Il Papa effettua la sua prima visita in Africa, “grande speranza della Chiesa”

di Stéphanie Le Bars
in “Le Monde” del 18 marzo 2009 (traduzione: www.finesettimana.org)

Questo viaggio in Africa non poteva arrivare in un momento migliore per Benedetto XVI. Per una
settimana, tra il Camerun, dove arriva martedì 17 marzo, e l’Angola, che raggiungerà il 20, il papa
potrà prendere le distanze dalle polemiche che, dalla fine di gennaio, hanno destabilizzato la Chiesa
cattolica e indebolito la sua autorità, in particolare in Europa. Lontano dalle controversie legate alla
riabilitazione dei vescovi integralisti e dallo scandalo provocato da una scomunica contestata in
Brasile, Benedetto XVI cercherà di portare a termine con successo la sua prima visita sul continente
africano.
Oltre all’annuncio del sinodo sul ruolo della “Chiesa in Africa a servizio della riconciliazione, della
giustizia e della pace”, previsto per ottobre a Roma, non mancano altri temi importanti. Di fronte
ad una scristianizzazione strutturale nei paesi occidentali, il papa è convinto che “l’Africa è la
grande speranza della Chiesa”. Popolata per metà da giovani di meno di 25 anni, luogo di molti
battesimi di adulti ogni anno – un fenomeno in aumento da vent’anni -, l’Africa costituisce sempre
per la Chiesa una terra potenziale di evangelizzazione.
In occasione dei discorsi che pronuncerà a Yaoundé e a Luanda, delle messe oceaniche, degli
incontri religiosi e degli appuntamenti politici – il papa sarà ricevuto dai presidenti camerunense
Paul Biya e angolano José Eduardo Dos Santos -, Benedetto XVI dovrà trovare le parole per
confortare le comunità cattoliche africane che, benché portatrici di un reale dinamismo, si trovano
comunque a vivere molteplici fragilità.
Ancora presente attraverso le sue scuole e i suoi ospedali, la Chiesa cattolica resta talvolta una delle
rare istituzioni solide in paesi dall’amministrazione vacillante. Gode del resto di un’immagine
positiva quando esprime una voce di opposizione politica, come nel caso del cardinale camerunense
Christian Tumi.
Ma, allo stesso tempo, il clero africano non sfugge alle critiche legate alla corruzione; e certe
diocesi sono alla bancarotta per cattiva gestione. Inoltre, il livello di formazione dei nuovi preti non
è sempre all’altezza del compito e alcuni di loro vedono nella carriera religiosa prima di tutto un
comodo mezzo per giungere in Europa, che recluta ormai, per mancanza di vocazioni, su queste
antiche terre di missione.
In Africa i cattolici soffrono anche di molteplici concorrenze, a cui la Chiesa fatica a controbattere.
Il cattolicesimo si trova a coabitare con l’islam, in modo più o meno conflittuale a seconda dei paesi,
e soprattutto subisce la concorrenza del protestantesimo evangelical, che agisce con grande
efficacia negli stessi ambienti.
Durante un sinodo dedicato a La parola di Dio, nell’ottobre 2008 a Roma, i vescovi africani
avevano espresso le loro preoccupazioni rispetto a questo fenomeno. “La proliferazione cancerosa
delle sette di ogni genere e dalle motivazioni più diverse ha di che preoccupare”, si era allarmato
l’arcivescovo congolese mons. Monsengwo Pasinya. “Molte persone, compresi i fedeli cattolici,
attirati dalle promesse di guarigione e da una lettura fondamentalista dei testi ,si rivolgono agli
evangelical”, conferma un prete francese buon conoscitore dell’Africa. “Ciò dovrebbe spingere la
Chiesa ad adottare un nuovo linguaggio, ma da questo punto di vista essa non è ancora
all’altezza.” Rispetto alle credenze tradizionali, la Chiesa assicura invece di aver fatto degli sforzi.
“L’importanza degli antenati è stata presa in considerazione in certi riti”, assicura per esempio
padre Pierre-Yves Pecqueux delle Pontificie Opere Missionarie.
Su un altro registro, mentre l’Africa è devastata dall’aids (che colpisce perfino certi membri del
clero), è poco probabile che il papa sfrutti questo viaggio per modificare la dottrina della Chiesa,
che predica l’astinenza o “il partner unico”, e mette in primo piano il ruolo delle istituzioni
religiose nell’aiuto ai malati. Altro argomento tabù: la vita coniugale dei preti africani, un fenomeno
diffuso che, in Camerun, è il tema di una canzone popolare che dice “il breviario e la donna non
vanno bene insieme”. Ricevendo i vescovi camerunensi nel 2006, il papa aveva semplicemente
ricordato “la necessità di una vita casta vissuta nel celibato”.
Agli occhi del Vaticano, e di certi fedeli, le priorità della Chiesa in Africa sono altrove. È il senso
del documento di lavoro (instrumentum laboris) preparato nella prospettiva di un sinodo d’ottobre,
documento che il papa consegnerà ai vescovi africani a Yaoundé il 19 marzo. Questo programma
dovrebbe in particolare rafforzare la Chiesa nel suo ruolo sociale, specialmente nella sua presenza
accanto ai più poveri.
“Il papa deve dire qualcosa anche di fronte ai numerosi focolai di tensione”, sostiene d’altronde il
cardinal Tumi. Ma, anche se appare desideroso di veder promosse “la riconciliazione, la giustizia e
la pace” su un continente regolarmente straziato dalle guerre, il papa entrerà sul terreno politico,
fino a denunciare specificatamente i regimi autoritari e le discriminazioni nei confronti delle etnie
minoritarie?