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Di ritorno da Sibiu

Prima di tutto Sibiu. È la Romania che non ti immagini. Un accogliente centro storico di stampo austro-ungarico circondato da una piuttosto anonima e grigia periferia da “socialismo-reale”.

Poi la terza Assemblea Ecumenica Europea: non ho raffronti da fare, è la mia prima esperienza. Ma a sentire chi è stato a Graz ed a Basilea è tutto qualche gradino sotto.

A me ha urtato la eccessiva atmosfera di ufficialità e di protocollo delle assemblee plenarie: discorsi ufficiali di saluto delle gerarchie delle diverse chiese rumene ed europee,  interventi dei politici (dal presidente del consiglio rumeno al presidente della commissione europea Barroso), etc.

I Fora pomeridiani hanno affrontato i temi di “unità, spiritualità, testimonianza”, “Europa, religioni, migrazioni”, “creazione, giustizia, pace”: dalla mia parziale esperienza diretta e dal confronto con gli amici presenti a Sibiu, nessuna idea originale, cioè discorsi già sentiti, quasi che l’ecumenismo si debba fare su tutto al livello più basso, a quello minimo condiviso.

Ed i delegati: erano 2100, ma non si capiva per quale scopo e con quali compiti erano stati convocati. Possibilità d’intervento, anche nei Fora, praticamente quasi nulla: potevano solo fare domande scritte che gruppi di redazione sintetizzavano e leggevano per una risposta complessiva dai relatori.

L’ultimo giorno però anche i delegati hanno avuto il loro momento di gloria: per le proposte di modifica del documento finale decine di delegati sono andati al microfono ed il presidente di turno è stato costretto ad ascoltarli tutti.

Poi il giallo del documento finale, dato per approvato alla sua ultima lettura e che, ad oggi, non è ancora uscito per differenze di interpretazione di alcune parole: cattolici ed ortodossi che hanno voluto esprimere un “rispetto della vita dal concepimento alla morte naturale” e protestanti che contestano questa dizione, inserita senza possibilità di espressione di un voto da parte dell’assemblea.

I momenti migliori credo siano stati quelli delle preghiere comuni del mattino e delle riflessioni bibliche; affiorava la voglia di essere insieme. Poi però la sera ed il sabato e la domenica mattina ogni chiesa ritornava alle celebrazioni sue proprie.

Al ritorno da Sibiu mi porto questa convinzione: che la strada dell’unità delle chiese sia non solo utopica e irraggiungibile ma forse anche non utile da perseguire; che non sia preferibile una genuina e cordiale convivialità delle differenze, così come diverse furono le esperienze delle prime comunità che si sparsero nel mondo dopo la morte di Gesù di Nazareth?

 Stefano Toppi

- CdB di San Paolo - Roma

 


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NOTA:

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