ELUANA, SIA FATTA LA TUA VOLONTA’

di Rosa Ana De Santis
da www.altrenotizie.org

Tutti hanno scritto di te. Si è parlato così tanto della tua condizione, è stata analizzata nella più profonda intimità. A volte forse in modo morboso. Non puoi saperlo, ma le tue foto hanno fatto il giro dei siti internet e dei giornali. Sono entrate nelle case. Le hanno viste tanti genitori e tanti figli. Tutti abbiamo un po’ parlato di te. Chi da esperto, chi da genitore, chi in chiesa. Ognuno ha iniziato per forza a domandarsi cosa fare e cosa scegliere su quel confine estremo della vita. Sappiamo che dal giorno del tuo incidente non sei più tornata indietro. Che le speranze si sono affievolite ogni giorno un po’ e che, passato il primo periodo, niente è cambiato e, soprattutto, niente sarebbe potuto cambiare mai. Nessuno sa come sei oggi. In quella stanza entrano i tuoi affetti più cari. Le suore raccontano che tuo padre viene a trovarti, accarezza i capelli che ora sono corti e, come se tu fossi li, saluta la sua bambina. Così ti chiama. Anche se sei nata 37 anni fa.

Non vedi luce e buio, notte e giorno. Non pensi e non senti più i sentimenti. Tu non lo vedi e non sai niente, ma lui è sempre stato lì. Ha vissuto gli ultimi otto anni per combattere contro i limiti e i pregiudizi del nostro Paese. Ha difeso con fatica e dolore, sopportando critiche e contestazioni miserabili, la tua volontà. No, se tu fossi qui ad osservare la scena non crederesti mai – forse – che qualcuno abbia potuto pensare di poter amare la tua vita più di lui. Invece questo è accaduto.

Nessuno si è fermato tanto a capire quanto dolore costi al cuore di un padre vedere una figlia che è assente. Vederne in vita solo un corpo trasformato e senza reazione. Non avere niente che non sia altro che ricordi, nemmeno una sepoltura. Proprio niente. Sapere soprattutto che tu mai avresti voluto diventare così e che proprio a lui avevi espresso questa tua idea della vita. Un compito enorme per un padre. Un dovere ineludibile per la sua coscienza . “Se non posso essere quello che sono adesso, preferisco morire”. Lo avevi detto quando un tuo amico era caduto in coma, un anno prima che accadesse a te. E da queste parole, da tutta la tua vita di appena venti anni è iniziato un lunghissimo viaggio.

La tua storia è entrata in Parlamento, nelle case e nelle aule di giustizia. E oggi una sentenza può permettere alla tua famiglia di liberarti dalla sopravvivenza vegetativa cui sei costretta da così tanto tempo contro la tua stessa volontà. E’ stata riconosciuta la tua straordinaria tensione alla libertà e rispettato il significato che davi alla tua esistenza. Ma è stata durissima Eluana. Un viaggio tormentato di ostacoli.

Ancora oggi molte persone che hanno capito poco della tua vicenda e che, per vocazione mentale, non sono abituate a rispettare gli altri, sono addirittura andate dal Presidente della Repubblica a chiedere la grazia per lasciarti in vita. Perché loro credono che vita sia anche vegetare, che é Dio che toglie e concede. E quello in cui credono loro ritengono debba essere imposto a tutti. Fiaccolate, appelli della Chiesa cattolica, preghiere pubbliche per tenerti lì, in quella stanza. Perché hanno deciso – in totale noncuranza della tua scelta – che tu debba non morire così.

Tuo padre anche oggi, fino all’ultimo, viene ostacolato. E’ stato costretto a pensare di doverti portare all’estero, per metter fine al tuo calvario. Ora sembra che una Regione abbia il coraggio di ricordare a tutti che l’Italia non é provincia del Vaticano. Sì, la tua morte dà scandalo, nonostante la legge l’abbia riconosciuta un tuo diritto indiscutibile. Credo che questo paese non ti sarebbe piaciuto nemmeno un po’. Qui non ti sarebbe piaciuto far nascere i tuoi figli. Gli stessi che vogliono obbligarti a stare come stai sono quelli che riconoscono più valore a un insieme di cellule totipotenti che non alla nascita di un bambino sano; e questi signori, non ci crederesti mai, trovano udienza nelle sedi delle istituzioni. Sono sempre loro, quelli che parlano contro il divorzio pur essendo divorziati, che non vogliono l’aborto pur avendovi ricorso, che urlano il sostegno alla famiglia avendone cambiate varie, che blaterano di diritti essendo esperti solo di privilegi, che invocano dignità conoscendo solo l’obbedienza cieca.

L’Italia è costretta a cercare altrove e fuori le risposte. Questo Paese si è trasformato in una pista da cui prendere il volo. Parte e va via in mille modi il futuro, parte una donna che vuole avere un figlio sano, devi andare lontano forse anche tu per concludere il calvario inconsapevole di questa permanenza forzata. Grazie a te oggi con maggiore urgenza si dovrà – per legge – dare ai cittadini italiani la possibilità di scegliere come morire.

Dovremo faticare e faticare ancora per opporre le ragioni del diritto a quelle della strumentalità politica, per privilegiare l’umanità alla ricerca di voti a buon mercato, tanto sono gli altri a soffrire delle furberie loro. Se toccasse aloro, a quei furbetti della parrocchia, stai tranquilla che troverebbero la via per aggirare le loro stesse parole smodate. Ma siamo già avanti. Abbiamo un debito con la tua famiglia perché ha onorato il tuo testamento con il coraggio, non scegliendo di farlo di nascosto, nella clandestinità di quello che sarebbe potuta sembrare una colpa, un atto sbagliato. Hanno sacrificato fin troppo di te e di loro stessi mentre la piazza sembra orientata più al biasimo e alla condanna che non alla comprensione. Che vergogna. E sembra che non gli verranno risparmiate le critiche e le insinuazioni nemmeno da parte degli uomini di dio. I fedeli della misericordia e della pietà. Pochi invece già si accorgono che è stato fatto un passo imprescindibile e in avanti nella cultura politica e legislativa italiana.

Hai aperto una strada, forse tante. La tua scelta di libertà è ciò che di te è rimasto dopo tanti anni, nonostante lo stato vegetativo e l’inconsapevolezza. E’ rimasta radicata in tuo padre e tua madre. E’ rimasta intatta fino ad ora, ora che viene a salvarti dai dittatori della coscienza. Ora che potrà essere finalmente rispettata. Ora che potrai finalmente andare. Attraverso tuo padre e la sua battaglia instancabile la tua visione della tua vita ci ha dato una lezione civica. Sapremo avere cura di questa eredità così grande che ci lasci. Dovremo, se pure non sapremo. Chi potrà dire una parola ancora che non abbia il significato di un’invasione in quello spazio immenso e stretto tra te e loro, figlia e madre, figlia e padre, lì dove nessuno ha diritto di entrare più.

Arriverà quel giorno e sarà una mattina come tante in cui tu non ti accorgerai di tuo padre che, lì accanto a te, verrà a dirti un’ultima volta “ciao bambina”, con l’unico sollievo di averti liberato per sempre. Pagando tutto il dolore di non vederti mai più, ma di aver fatto la tua volontà. Non la sua o quella di Dio. La tua.