QUANDO L’EDUCAZIONE VIENE DAL MANGANELLO

di Mariavittoria Orsolato
da www.altrenotizie.org

Certo non è più lo tsunami che a novembre ha paralizzato la capitale ma l’Onda studentesca c’è ancora, e imperterrita si ostina a sfilare, gridando il suo “no” ai piani di ristrutturazione promossi dalla riforma Gelmini. Mercoledì la Cgil ha indetto una manifestazione per ribadire la propria contrarietà agli ingenti tagli previsti dalla manovra del governo e subito sono fioccate le adesioni dalle scuole di tutta Italia: da Roma a Milano, da Firenze a Macerata, Torino, Bologna, Genova, tutti i cortei del sindacato sono stati dilatati dalla presenza degli studenti medi e universitari e anche da qualche genitore che proprio non si vuole rassegnare alla perdita del tempo pieno.

Le cifre non sono certo quelle dell’ormai sbollito autunno caldo, ma la mobilitazione c’è e si fa sentire: “Chiediamo più diritto allo studio, più investimenti e provvedimenti seri per dare alla scuola e a tutti i settori della conoscenza un ruolo fondamentale per uscire dalla crisi. Chiediamo il coinvolgimento pieno e reale di chi nella scuola vive e lavora”, si legge in una nota diffusa in precedenza dalla Rete degli studenti medi, mentre il sindacato rivendica contratti perlomeno decenti e soprattutto il ritiro del disegno di legge Sacconi che di fatto limita pesantemente il diritto di sciopero.

Ma se quello di Sacconi è per ora solo una proposta, il protocollo messo a punto dal sindaco Alemanno è ormai legge cittadina e gli effetti del provvedimento si sono visti proprio mercoledì alla Sapienza dove, in seno all’ordinanza comunale, gli studenti sono stati letteralmente chiusi dentro al polo per evitare “che cortei di 300-400 persone bloccassero la città” parola di Gianni Alemanno che così commenta le cariche della polizia (ben tre) contro gli studenti.

Il piano del Campidoglio prevede per le manifestazioni nella capitale sei percorsi che devono essere tassativamente rispettati da chiunque voglia manifestare il suo eterogeneo dissenso: da piazza della Repubblica a Porta San Giovanni, da piazzale dei Partigiani a Porta San Giovanni, da piazza Bocca della Verità a piazza Navona, da piazza Bocca della Verità a via di San Gregorio, da piazzale dei Partigiani a via di San Gregorio, da piazza della Repubblica a Piazza del Popolo. Piazzale Aldo Moro non è compreso nei piani e perciò gli studenti – che da chè mondo è mondo partono sempre dalla loro sede, l’università appunto – sono stati tenuti a distanza dagli agenti della questura in tenuta antisommossa, chiunque abbia cercato una via di fuga si è preso una manganellata, nessuno spazio di replica.

Un copione già recitato a Milano, a Bergamo, a Bologna, a Torino e anche nella tranquilla Pisa dove lo scorso 6 marzo gli studenti sono stati addirittura impossibilitati a seguire un dibattito con l’ex capo del Senato Marcello Pera e sono stati regolarmente mazzolati non appena sciolto il sit-in che avevano indetto per lamentarsi contro questa chiusura ad hoc.

E’ come se gli studenti non potessero più protestare: una volta pagata la retta, la merce non si cambia e se la si vuole cambiare a tutti i costi, il prezzo diventa molto alto.
A confermare la nostra malizia ci pensa il ministro Brunetta che in un intempestivo commento all’indomani dello sciopero del settore ha così definito i giovani dei movimenti universitari: “Sono dei guerriglieri, e verranno trattati come guerriglieri”.

Non che ci fosse bisogno di confermarlo – Cossiga aveva già calato l’asso a novembre e Berlusconi aveva ribadito la mossa intimidatoria poco dopo – ma quello del ministro della Funzione Pubblica sembra più che altro un avvertimento, come a dire che i “giovani in cerca di emozioni forti” (altra definizione poco calzante di Brunetta) farebbero meglio a chetarsi e a darsi una regolata se non vogliono finire in qualche simil-Bolzaneto.

La battuta di replica degli studenti non si è però fatta attendere: “Quella di Brunetta è una dichiarazione degna dei peggiori regimi sudamericani, dove gli studenti sono equiparati a terroristi”, afferma in una nota l’Unione degli Studenti, “Un ministro della Repubblica – prosegue il comunicato dell’UdS – non dovrebbe mai permettersi di definire dei giovani che esprimono il loro pensiero come dei ‘guerriglieri’ da trattare come tali”.

Quello che è certo è che così non si può andare avanti. Non esistono protocolli, intese e leggi che tengano di fronte alla sistematica violenza contro cittadini inermi e nessuno, soprattutto chi porta la divisa, deve essere autorizzato a perpetrarla in modo arbitrario. O forse no?

Che la scuola servisse ad allenare al pensiero sembra ormai opinione obsoleta e anacronistica, la scuola di oggi è diventata un lungo e dispendioso banco di prova in cui si tenta di educare il pensiero e non la sua logica, in cui si dà la priorità alla quantità delle entrate piuttosto che alla preparazione degli usciti e in cui, purtroppo o per fortuna, ti vengono date letterali lezioni di vita: se non righi dritto e muto, stai punito. Sentirselo dire da dei colossali impuniti e non poterci fare nulla è forse il peggiore dei castighi.