La Chiesa non pare avere pietà per i bambini vittime

di Rina Gagliardi
da Il Riformista, 8 aprile 2010

Sere fa, la piazza di Santa Maria in Trastevere ospitava uno dei suoi consueti spettacolini – stavolta toccava a un clown piuttosto simpatico, che trascinava una folla intera nei suoi giochi e nei suoi lazzi. A un certo punto, il clown ha invitato un bambino a fare insieme un numero dello spettacolino – e un pargoletto sette/ottenne si è avviato verso di lui, ma alquanto titubante e insicuro. Fino a che l’uomo gli ha gridato: «Dai, vieni, vieni. Non aver paura, non sono mica un prete!». La folla ha applaudito e riso di gusto, e il puer è corso felice a fare il suo gioco insieme all’imbonitore – intanto, le campane della Basilica battevano le ventitré.

L’episodio, ne convengo, è del tutto irrilevante. Ma forse proprio per questo dà l’idea di quale “senso comune” si stia diffondendo, a proposito del rapporto tra sacerdoti e infanzia: non c’è proprio nulla da ridere. Chi ha a cuore la sorte della Chiesa cattolica (e io, da laica, mi colloco tra costoro) non può che preoccuparsi, se non allarmarsi. Sia per le dimensioni che lo scandalo pedofilia sta assumendo nel mondo, sia per le modalità con cui le alte gerarchie ecclesiastiche lo stanno fronteggiando: il risultato è una perdita di fiducia nella maggiore istituzione cristiana, tra le larghe masse, che potrebbe avere conseguenze molto serie sulla già profonda crisi di spiritualità che attanaglia la società attuale.

Ma che cosa sta succedendo là, oltre Tevere? Una esternazione maldestra dopo l’altra. Una gaffe dietro l’altra – quella del superfrate Raniero Cantalamessa (nomina sunt omina, è il caso di dire) che associa l’antisemitismo alla attuale «campagna di denigrazione» del Papa le supera tutte, sia per l’abnormità del parallelo, sia perché, se c’è una tematica che la Chiesa cattolica dovrebbe evocare quantomeno con grandissima prudenza è proprio la persecuzione degli ebrei, rispetto alla quale è tutto fuorché innocente. Insomma, una goffa e persistente “autoassoluzione” rispetto all’accusa di avere per troppo tempo praticato il silenzio, l’indulgenza, la “copertura” degli scandali.

Eppure, chiunque sa che si tratta di un’accusa più che fondata. E che per secoli, e per decenni, di fronte alle “perversioni” dei suoi ministri, la Chiesa ha sempre privilegiato la salvaguardia dell’istituzione, la sua sopravvivenza, insomma la sua “ragion di Stato” – come, per altro, hanno sempre fatto, e continuano a fare, tutte le grandi (e non solo) istituzioni, religiose o laiche che siano. Come si fa a sostenere che si tratta, alla fin fine, solo di casi isolati o, addirittura, del solito “così fan tutti”? E come si fa a trincerarsi nella tiritera del complotto, o dell’attacco al Pontefice?

Quando mi capita di leggere le esternazioni dei cardinali, mi sembra di tornare bambina – quando i burocrati sovietici, invece di fermarsi a riflettere su che cosa stava erodendo le basi del sistema, la buttavano, invariabilmente, nel “complotto imperialista” e nell’accerchiamento al quale l’Urss era soggetta, fin dalla sua nascita. Ma l’Urss, appunto, ha fatto la fine che ha fatto anche in virtù della sua incapacità di ogni vera riforma e correzione delle proprie storture.

Mi viene il sospetto che quello di Benedetto XVI sia un pontificato troppo debole (politicamente, non intellettualmente) per potersi consentire ciò che andrebbe fatto: l’ammissione di una crisi profonda dell’istituzione ecclesiale e del suo rapporto con la società. I suoi predecessori ultimi, ciascuno a loro modo, ci hanno provato con grande determinazione – il Concilio di Giovanni, l’autorevolezza riformistica di Paolo, il breve tentativo palingenetico di Albino Luciani, la riscossa prima “spettacolare” e poi profetica di Wojtyla. Benedetto, invece, resta prigioniero della sua vocazione teologica, della sua scarsa attitudine pastorale – in ultima analisi, della sua “impoliticità” conservatrice.

Così, sulla questione specifica della pedofilia, ne risulta un messaggio devastante: per la Chiesa (non per il Papa, che ha pur scritto parole di fuoco nella sua “Lettera alla Chiesa irlandese”) si tratta in realtà di un peccato “minore”, rispetto, per esempio, all’aborto – di una pratica che “c’è sempre stata”, nei seminari, negli oratori, nelle parrocchie, come tutti sapevamo fin dagli anni Cinquanta, ma di cui si deve parlare sottovoce, e procedere senza trasparenza di sorta. Avete notato la mancanza di ogni tratto di vera pietà cristiana per le vittime, ormai adulte, degli abusi? L’assenza di ogni autentica “empatia” per le drammatiche (e in qualche modo irreversibili) conseguenze che l’abusato porta dentro di sé per tutta la vita?

La Chiesa non ha capito, e continua a non capire, che la sensibilità contemporanea è profondamente mutata proprio sulla questione della violenza sui bambini: non c’è più nessuna tolleranza, né nei confronti dei sacerdoti né nei confronti di chicchessia, padri, zii e vicini. E, in quest’ottica, appare perfino stridente l’accorata denuncia delle migliaia di bambini “non nati”. Proprio come se la Chiesa considerasse la Vita una pura, quasi distratta, astrazione biologica.