Uno sguardo sul nostro Paese di un’italiana all’estero

di Vera Cavallin
da www.megachip.info

Bruxelles, Commissione Europea. Eravamo seduti al tavolo della mensa discutendo del più e del meno, del tempo, del cibo, delle elezioni europee e delle nuove facce che avrebbero popolato il Parlamento di Bruxelles. Si rifletteva sull’immagine che si faranno i 26 Paesi Membri EU dei nuovi parlamentari italiani, in larga maggioranza assortiti tra presunte veline, “nipoti di” e sconosciuti.

Si pensava a come sarebbe stata la rappresentanza della sinistra italiana, o del centro sinistra italiano o della sinistra radicale italiana, se ci sarebbe stato qualcosa di sinistra e di italiano a Bruxelles dopo il 7 giugno. E rimaneva sempre latente la stessa questione: noi, italiani espatriati, immersi nel mondo internazionale che gira attorno alle istituzioni europee, con una formazione alle spalle ancora poco vendibile in Italia non per questioni di basso profilo personale ma perché l’Europa è ancora vista dall’italiano medio come un universo parallelo – che sembra vivere di vita propria senza troppo incidere nel percorso politico economico sociale e culturale di un Paese – noi, saremmo tornati in Italia?

In che modo è percepita l’Italia dall’italiano che ha deciso di trasferirsi all’estero e in particolare a Bruxelles dove il confronto con l’altro, il non italiano, è continuo e quotidiano? Un commensale rispondeva scuotendo deluso la testa ricordando un episodio avvenuto qualche giorno prima a Lecce. Raccontava di come si era imbattuto in una sorta di corteo di Silvio Berlusconi in centro città e di quanto lo aveva colpito la reazione della gente locale di fronte alla semplice presenza del Presidente del Consiglio.

Perché colpito?, chiediamo noi.

europeoPerché la reazione della piazza era stata esageratamente emotiva, perché le adolescenti si abbracciavano l’una con l’altra in estasi per aver visto passare il ‘papi’, perché c’era chi diceva che non si sarebbe più lavato quella mano che aveva stretto la mano del Presidente, perché non uno sparuto gruppo di esaltati, ma la maggioranza delle persone presenti ringraziavano emozionate i rispettivi compagni di averle accompagnate ad assistere a un tale spettacolo. Perché c’erano gesti di adorazione e di adulazione e perché le reazioni non erano commisurate al fatto in corso.

È normale, commentiamo noi, che ci siano gesti di incoraggiamento verso chi ha ricevuto la maggioranza dei voti in Italia. Quello che stupisce è l’intensità del gesto, il disequilibrio tra realtà concreta e reazione emotiva. Pensiamo a quale sarebbe potuta essere la reazione della folla, nella stessa piazza e nella stessa città, al passaggio di un ex presidente del Consiglio come Romano Prodi. Nessuna delle adolescenti avrebbe urlato emozionata :”Oddio mi ha guardato”. A nessuno sarebbe venuto in mente di dire al compagno “Grazie amore per avermi portato qui” con tanto trasporto quanto quello manifestato al passaggio di Berlusconi.

Perché?, ci chiediamo per la seconda volta.

Perché il potere mediatico è sempre più forte e perché, visti da fuori, sembra che gli italiani preferiscano la quantità d’informazione rispetto alla qualità. E quindi, considerando il fatto che il presidente del Consiglio gode del privilegio d’essere onnipresente nei media italiani, è facile che la folla, la piazza delusa da chi non ha saputo porsi come alternativa al Self-Made Man risponda al tamburellare continuo della sua immagine e della sua ombra senza troppo riflettere, lasciandosi prendere dal trasporto verso un’immagine mediatica fortissima.

Da qui la risposta alla domanda iniziale: noi torneremmo in Italia?

Per ora no, per paura e per sconforto verso un Paese che non vuole informarsi e che non riconoscerebbe il valore aggiunto di una formazione all’estero, per timore di non essere valorizzati e di trovarsi di fronte ad un Paese che troppo spesso sceglie di valorizzare l’apparenza a discapito della qualità.