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Beppe Manni

PRETI IN DIOCESI DI MODENA

Gazzetta di Modena Novembre 2009

 

I Parte

In occasione dell’Anno sacerdotale anche la diocesi di Modena si interroga sulla figura del prete e sulla drammatica situazione modenese che rispecchia il quadro generale della chiesa: pochi preti e anziani che non riescono a coprire le necessità delle 243 parrocchie.

 

Nel 2009-2010 la chiesa italiana celebra l’anno sacerdotale. Anche  la diocesi di Modena è invitata a riflettere sul prete.

La figura del prete oggi è in grave crisi. Non solo perché ci sono meno sacerdoti, ma perché sta cambiando radicalmente il suo ruolo, creando nel sacerdote stesso sofferenze legate alla solitudine e alla crisi di identità.

All’interno della chiesa non si ha il coraggio di affrontare il problema alla radice. Ci si limita spesso a fare affermazioni teoriche o a cercare soluzioni tecniche come risolvere giuridicamente i problemi delle parrocchie o semplicemente  limitarsi alla “strategia delle messi domenicali”.

Il problema è delicato e complesso. Affrontiamo per ora il livello pastorale che è quello più oggettivo e le osservazioni certamente più condivisibili.

1 - Nella diocesi di Modena ci sono 243 parrocchie. I preti diocesani sono oggi 217 dei quali 20 non autosufficienti e 20 extradiocesani. L’età media dei presbiteri è di 61 anni. 134 parrocchie non hanno più un parroco residente e con grande fatica può essere garantita una messa domenicale. Ogni domenica, 50 preti devono passare da una chiesa all’altra per dire una messa spesso frettolosa, senza possibilità di curare l’incontro con i parrocchiani. Manca del tutto il rapporto con le famiglie del territorio. Spesso preti ultra settantenni devono correre pericolosamente da una parte all’altra della montagna e della bassa a celebrare messe.

2 - Il vescovo cerca di dare risposte diversificate a questa situazione drammatica. a) Da una parte si continua la politica della ricerca di nuove vocazioni. Si organizzano convegni e preghiere. Si arriva spesso a colpevolizzare le parrocchie che non si danno sufficientemente da fare e i giovani che non sarebbero più disponibili a dare la loro vita al servizio degli altri. Ma seminari minori di Fiumalbo e Nonantola (prime cinque classi, 11-16 anni)) sono stati chiusi da tempo. Rimane il seminario di Modena che ospita sette studenti in  teologia (4 modenesi e 3 carpigiani) che studiano a Reggio Emilia. b) Da diversi anni si sono accorpate piccole parrocchie, in una stessa unità pastorale, servite dai preti della parrocchia maggiore. Si accetta ormai che qualche comunità rimanga senza la messa della domenica. c) Si utilizzano non solo “preti religiosi” (francescani, paolini, deheoniani, salesiani, domenicani ecc), tradizione tra l’altro solidificata da anni, ma si prendono in prestito preti stranieri. A Modena sono una ventina per lo più polacchi e africani. Spesso non capiscono appieno la nostra realtà modenese e ripropongono una religiosità tradizionale che non conosce le novità del concilio. Impoveriscono le loro diocesi di origine che avrebbero bisogno della loro presenza. e) Qualche diacono o suora la domenica raduna i credenti e quando non può essere  celebrata la messa, organizza la “Liturgia della parola”, la lettura commentata della bibbia, preghiere, canti e distribuzione dell’eucarestia, conservata nel tabernacolo. La mancanza di un prete residenziale ha suscitato tra i cristiani del luogo energie insospettate. A Benedello di Pavullo ad esempio, Ennio Baschieri “gestisce” la parrocchia: distribuisce la comunione, va a trovare i malati e cura il catechismo. Quando la domenica non può essere presente un prete, fa la liturgia della parola. Le suore di Roccasantamaria hanno retto per alcuni anni in modo eccellente, la piccola parrocchia di montagna. e) Anche a Modena nascono comunità sacerdotali (come a Collegara e a Campogalliano): alcuni preti vivono insieme e rispondono ad incarichi pastorali diversificati.

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II Parte

La tradizione, l’esperienza delle chiese ortodosse e riformate, le esigenze moderne propongono e richiedono una figura differenziata di prete: il prete celibe, il prete sposato, il monaco, il pastore, il missionario, il parroco donna.

 

Se le gerarchie cattoliche non ammettono alcun cambiamento della tradizionale figura del prete: parroco, celibe, maschio, alla base della chiesa il clima sta cambiando.

1 - I preti africani, tedeschi, sud americani parlano ormai liberamente di una possibilità di un clero uxorato, sposato. Come si legge nella I lettera a Timoteo, l’apostolo Paolo nel I secolo chiedeva che il prete della comunità fosse scelto dalla comunità in base alla sua onesta, povertà e testimonianza di fede, che avesse una moglie sola e figli ben educati. Sembra che oggi si trovino pochi giovani disposti a fare il prete nel modo richiesto dalla tradizione e dal Papa: celibi, senza una professione, troppo sacralizzati. Il Papa stesso ha appena accolto nella chiesa cattolica preti anglicani con moglie e figli. Ci sono giovani e adulti sposati che già si spendono generosamente per la comunità, nella catechesi, nel volontariato. Alle volte si dimostrano più maturi e preparati dei preti. Ma rimangono in un limbo di prete-dipendente, di laicato dimezzato. Il ruolo del diacono deve cambiare, evolversi, diventare adulto.

2 -  E poi le donne. Non ci sono obiettivi riscontri teologici o biblici per non dare il sacerdozio alle donne e alle suore che lo desiderano: le donne pastore nelle chiese riformate, si sono dimostrate una grandissima ricchezza.

3 - Un discorso particolare lo meritano i cosiddetti ex preti. Dal 1965 più di trentacinque preti solo nella nostra diocesi, hanno smesso di fare il prete. Negli anni 70 le uscite sono state ufficiali e spesso accompagnate da polemiche e discussione pubbliche. Oggi l’emorragia continua ma in tono privato. Si preferisce tacere. Le motivazioni sono diverse. Molti preti, hanno dovuto lasciare il sacerdozio perché hanno scelto di farsi una famiglia, altri perché non si trovano nel ruolo che pur avevano scelto anni prima. Il fenomeno ex preti, è rimasto un problema irrisolto, ha creato disagio e non si è mai affrontato pubblicamente e seriamente. Infatti questa forza-lavoro specializzata, non è stata in alcun modo contattata ufficialmente e non gli è stato chiesto, nella nostra diocesi, di fare congrui e dignitosi servizi nella diocesi. 

Le osservazioni sono  schematiche. Ma potrebbero suscitare un proficuo dialogo all’interno della chiesa e perché no, della città. Sarebbe molto più interessante della questione “Crocefisso” chiedersi quale prete vuole oggi la città? Ciò che deve interessare non è tanto la garanzia materiale della messa domenicale. La sola messa, necessariamente frettolosa, non crea ipso facto, la comunità. Siamo consapevoli quanto un pastore-prete, specialmente nei paesi di montagna ormai abbandonati da medico, farmacista, maresciallo e maestra, sarebbe un valido presidio per mantenere salda una comunità che rischia di sfaldarsi. 

Possiamo rimandare ad una pagina successiva, una riflessione sulla figura teologica e psicologica del prete. Sulla sua identità. Non esiste solo il modello di prete che conosciamo: il parroco e lo studioso come il curato d’Ars, figura di riferimento per l’anno sacerdotale, e a  Modena don Beccari, don Diaco, don Luppi, don Andreoli e don Altavilla, giustamente proposti alla riflessione della diocesi in questo anno. Ci sono stati altri modelli: il prete partigiano, il parroco imprenditore della montagna, il prete-operaio, il missionario. Se ne possono inventare altri. Uomini e donne che stanno sperimentando ruoli di responsabilità nella chiesa. Uomini e donne “laiche” che sono bravi catechisti, ottimi consiglieri, profondi teologi e autentici pastori di gruppi e comunità.