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IL TEMPO DELLA DISTANZA

“Per tutto c’è il suo tempo; c’è il suo momento per ogni cosa sotto il cielo” dice l’Ecclesiaste; ecco, oggi è il tempo della distanza.

Su l’Unità del 21 settembre, dando conto dell’accoglienza all’aeroporto delle bare dei parà morti a Kabul, si riferisce che una ragazza portava una maglietta con stampata la frase: “Quando gli angeli non poterono più nulla il signore creò i parà”. Tanti anni fa avrei sentito disagio per questo immaginario simbolico, più tardi avrei dissentito denunciando un ricorso al Dio della guerra e delle armi per sostenere interessi di ben altro campo; oggi in molte e molti valutiamo la distanza dei nostri percorsi di ricerca del divino e non entriamo neanche in un atteggiamento di denuncia quasi per non dar loro un vago riconoscimento di validità. Abbiamo messo il signore al margine, fuori dal cerchio del potere.

Disagio-dissenso-distanza: tre tappe che penso molte/i di noi hanno attraversato in tanti ambiti. Per restare in quello dell’immaginario simbolico, penso al disagio che abbiamo dapprima avuto noi donne rispetto al silenzio operato nei confronti delle donne della Bibbia e nei Vangeli; l’abbiamo denunciato; oggi sentiamo la distanza e andiamo oltre per interrogarci piuttosto su cosa significhi cercare il divino nelle strade del mondo, fra quali compagne e compagni (amo questo termine molto più di sorelle e fratelli) per rapportarci a loro.

Quanto al rapporto con la Chiesa, c’è stato per molte/i il tempo del disagio rispetto ad una profonda contraddizione fra un appello alla libertà che sentivamo venire dal vangelo al popolo di dio e le strettoie in cui sentivamo che veniva costretto dai “pastori del gregge”. Poi c’è stato il tempo del dissenso in cui abbiamo contestato il modo con cui veniva tradito il concilio che sembrava dovesse aprire strade per un rinnovamento. Oggi, anche avendo denunciato la struttura oligarchica e patriarcale di questa Chiesa, misuro la distanza da essa e non entro neanche più nel merito dei suoi stili ecclesiastici. Valga un esempio: non dirò mai che la Chiesa deve chiedere scusa alle donne per ridare loro dignità, sarebbe come dare alla gerarchia ecclesiastica un riconoscimento di autorità che non posso ammettere.

E’ stato detto e mi si continuerà a dire che altra cosa è la costruzione di una “chiesa altra” o di una “chiesa delle donne”. Ma sento ancora una volta che la distanza, “il vuoto”, lo devo operare anche rispetto alle parole: oltre a signore, anche fede, credo, chiesa, regno. Un tempo ci saremmo teologicamente arrovellati, e qualcuno ancora forse lo fa, su cosa è più importante: un “cristianesimo ecclesiocentrico” o un “cristianesimo regnocentrico” (si dice così?).

Beh, oggi è il tempo della distanza e cerco solo compagne e compagni con cui sperimentare - se ha ancora un senso – la sequela di Gesù sulle strade della Galilea.

 

Giovanna Romualdi


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