RUSSIA: MORIRE D’INFORMAZIONE

di Mario Braconi
da www.altrenotizie.org

Molti dei giornalisti italiani convinti di raccontare verità scomode per il potente di turno dovrebbero fermarsi un attimo. E riflettere sull’immenso valore della testimonianza che stanno dando al mondo i loro colleghi russi che continuano a fare il proprio lavoro, spesso rimettendoci la pelle. La libertà di stampa e di espressione in Russia sono a rischio da anni: oltre ai quotidiani, basta scorrere il report pubblicato a febbraio da Amnesty International su questo argomento: in un anno ben cinque giornalisti sono stati assassinati (tra di essi Anastasia Baburova, praticante presso la ’Novaia Gazetà, uccisa il 19 gennaio scorso dal killer a volto coperto che aveva appena eliminato l’avvocato ed attivista per i diritti umani Stanislav Markelov, che rappresentava Anna Politkovskaia).

Alla stampa, in generale vengono regolarmente riservate minacce, quando non percosse, dalla polizia, che si fa beffe dei cartellini identificativi che i giornalisti portano per farsi riconoscere. Il processo ai presunti assassini della giornalista Anna Politkovskaya è stato trasformato in una barzelletta, non si capisce bene se per incapacità investigativa, per dolo o per tutte e due le cose assieme.

La libertà di associazione viene gravemente limitata con metodi efficaci anche se meno drastici rispetto agli assassini politici: registrare una organizzazione non governativa in Russia può essere un’esperienza kafkiana. Le associazioni che si battono per obiettivi potenzialmente dannosi per gli interessi dello stato raramente ottengono l’autorizzazione necessaria ad operare oppure vengono chiuse con il pretesto di irregolarità amministrative o fiscali.

La vetrina del G20 di Londra ha dato alla Russia l’illusione di presentarsi da pari al consesso delle nazioni più potenti del mondo. Peccato che, proprio nel momento in cui i flash dei giornalisti immortalavano Dmitri Medvedev sorridente assieme gli altri “Grandi” del mondo, in Europa arrivava l’eco di due sgradevoli “incidenti” accaduti in patria: la morte misteriosa dell’impaginatore di un giornale di opposizione in un sobborgo di Mosca e l’aggressione al veterano anti-Putin Lev Ponomaryov.

Benché si tratti di due episodi separati, il primo da collegarsi ad una vicenda di eco-mafia, ed il secondo con connotazioni più chiaramente legate all’intimidazione degli avversari politici di Putin, queste due azioni criminali danno la misura dei rischi cui si sottopone chiunque in Russia faccia sentire la sua voce contro il potere criminale o politico, che peraltro sono spesso due facce della stessa medaglia.

Il caso di Ponomaryov, inoltre, appare come un avvertimento allo stesso Medvev, affinché la sua politica non sia discontinua rispetto allo “stile” dell’ex KGB Putin: lo fanno pensare il timing, perfettamente sincrono alla partecipazione della Russia al Summit internazionale, e il fatto che il sessantasettenne attivista se la sia cavata con un ricovero ospedaliero di un solo giorno. Si fosse trattato di qualcosa di più che un avviso “bonario”, certo il poveretto avrebbe fatto la fine della giornalista Anna Politkovskaya (assassinata il 7 ottobre 2006) o di Stanislav Markelov (ucciso il 19 gennaio scorso).

Lev Ponomaryov, membro di una associazione per i diritti umani (“For Human Rights”) ha testimoniato che, nella notte di martedì scorso, è stato aggredito da una banda di ragazzi sui trenta -trentacinque anni, di razza occidentale: “Non si è trattato di un attacco di hooligan, ma di una rappresaglia. Ma non ho la minima idea di chi possa essere il mandante”, ha concluso. Lyudmila Alexeyeva, responsabile del Moscow Helsinki Group – associazione per la tutela dei diritti umani, attiva dal 1976 – invece, qualche idea l’avrebbe: come ha dichiarato al Moscow News (giornale tra i cui azionisti figurava Mikhail Khodorkovsky), l’attacco potrebbe essere un “lavoretto” degli uomini della Sicurezza russa (“Siloviki”), ai quali Ponomayov non sta molto simpatico per la sua opposizione alla guerra in Cecenia, per aver preso le difese di Mikhail Khodorkovsky, l’oligarca che acquistò la compagnia petrolifera Yukos. Khodorkovsky, ex gioiellino gonfio di riserve petrolifere é successivamente caduto in disgrazia (dal 2003 langue in un carcere siberiano dopo essere stato accusato di frode e di riciclaggio, accuse che potrebbero costargli fino a trent’anni di carcere). Oppure ancora per aver denunciato il tentativo del governo di cancellare dai libri di storia i crimini del dittatore Stalin.

In Russia toccare certi argomenti “macroscopici” può essere poco igienico, è chiaro. Ma quale può essere il movente del presunto omicidio di Sergei Protazanov, impaginatore di un giornale locale (il Grazhdanskoye Soglasiye), morto il primo aprile scorso in circostanze poco chiare a Khimki, una cittadina di circa 180.000 abitanti a nord est di Mosca? A febbraio del 2008, il capo redattore dello stesso giornale si era beccato dieci coltellate appena fuori della sua abitazione.

Dopo alcuni “avvertimenti” (minacce verbali, la sua macchina data alle fiamme), a novembre dello stesso anno Mikhail Beketov, capo-redattore della Khimkinskaya Pravda (“La Verità di Khimki”) è stato aggredito con una mazza da baseball: è andato in coma ed è stato necessario amputargli una gamba (tra l’altro, il suo avvocato era Stanislav Markelov, l’avvocato assassinato a Mosca lo scorso gennaio assieme a Anastasia Boburova). “Il capo redattore della Grazhdansky Forum, il signor Granin, ha dovuto interrompere le pubblicazioni dopo che, assieme al suo editore Slyusarev, é stato vittima di un atto di violenza nel quale ha subito gravi ferite al capo”, riferisce all’agenzia Interfax Yevgeniya Chirikova, capo del movimento “In difesa della foresta di Khimki”, di cui era socio anche il defunto Sergei Protazanov.

La foresta attorno a Khimki, così poco salubre per i giornalisti del posto, interessa però moltissimo a chi vuole abbatterla per fare spazio alla super autostrada Mosca – San Pietroburgo. Chiusi o fatti oggetto d’intimidazione i giornali indipendenti che hanno tentato di sensibilizzare i lettori su questo caso, l’unico giornale di opposizione era la Grazhdanskoye Soglasiye che, secondo fonti dello stesso giornale, si apprestava a pubblicare uno speciale sui presunti brogli delle elezioni locali di Khimki del primo di marzo. Non è un caso che la morte dell’impaginatore Protazanov ritarderà l’uscita del giornale e quindi la diffusione dell’inchiesta.

Le circostanze della morte di Sergei Protazanov non sono chiare: secondo una ricostruzione, l’uomo, che aveva una protesi alla mano (o al braccio, non è chiaro) e che quindi non avrebbe potuto difendersi validamente in un confronto fisico, in un primo momento sarebbe stato sequestrato; più tardi, a sua moglie sarebbe stato detto il posto dove si trovava con una telefonata al cellulare. Portato in ospedale, sarebbe stato velocemente dimesso, per poi morire poco dopo. Secondo una portavoce della polizia, l’uomo non sarebbe stato vittima di un’aggressione, ma morto per avvelenamento.

Un’altra fonte della polizia, citata da un giornale russo on-line, sostiene che, nella settimana precedente al suo decesso, Protazanov avrebbe cominciato ad ubriacarsi; il 28 marzo sarebbe stato portato in ospedale da un’ambulanza, ubriaco; secondo una delle versioni che circolano, quando è stato trovato privo di sensi, l’uomo aveva con sé una confezione di analgesici. Tutto questo per tentare maldestramente di fabbricare un caso di morte accidentale per avvelenamento.

A questa “tesi” non crede per niente nemmeno Oleg Mitvol, vice direttore della agenzia governativa di protezione ambientale, che ha dichiarato al quotidiano Kommersant: “L’assassinio di Protazanov è l’ennesimo episodio di una serie continua di attacchi al giornale per cui lavorava. Ne
l fine settimana Protazanov aveva chiamato il suo editore Anatoly Yurov per dirgli che era stato malmenato. Un giornalista della Grazhdanskoye soglasiye (l’unico non ancora assalito) che muore accidentalmente? A questa versione proprio non credo”. Il fatto che un membro del governo riconosca che di delitto si è trattato, e non d’incidente, induce ad un cauto ottimismo.