VIAREGGIO, IL DESTINO NON C’ENTRA

di Mariavittoria Orsolato
da www.altrtenotizie.org

Quando in Italia succedono tragedie come quella dell’Abruzzo o quest’ultima di Viareggio, la prima cosa da fare, oltre che recarsi immediatamente sul posto (cosa difficile se non impossibile per i comuni mortali), è piangere i morti con lacrime amare e sacrosanto rispetto. Per le polemiche non c’è spazio, non c’è tempo e poi, diciamolo, sono talmente di cattivo gusto da far trasformare un semplice cittadino preoccupato in un pericoloso facinoroso. Lo garantisce Matteo Mastromauro per il Tg5 di Clemente J. Mimun. Ma davanti a stragi come questa, per cui il bilancio provvisorio è ormai di 21 vittime e 28 feriti in gravissime condizioni a causa delle ustioni, è cosa buona e giusta domandarsi se la tragedia poteva essere scongiurata, o perlomeno prevenuta. E pazienza se l’infame lettera scarlatta del disfattismo marchierà a fuoco le seguenti elucubrazioni.

L’impressionante deflagrazione che ha squarciato il cielo di Viareggio nella notte del 29 giugno ha una causa ben precisa: GPL, ovvero Gas Propano Liquido. Il nome di questa fonte energetica deriva appunto dal fatto che i componenti, originariamente in forma gassosa, vengono liquefatti a pressione per ragioni di pura razionalizzazione economica. Il gas pubblicizzato come la più valida alternativa alla benzina e al metano, viene trasformato in visione del trasporto di modo che – come spiega in modo esauriente l’onnisciente wikipedia – la densità del prodotto aumenti di circa 250 volte e l’ingombro si riduca a parità di massa, e quindi di energia vendibile. Le cisterne che sfrecciano sulle nostre strade, ferrate e non, sono perciò delle potenziali bombe pronte a esplodere nel momento in cui subiscono forti contraccolpi ed è inutile quanto ingenuo dire che esistono ben altre tipi di fonte energetica, quelle pulite, quelle per cui non serve trasporto ma basta un collettore.

Quello che è successo sulle banchine in stile fascista della stazione di Viareggio, così lontana dagli scintillanti locali alla moda del lungomare versiliese ma drammaticamente vicina alle case popolari di via Ponchielli, è sicuramente stata una tragica fatalità: il locomotore imbocca la stazione a 90 kilometri all’ora, l’asse del carrello che trasportava una delle cisterne cede, il vagone si rovescia facendo fuoriuscire il micidiale liquido, le scintille nate dallo stridere del metallo e la gramigna secca ai lati della banchina fanno il resto.

Non è colpa di nessuno, ma i primi a ventilare l’ipotesi di un’ecatombe evitabile sono proprio i ferrovieri. “La rottura di un asse di un carrello del vagone merci è un incidente tipico che non è stato mai tenuto nella giusta considerazione, nonostante l’elevatissimo rischio connesso – spiega una nota dei delegati RSU/RLS dell’Assemblea Nazionale dei Ferrovieri, organismo trasversale composto da lavoratori e iscritti a tutte le sigle sindacali – il fatto che i carri possano essere di proprietà delle singole aziende produttrici delle merci trasportate e non del gruppo FS non può essere utilizzato come giustificazione”.

Il vagone incriminato é in effetti proprietà della Gatx, una corporation logistica con sede a Vienna, cui andrebbe (e il condizionale qui è d’obbligo) deputato il compito di ottemperare alle direttive europee che prevedono per i carri merci revisioni di sicurezza ogni 4-6 anni. A Vienna se ne lavano però le mani, affermando che nel momento in cui il vagone viene affittato, la responsabilità manutentiva ricade sugli affittuari, che in questo caso rispondono alla partecipata novarese Sarpom, nata dal connubio di Exxon ed Erg. Per la Sarpom (che comunque nega di aver noleggiato i vagoni) il problema comunque non si pone, dato che la società cui si era affidata per la verifica tecnica dei vagoni è FS Logistica, figlia minore della società nazionale. Si ritorna così alle Ferrovie dello Stato, nella schizofrenica veste di consulente tecnico privato che deve controllare, previo pagamento, l’affidabilità dei suoi stessi clienti. Qui il cerchio si chiude.

Non è certo questo il luogo per additare impropriamente dei responsabili certi, ci penserà (con la consueta lentezza) la magistratura. Ci sono però dei quesiti cui le FS dovrebbero rispondere a prescindere da un’eventuale capo d’accusa giudiziario. Ci si chiede innanzitutto com’è possibile far passare un convoglio potenzialmente esplosivo in centri ad alta densità abitativa come Viareggio: non esistono binari sicuri? Non ci sono forse altre vie percorribili? Se dovessimo stare a quanto racconta la cronaca, pare non ce ne siano. Prendendo come riferimento casuale il 2006, scopriremo che sullo chemin de fer italiano si sono verificati ben 166 incidenti di varia entità (uno ogni due giorni) con un bilancio di 79 morti tra ferrovieri, macchinisti e passeggeri.

Se invece vogliamo guardare all’anno in corso, troveremo ben 13 incidenti gravi: il treno spezzato a metà ad Anagni (FR) il 24 gennaio, lo scontro tra locomotori a Ponte di Piave (TV) il 30 gennaio, il tir investito da un treno a Bellante (TE) il 5 febbraio, il locomotore che investe un addetto alle pulizie a Surbo (LE) il 5 marzo, l’incendio del locomotore di un treno che trasportava sostanze pericolose alla stazione di Genova Brignole il 16 maggio, il deragliamento di un treno passeggeri a Sesto Calende (VA) il 19 maggio, un altro deragliamento di un treno merci sulla linea Torino-Nizza il 25 maggio, l’incidente di un Intercity in galleria a Vernio (PO) il 4 giugno, l’ennesimo deragliamento di un treno merci a San Rossore (PI) il 6 giugno, un altro scontro tra treni merci a Valiano (PO) il 22 giugno.

Un vero e proprio bollettino di guerra, decisamente inaccettabile se si considerano le imponenti regolamentazioni e soprattutto se si ragiona in termini di introiti sui passeggeri. Le Ferrovie dello Stato hanno aumentato i loro listini, si sono concentrati su un’alta velocità che è già obsoleta e, pur trasudando debiti da tutti i pori, si sono lanciate in promiscui appalti con l’asso pigliatutto dell’industria pesante, la compagnia Marcegaglia. Evidentemente, se il disavanzo di bilancio è stato in parte colmato, le risorse e i capitali sono stati sottratti a quello che dovrebbe essere il ganglo vitale per una società di trasporti, la sicurezza.