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Enzo Mazzi

COM'È AMBIGUO IL TRIBUNALE DI VITO MANCUSO

il manifesto 24 agosto 2010

 

I fasti della Mondatori non sono dovuti solo al cast di brillanti professionisti di cui essa si avvale ma derivano anche dal radicamento più o meno sotterraneo, già a partire dal ben noto lodo Mondatori, nell’humus torbido del sistema di potere berlusconiano. La cosiddetta “legge ad aziendam”, varata di recente, che in forma estragiudiziale solleva quasi interamente l’azienda dal pagamento al fisco di un’enorme somma, 350 milioni di euro, è solo la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Messa così, diventa un po’ più credibile e forse anche coraggiosa l’esternazione dei turbamenti di coscienza di Vito Mancuso (la Repubblica di sabato scorso e di ieri). L’autore di libri di successo su temi di etica e teologia si domanda come continuare a far parte quale consulente editoriale e autore di un’azienda che calpesterebbe elementari principi etici e di diritto. E quasi in una implicita chiamata in correo chiede di contribuire a risolvere i suoi turbamenti di coscienza ad altri autori della Mondatori e di aziende ad essa collegate: nientemeno che Augias, Citati, Saviano, Scalfari, Zagrebelski ….

Ho stima di Mancuso, condivido molti aspetti della sua etica e rispetto la sua intelligenza, qualcosa però della sua esternazione non mi convince. Sembra che egli dormisse sonni tranquilli fino al momento in cui non ha letto la denuncia della “legge ad aziendam” fatta da Giannini (la Repubblica di venerdì scorso). Eppure era ben noto anche a lui che autori come Carlo Ginsburg e Corrado Stajano avevano mollato la Mondadori fin dall’inizio della proprietà berlusconiana per non essere complici di un sistema di potere corrotto. E non c’è solo questo. M’inoltro in un terreno troppo complesso e ampio per una breve riflessione come questa, ma non si può evitare di scavare un po’ in profondità. Il successo di aziende editoriali e di autori come Mancuso non piove dal cielo limpido di una capacità intellettuale e comunicativa. E’ sempre interno a un’etica della competizione globale. La quale ha come postulato fondamentale il compromesso con le spietate regole del mercato che produce e deve produrre vincitori, una piccola elite, e vinti, le grandi maggioranze senza volto né voce. E’ corrotto in radice il sistema del mercato, anche di quello editoriale. Lo dice con lucido cinismo lo stesso John. M. Keynes, noto economista inglese, considerato il padre dello stato sociale, quando, nel 1930, getta per una volta lo sguardo nel lungo periodo e si pone il problema delle Prospettive economiche per i nostri nipoti: "Almeno per altri cento anni dobbiamo fingere noi e tutti gli altri che ciò che è giusto è cattivo e ciò che è cattivo è giusto; perché il male è utile mentre ciò che è giusto non lo è. L'avarizia, l'usura e l'astuzia debbono essere i nostri dèi ancora per un certo tempo, perché essi soli possono farci uscire dal tunnel del bisogno economico e portarci verso la luce del giorno" (da Esortazioni e profezie, Il Saggiatore, Milano 1968).

Che fare? Mancuso su la Repubblica di ieri replica così alla Mondatori: “Voi sapete che oltre al tribunale esteriore esiste un tribunale interiore. Col tribunale esteriore si può venire a patti pagando qualche milione di euro. Col tribunale interiore no”. Caro Vito, il tribunale interiore chiede che si paghi un prezzo per limitare i danni della inevitabile complicità. Lo sanno bene ad esempio i redattori di questo giornale e dell’Editrice Manifestolibri e i loro autori e lettori, i quali realizzano un prodotto culturale di alto rilievo ma devono fare acrobazie incredibili per restare in piedi con la schiena dritta. Lo sanno quanti impegnano la loro vita non tanto per il loro successo personale quanto per far emergere le soggettività popolari dall’anonimato, dall’invisibilità e dalla afonia.