Qualcosa è cambiato. Le chiese italiane di fronte all’omosessualità

da Adista Documenti n. 78, 8/11/08

È una discussione certamente non priva di contrasti quella che sull’omosessualità è stata avviata all’interno delle Chiese italiane da circa un decennio. Sul modo in cui tale confronto o scontro si è sviluppato e trasformato nel corso degli anni e sulle prospettive di questo percorso, si confronteranno teologi, pastori e laici di varie Chiese (valdesi, battisti, cattolici, metodisti, veterocattolici, ecc.) durante il convegno promosso, dal 7 al 9 novembre a Firenze, dalla Refo, la Rete Evangelica Fede e Omosessualità, in occasione dei suoi primi dieci anni di vita.

Il convegno, che avrà per tema “Chiese e omosessualità: un percorso decennale, e poi quali prospettive?”, si concluderà con un culto ecumenico sul tema dell’accoglienza delle persone omosessuali e con un incontro dei gruppi di credenti omosessuali cattolici ed evangelici sull’organizzazione della Veglia di preghiera 2009 in ricordo delle vittime dell’omofobia.

E proprio riguardo alla discussione interna alle Chiese sui diritti e sull’accoglienza delle persone omosessuali, il portale Gionata, che raccoglie notizie, testimonianze, articoli e recensioni di libri sul rapporto tra la fede e l’omosessualità, ha sollecitato i contributi di teologi, pastori e laici impegnati da tempo su questo tema. Hanno risposto, tra gli altri, il pastore valdese Gregorio Plescan, che offre un quadro del dibattito in corso nella Chiesa valdese e metodista; il teologo Norbert Reck, redattore responsabile dell’edizione tedesca della rivista Concilium e Mauro Castagnaro, giornalista e membro di “Noi Siamo Chiesa”, curatore del dossier su “Diversità sessuale e teologia in America Latina” che fa il punto sulla realtà della Chiesa cattolica in rapporto alle persone omosessuali.

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CHIESA VALDO-METODISTA E OMOSESSUALITÀ. COSA È CAMBIATO?
di Gregorio Plescan

Nell’ultimo decennio l’approccio della Chiesa valdese e metodista all’universo omosessuale è cambiato. Ciò non è avvenuto in maniera particolarmente clamorosa, né uniforme, perché sicuramente ci sono anche nelle nostre comunità diversi “spazi di omofobia” ed è bene ricordarlo, per evitare che ci si illuda troppo di essere in un piccolo angolo di grande tolleranza, migliore dal mondo che ci circonda.

Il cambiamento più profondo è dato dal fatto che oggi, in molte comunità valdesi e metodiste, si può parlare apertamente della questione omosessualità, così come non è un tabù pensare, dire e scrivere che anche le coppie gay e lesbiche devono poter avere una qualche forma di riconoscimento della loro relazione da parte della Chiesa.

Non è un percorso facile: in tutte le chiese si annida un certo conservatorismo e un certo moralismo, che non riguarda solo la sfera dell’affettività, ma che in realtà spesso fa in modo che il banco di prova della fede sia essenzialmente la camera da letto.

Poter parlare serenamente di omosessualità in chiesa significa anche accettare di rivelare in che modo e a che proposito ciascuno/a di noi è moralista e sollevare una questione difficile ma indispensabile, quella secondo cui l’amo-re ha molti modi di esprimersi e nessuno può dire quale se ce ne sia un unico ammissibile.

Il cambio di prospettiva rispetto all’omosessualità ha implicato un ripensamento che tocca almeno tre aspetti del nostro modo di pensare abituale: la lettura e l’interpretazio-ne della Bibbia e della nostra storia.

Riguardo alla Bibbia si è posto (e si pone sempre di nuovo) la questione degli occhiali che si inforcano per leggerla. Spesso la Scrittura è stata considerata un “contenitore di ricette” da applicare alla realtà, anche quando i suoi approcci al mondo rispecchiano situazioni ormai molto lontane nel tempo e legate a condizioni sociali e politiche difficilmente comparabili alle nostre.

Dobbiamo insomma capire che “conformare la nostra vita alla Bibbia” non significa fingere di vivere al tempo di re Davide o di Gesù, ma piuttosto fare lo sforzo per accostare le situazioni di chi parla la Bibbia a quelle che noi sperimentiamo.

Uno sforzo reale, perché ci costringe al confronto, all’a-scolto e ad ammettere che la “verità” va cercata giorno per giorno e non possiamo pretendere che ci sia stata rivelata una volta per tutte. Operazione questa impegnativa ma utile per affrontare anche altre sfaccettature del rapporto fede e vita, non solo quelle etiche.

Il rapporto con la storia è altrettanto delicato e non così facile da capire per chi non è valdese. Come tutti i gruppi, anche i valdesi hanno una “mitologia collettiva”, un’imma-gine di sé stessi che è molto più solida di quanto si possa immaginare: la storia dei valdesi, così dolorosamente segnata da guerre e persecuzioni, ha fatto in modo che spesso le qualità dei personaggi di riferimento fossero la fermezza virile degli eroi e la femminilità tradizionale delle eroine.

Non è facile quindi per tutti immaginare che alcuni personaggi storici di riferimento fossero gay e vivessero la loro omosessualità nel buio, con angoscia e vergogna: fino a pochi anni fa ad esempio un libro sul metodista Jacopo Lombardini, morto martire in un Lager tedesco perché militante antifascista, faceva un giro di parole incredibile per dire e non dire che forse era gay.

Parlare di omosessualità vuole in pratica dire che anche il fratello o la sorella possono essere omosessuali senza che ciò costituisca un problema o che sia seguito da un “sì, ma…”.

Le Chiese tendono a presentare sé stesse come entità neutrali e sopra le parti, ma in realtà i rapporti che vi si instaurano sono spesso lo specchio dei valori e dei disvalori della società in chi esse si muovono. Nella nostra tradizione, come per altro in molte altre italiane, vi sono indubbiamente delle incrostazioni patriarcali e un determinato modo di pensare ai rapporti tra le persone è basato da una serie di leggi non scritte ma vincolanti.

Aprirsi a discussioni franche sull’omosessualità significa anche accettare che vi siano modi diversi di vivere alcuni spezzoni della propria esistenza, in cui alcuni si può scoprire che vi sono dei modi di essere e di agire indicibili che invece posso essere ripensati.

Questo è un cammino, per ora, soprattutto iniziato e non compiuto. Il giorno in cui impareremo a pensare agli altri come a persone che Dio ha amato e per cui Gesù è morto sulla croce – senza pregiudizi di vario genere – deve ancora arrivare.

Ma, come i discepoli di Emmaus del Vangelo di Luca, siamo tutti e tutte per via!

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CRISTIANESIMO E OMOSESSUALITÀ. QUESTIONE D’IDENTITÀ
di Norbert Reck

Si può parlare di tre specifiche identità: dell’identità omosessuale, dell’identità gay/lesbica e dell’identità cristiana. Ognuna di esse produce determinati effetti nel comportamento delle persone.

a) L’identità omosessuale

Trae le sue origini dal XIX secolo e si basa sull’idea che l’attrazione sessuale tra persone dello stesso sesso abbia una motivazione biologica o psicologica. L’ “omosessualità” non è dunque un peccato, ma qualcosa di intrinsecamente radicato nella persona. L’aspetto positivo è che l’ “omosessuale” non è colpevole delle sue pulsioni e non deve quindi giustificarsi per qualcosa che esiste in lui.

L’aspetto problematico di questa considerazione è che, nel momento in cui costruisco un’identità omosessuale, non sono più io a provare attrazione per persone del mio stesso sesso, ma è qualcosa in me (i miei geni, i miei ormoni, la mia predisposizione fisica) a portarmi verso persone del mio stesso sesso. Anche se non lo volessi, la mia predisposizione mi impone che sia così. Devo accettarlo – così come altre persone accettano, ad esempio, una malattia mortale. L’id
entità di ogni persona “omosessuale” è per così dire soggiogata alla sua natura; è, in tal senso, una identità tragica.

Il messaggio politico: “Non possiamo fare nulla contro le nostre pulsioni – dovete tollerarci” (non sono mai state addotte prove scientifiche della presunta origine genetica, ormonale o psicologica dell’attrazione verso persone dello stesso sesso).

b) L’identità gay o lesbica

I gay e le lesbiche non si chiedono l’origine dei propri desideri. I loro desideri sono così e basta. Non sono qualcosa di estraneo o di imposto, bensì semplicemente ciò che desiderano. Non è un’imposizione, ma una loro libera scelta. L’aspetto positivo è che la costruzione di un’identità gay o lesbica passa per la costruzione di una propria identità, per la consapevolezza della propria persona.

Non è altro che il diritto da parte di ogni persona di vivere secondo la propria inclinazione – a patto che questo non danneggi altre persone. Non bisogna vergognarsene. E se si desidera lottare contro il mancato rispetto dei propri diritti nella società, allora si può anche esserne fieri: “gay pride”.

L’aspetto problematico: costruire la propria identità esclusivamente sull’affermazione dei propri desideri sessuali rischia di limitare altri aspetti della propria personalità. L’identifica-zione con un gruppo di gay o lesbiche può inoltre limitare la costruzione di una propria identità individuale.

Il messaggio politico: “Noi vogliamo quello che vogliamo – e voi dovete accettarlo!”

c) L’identità cristiana

L’identità cristiana, in realtà, è una non-identità. In questo mondo, i cristiani “non si sentono mai a casa” (Heinrich Böll); non si identificano con se stessi o con un gruppo di persone, bensì con Gesù Cristo, che insegna a “dare la vita per i propri amici” (Gv 15,13).

Nessuno però potrà mai dire che un cristiano è identico a Cristo. Cristo è sempre più grande di noi; chi dunque si identifica con Cristo vuole crescere oltre le sue possibilità, vuole trascendere la propria persona. Così dice Paolo: “non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me (Gal 2,20).

I cristiani sono certi di due cose:

1) che Dio li ama per quello che sono e 2) che Dio confida in loro molto più di quanto possano fare essi stessi. Seguendo Cristo, essi possono lasciare le loro piccole identità umane dietro di sé e diventare, come Cristo, vero amore. Le persone che si orientano verso persone del loro stesso sesso non si nasconderanno, in quanto cristiani, dietro alla “colpa” di una predisposizione biologica, ma ammetteranno davanti a Dio che il loro orientamento è determinato dall’amore.

Il messaggio politico: “Per combattere l’ingiustizia e l’odio, bisogna trasformare ogni rapporto umano in amore”.

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LA CHIESA CATTOLICA E LE PERSONE OMOSESSUALI. UN CAMMINO DA COSTRUIRE
di Mauro Castagnaro

Da circa 10 anni – cioè dalla preparazione del Convegno nazionale “Le persone omosessuali nella Chiesa. Problemi, percorsi, prospettive”, svoltosi a Milano nel 1999 e poi sfociato nel libro Il posto dell’altro – mi occupo del rapporto tra gay, lesbiche, bisessuali, transgender e Chiese, specie quella cattolica cui appartengo, e seguo i gruppi di omosessuali credenti italiani.

Per valutare che cosa sia cambiato in questo decennio in Italia, mi pare si debba distinguere, prima di tutto, tra le Chiese evangeliche e quella cattolica (in quelle ortodosse, ancora in fase di strutturazione in Italia, il tema non pare essere oggetto di dibattito).

Nelle prime si riproducono le differenze esistenti tra le diverse denominazioni sul piano internazionale, con le Chiese protestanti storiche impegnate in un cammino “inclusivo” (basti pensare al rafforzamento della Refo e alle pubblicazioni della Claudiana, fino al documento approvato dall’ultima Assemblea-Sinodo battista, metodista e valdese nel 2007), e quelle evangelicali ancorate a un giudizio negativo dell’omosessualità e alla convinzione della sua superabilità (v. il testo “Omosessualità: un approccio evangelico” approvato nel 2003 dall’Alleanza evangelica italiana).

Quanto alla Chiesa cattolica, va sempre tenuto conto della particolare situazione in cui si trova l’Italia, la quale, ospitando la sede di Pietro e la Curia romana, subisce in maniera più diretta gli echi e le ricadute degli interventi di un Magistero universale che negli ultimi anni è insistentemente intervenuto su questioni riconducibili al tema della “omosessualità” con orientamenti restrittivi e vincolanti tanto sul piano ecclesiale (v. l’“Istruzione della Congregazione per l’educazione cattolica circa i criteri di discernimento vocazionale riguardo alle persone con tendenze o-mosessuali in vista della loro ammissione al seminario e agli ordini sacri” del 2005) quanto su quello civile (v. la “Nota dottrinale circa alcune questioni riguardanti l’impegno e il comportamento dei cattolici nella vita politica” e le “Considerazioni circa i progetti di riconoscimento legale delle unioni tra persone omosessuali”, entrambe pubblicate nel 2003 dalla Congregazione per la dottrina della fede).

In questo contesto, articolerei il giudizio sulla Chiesa italiana su quattro livelli:

1. I gruppi di omosessuali credenti: mi pare abbiano conservato le debolezze tipiche delle realtà di base autorganizzate. Quindi alcuni sono nati e altri sono venuti meno, alcuni hanno ridotto le proprie attività e altri le hanno incrementate, ecc. Le novità positive sono state l’iniziativa delle “Veglie contro l’omofobia” e la nascita del portale Gionata, che hanno aperto nuovi spazi, quella negativa la fine del Coordinamento nazionale; che aveva costituito il tentativo (a mio parere fondamentale) di proporsi alla società e alla Chiesa con un interlocutore autorevole e rappresentativo.

Il fatto però che i gruppi non abbiano ceduto alla tentazione di “lasciar perdere” nonostante le parole e i gesti di chiusura, di cui, in modo a tratti “martellante”, gli omosessuali sono stati fatti oggetto dalle autorità ecclesiastiche rappresenta una testimonianza ammirevole della tenacia e della fede di queste/i cristiane/i;

2. I teologi: su questo piano la situazione è desolante. Nessuno osa più scrivere nulla e gli ultimi testi pubblicati risalgono all’inizio del decennio (v. Enrico Chiavacci, “O-mosessualità e morale cristiana: cercare ancora”, in Vivens Homo – 2000);

3. L’azione pastorale: qualche timido passo avanti si è registrato con l’apertura di un confronto tra gruppi di omosessuali credenti e uffici pastorali in alcune diocesi (Torino, Cremona, Padova, Parma, ecc.), che a volte hanno anche avviato, pur tra mille prudenze, proprie iniziative di accompagnamento.

A ciò ha contribuito il lavoro del Gruppo di studio sulla pastorale con le persone omosessuali (2003-2004) formato, sulla base di una sollecitazione dei credenti omosessuali in occasione del World Pride Roma 2000, da rappresentanti dei gruppi ed esperti scelti dalla presidenza della Commissione episcopale per la famiglia;

4. Sul piano politico: il decennio è stato caratterizzato da un fortissimo impegno diretto dei vertici della Cei contro tutti gli interventi legislativi che andassero nella direzione del riconoscimento delle persone omosessuali come soggetti di diritto: quindi non solo l’opposizione a qualsiasi disciplina delle unioni civili (Pacs, Dico, ecc.), ma ostilità anche verso le norme anti-discriminatorie. Una fessura, significativa per l’autorevolezza degli autori, in questa posizione è stata la recente ricerca “Riconoscere le unioni omosessuali?” pubblicato dal Gruppo di studio sulla bioetica animato dai gesuiti su Aggiornamenti sociali.

Alla luce di questa sommaria analisi, mi pare che, guardando al futuro, fondamentale per gli omosessuali credenti sia prendere piena
mente coscienza che, nonostante le apparenti smentite, la Chiesa ha bisogno di loro per divenire più esperta in umanità e i gruppi (non solo i rari preti coraggiosi che li accompagnano, come don Domenico Pezzini) hanno un vero “ministero” da svolgere anche in tal senso, oltre che come luogo di accoglienza delle persone e sostegno al loro cammino di fede.

Tale consapevolezza dovrebbe tradursi in un loro maggiore sforzo di coordinamento e presenza ecclesiale, nel-l’impegno per rafforzare legami con altre realtà cattoliche disponibili e gruppi simili delle altre Chiese, nell’insistente ricerca di dialogo con i teologi, i vescovi e la stessa Conferenza episcopale.

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Un dialogo da costruire insieme
di Gustavo Gnavi
(gruppo Davide e Gionata di Torino)

Chiese e omosessualità un tema che può essere affrontato da varie angolature. Quasi sempre lo si affronta dal punto di vista dello “scontro” più che dell’ “incontro” ma soprattutto lo si affronta come se le si trattasse di due “entità” separate: le Chiese hanno nulla a che fare con l’omosessualità e l’omosessualità vive bene, anzi benissimo, senza le Chiese.

Ma sappiamo ben che non è così non per questioni teologiche o dottrinali ma semplicemente perché l’omosessualità è, come ricorda spesso un teologo cattolico nostro carissimo amico, uno dei modi di essere al mondo e quindi un elemento di questo mondo con cui le Chiese debbono convivere, lo vogliano o no.

Quarantacinque anni fa si apriva il Concilio Vaticano II e proprio ricordando questo grande evento, purtroppo sempre più spesso volutamente accantonato, vorrei partire per una semplice considerazione.

E’ un dato di fatto che quando si parla di Chiese, ma soprattutto di Chiesa cattolica, ci si riferisce quasi esclusivamente al suo Magistero, ossia a quelle persone che dovrebbero avere il compito di dare delle linee guida per tutti i fedeli. Questa differenziazione è una difficoltà che i cattolici hanno e che si presenta quasi sempre in tutti gli interventi orali o scritti.

Sappiamo però che proprio il Vaticano II ha operato quella che per molti è parsa una vera e propria rivoluzione copernicana ossia si è passati, purtroppo a volte solo sulla carta, da una Chiesa vista come “società perfetta” e come tale ben strutturata gerarchicamente, ad una Chiesa “popolo di Dio” in cui la gerarchia dovrebbe avere un ruolo prevalentemente di guida e di aiuto per far maturare la fede dei fedeli. Proprio da questa proposta conciliare mi vengono in mente alcune considerazioni.

In tutti questi anni i gruppi di gay credenti si sono spesso scontrati, più che incontrati, col magistero. Un magistero fermo in difesa di posizioni conservatrici, per motivi che ben conosciamo e che sarebbe lungo ora elencare e trattare.

Se ci sono stati momenti di incontro questi si sono avuti al di fuori dell’ufficialità sottolineando così l’esistenza di due mondi “diversi”: quello delle regole e quello della prassi.
Ma se spesso le regole nascono a tavolino, la prassi nasce dal contatto diretto con le persone, con le loro difficoltà, i loro errori, con , per usare un termine “cattolico”, i loro peccati. Di fronte a questi “peccati “ occorre dire che molti fra quelli che hanno il compito di tradurre le indicazioni magisteriali in comportamenti pastorali, sanno come comportarsi, sanno da che parte stare anche se spesso l’ignoranza e la paura li portano ancora a fare troppi distinguo ed a trattenersi dall’osare di più.

Allora se vogliamo far sì che il rapporto Chiese e omosessualità ed in particolare, Magistero e omosessualità, diventi sempre più un incontro ossia confronto di idee diverse senza che uno pretenda a tutti i costi che l’altro cambi idea, dobbiamo puntare soprattutto sulla sensibilizzazione e sull’informazione di tutte quelle persone che sono alla base delle nostre comunità.

Le grandi riforme all’interno della Chiesa (parlo sempre di quella cattolica) e penso ad esempio alla riforma liturgica, non sono state preparate da incontri di cardinali, vescovi, teologi etc. ma da gruppi di persone che in sordina e quasi di nascosto, hanno gettato le basi, hanno gettato dei semi di questi cambiamenti, semi che prima di far crescere le piante e produrre fiori e frutti hanno sviluppato una grande quantità di radici e resa ben salda la pianta.

Ecco perciò che diventa comprensibile l’importanza dei gruppi di gay credenti. Ma occorre stare attenti perché è sempre presente il rischio della chiusura, del piccolo gruppo, della piccola chiesa particolare che per evitare la possibilità di uno scontro, spesso necessario da ambo le parti, esclude la possibilità dell’incontro scegliendo soluzioni più appaganti e sicure.

Anche per Pietro, Giacomo e Giovanni era più bello e più comodo fare tre tende per Gesù, Mosè ed Elia e starsene beati a contemplare quel bellissimo spettacolo ma Gesù si è buttato alle spalle la trasfigurazione e li riportati in mezzo alle difficoltà quotidiane, sino alla croce prima ed alla risurrezione poi.

In conclusione credo che oggi, senza scartare a priori opportunità e possibilità di un lavoro ad un livello più alto, sia più proficuo lavorare in mezzo agli omosessuali ed in mezzo alle nostre comunità cogliendo i segni di disponibilità che spesso vengono da queste ed anche da certi esponenti del Magistero, dando il giusto valore agli interventi “dall’alto”e ricordandoci che tutti abbiamo il dovere di aiutarci a vicenda per capire meglio le reciproche difficoltà e per trovare soluzioni comuni.

Si tratta di un lavoro lento e che a volte pare non dare risultati ma, e permettetemi un’altra citazione: “c’è chi semina e chi raccoglie” ma nessuno potrà raccogliere senza il lavoro ed il sacrificio di chi semina.