, che consiste nel riconoscere che la salvezza è presente anche in altre religioni senza la mediazione universale di Cristo.

Due sono le differenze essenziali rispetto alla teologia inclusivista:

- Bisogna accettare una reale pluralità di vie della salvezza, che sono tante quante sono le religioni; quella cristiana è “una fra le altre”. La spiritualità cristiana deve spostarsi dal centro verso un lato, per lasciare al centro solo Dio. Non è che le altre religioni girino intorno a noi; noi, con le altre spiritualità, giriamo intorno a Dio.

- E’ necessario deassolutizzare il cristocentrismo. Il processo di assolutizzazione di Cristo è avvenuto molto dopo il Gesù storico, ha avuto momenti ben distinti, si sono registrate cristologie molto diverse e parzialmente contraddittorie. Perché considerare chiuso questo processo nel quarto-quinto secolo? Poi sarà anche necessaria la riconversione pluralista di tutte le branche specifiche della teologia; per questo la teologia pluralista è presentata come un nuovo paradigma teologico. Che non avrà vita facile.

         Probabilmente questo argomento non è proprio da “primo piano”. Ma lo è per me, perché in questi ultimi anni ho “riconosciuto” in vari scritti (1) che hanno affrontato questo tema, qualcosa di cui ero già convinto da tempo, e che lì ho trovato meglio espresso, con parole, concetti ed una elaborazione più appropriati dei miei. Capita a tutti di ascoltare una certa tesi, un certo giudizio e riconoscere con soddisfazione: era proprio quello che pensavo io, anche se non riuscivo a dirlo così bene. L’idea che un’unica tradizione religiosa possa abbracciare compiutamente tutta la pienezza delle realtà ultime, mi è da tempo parsa inaccettabile; la categoria del “popolo eletto”, ebraico o cristiano che sia, mi è sempre sembrata, per dirla in breve, un po’ razzista. E, se devo essere sincero fino in fondo, non sono proprio così sicuro che le religioni abbiano potuto disvelare chissà quali verità e che possano essere un veicolo di salvezza (bisognerebbe mettersi d’accordo almeno su cosa significa!) per chicchessia [Ma in questo sono contraddetto in modo netto da uno dei maggiori teologi della teologia pluralista (Paul Knitter), che vede invece nelle religioni del mondo unite la sola possibilità di salvezza per l’umanità]. Non potendo ragionevolmente pensare alla scomparsa delle religioni, mi pare che un approfondimento della teologia pluralista possa essere un passo importante almeno per un allargamento degli orizzonti, per la fine delle troppe guerre di religione presenti, in vario modo, sul nostro pianeta, per un maggior rispetto reciproco fra tutti. E forse anche un brevissimo accenno sulla nostra rubrica può far scoprire ai pochi che non la conoscono una nuova dimensione della teologia, dalle enormi prospettive.

Leo Piacentini

CdB del Luogo Pio - Livorno

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(1) Vorrei poter citare almeno i due volumi editi dalla EMI, nel 2004 e 2005, con il titolo “I volti del Dio liberatore”. Nell’edizione spagnola sono già usciti anche il terzo e quarto volume, ma pare che la EMI non possa o voglia pubblicarli. Da segnalare due numeri di Adista: il n° 52 (8 luglio 2006) ed il n° 86 (2 dicembre 2006), che presentano rispettivamente i due volumi non pubblicati di cui sopra, ed anche il n. 1 di Concilium del 2007, dedicato interamente a "Teologia e pluralismo religioso".


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NOTA:

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