CILE, LA CHIESA CHIEDE PERDONO (ANCHE) PER I CRIMINI CONTRO L’UMANITÀ

di Stefano Faraoni
da Cronache laiche, 25 luglio 2010

Se qualcuno pensa che i problemi di laicità ce li abbiamo soprattutto in Italia, sbaglia. Oltre al ben noto quadro internazionale dove, in special modo in alcune regioni dell’Asia e dell’Africa, le teocrazie la fanno da padrone, esistono Paesi border line dove la presenza confessionale è ancora molto, troppo forte, e si manifesta quotidianamente cercando di influenzare la vita civile di un Paese e i suoi orientamenti politici.

Uno di questi, indubbiamente, è ancora il Cile, dove rigurgiti di veterocattolicesimo, quello delle connivenze coi vecchi regimi dittatoriali, si ripropongono in maniera inquietante, facendo fare clamorosi passi indietro alla storia e allo sviluppo civile e culturale di una nazione.

Il Vescovo di Rancagua Alejandro Goic, in nome del “perdono cristiano”, si è giorni fa recato con folta delegazione in udienza dal Presidente cileno Sebastian Pinera, chiedendo un indulto generale che coinvolgesse anche chi ha commesso crimini contro l’umanità (i ben noti generali e accoliti fascisti di sanguinaria memoria). Fra le motivazioni pare vi sia una valutazione sul “grado di responsabilità che ciascuno ha veramente avuto, il grado di autonomia e di libertà con cui ha potuto agire all’epoca dei fatti, e i gesti di umanità avuti, nonché il pentimento espresso per i delitti commessi”.

Ci risiamo. Il pentimento. Quest’ancora di salvezza che la Chiesa getta alla rinfusa ogni qualvolta si delineano responsabilità e mancanze, colpe gravi e crimini, anche terribili. Ogni qualvolta si profili una responsabilità di uomini verso altri uomini, spostando l’asse dell’interesse verso la trascendenza, l’aldilà, il paradiso o l’inferno. Quanto di più infetto e devastante, antropologicamente parlando, per la vita di ogni uomo, e in generale per la società.

Nel frattempo i familiari delle vittime cilene del genocidio, che ancora attendono la giustizia umana, si sono trovati a manifestare sotto il palazzo della Moneda, dove qualcuno, di nuovo, senza alcun rispetto per la giustizia umana e pudore nei confronti della verità, cerca di far prevalere la giustizia divina. Quella Moneda dove venne trucidato nel 1974 Salvador Allende.

I familiari delle vittime hanno chiesto un incontro con la Chiesa, che non è stato loro concesso.

Il “garantismo trascendente” dovrebbe coinvolgere, secondo il cristianesimo, un po’ tutti, ma, fortunatamente, c’è ancora chi crede nella giustizia degli uomini, come queste famiglie, e continua a lottare per una vita terrena migliore e più giusta, senza farsi opprimere o condizionare dall’idea ossessiva di un dio. Onore e rispetto per queste donne e uomini, molti dei quali certamente sono cristiani, ma che altrettanto certamente non vogliono farsi rappresentare dagli eredi e gli ispiratori religiosi di chi aveva interesse ad esercitare un influsso dominante sulle esistenze che, nella vita terrena, in terra cilena, si chiamava Augusto Pinochet; nella vita trascendente si chiama il dio della tradizione cattolica.

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Cile, la chiesa e i golpisti

di Ilvio Pannullo
da www.altrenotizie.org

Il Cardinale di Santiago del Cile, Francisco Erraruriz, e il Presidente della Conferenza Episcopale cilena, Alejandro Goic, devono avere un’idea davvero molto particolare dell’indipendenza. Perché proprio in occasione dei festeggiamenti per il bicentenario dell’indipendenza del Cile, hanno ritenuto appropriato esibirsi in una proposta indecente. Ritengono, gli alti prelati, che sarebbe opportuno un indulto per i militari pinochettisti condannati per violazione dei diritti umani.

Nel documento di cinque pagine, intitolato “Cile, un tavolo per tutti nel Bicentenario”, inviato al nuovo presidente cileno, Sebastian Piñera (che di Pinochet fu ammiratore) il duo dei perdonatori a discrezione assoluta chiede, “per migliorare la convivenza e per il bene comune”, un “provvedimento d’indulto per persone private della loro libertà”, intendendo con esse anche i militari condannati per le loro malefatte in nome della “guerra al comunismo”. Ovviamente, chiedono “una riflessione che sappia distinguere il grado di responsabilità e di autonomia decisionale con i quali hanno agito”, nonché “il pentimento dimostrato”.

Possibile che l’esaltazione per il ritorno alla destra della guida del paese gli abbia preso la mano, ma davvero l’iniziativa dei due prelati appare come un pessimo esempio di esercizio pastorale oltre che si senso dell’opportunità e del tempismo. In un paese dove decine di migliaia di famiglie patiscono ancora nelle loro carni la tragedia del colpo di Stato dell’11 settembre 1973 e dei diciassette anni di regime ignominioso che ne sono seguiti, sono semmai molti a non aver pagato per quanto fecero o scelsero di non fare in adesione – aperta o tacita – a quanto la dittatura militare fece.

Quella dei prelati cileni (che, va detto, come gli argentini, rappresentano una gerarchia ecclesiale che non si oppose mai ai golpisti ma anzi, offrì loro ogni supporto) sembra ispirarsi a quanto avvenne in Argentina, con le due immonde leggi definite “Obediencia debida” e “Punto final”. In pratica due gigantesche operazioni di amnistìa per i militari autori della morte di trentamila persone, con l’assunto giuridico della non responsabilità oggettiva per chi obbedisce ad ordini e delinque nell’esercizio del suo dovere. Ci volle il Presidente Kirchner per azzerarle e rimettere la verità seduta al fianco della giustizia.

Il fatto significativo è che persino una parte della stessa detra cilena, l’UDI, ha rigettato la proposta indecente. “Se la chiesa vuole aiutare i detenuti malati o anziani – si legge in una nota del partito – esistono i benefici carcerari cui riferirsi”. Benefici di cui pare godano sin troppo i macellai del defunto Pinochet. A detta di molti dei militanti dei diversi gruppi per la difesa dei diritti umani che operano in Cile, infatti, proprio le condizioni della prigionia di molti dei gerarchi e dei torturatori del regime destano scandalo, dal momento che la loro detenzione la si può definire piuttosto blanda.

Risposta ancora più netta, naturalmente, da parte della Concertacìòn, la coalizione del centrosinistra oggi all’opposizione. La Democrazia Cristiana ha ricordato che il tema non può nemmeno essere messo all’ordine del giorno, vista la firma del Cile sui Trattati Internazionali: “sfortunatamente per i vescovi – ha detto il capogruppo DC al Parlamento – le violazioni dei diritti umani non sono soggette a prescrizione e non possono essere oggetto d’indulto, dunque la discussione non può nemmeno aprirsi”.

In attesa comunque di capire come il Governo di Piñera intenda sostenere la richiesta degli alti prelati, la portavoce del governo, Ena Von Baer, ha spiegato che “il presidente rifletterà su questa proposta e prenderà una decisione in base agli impegni presi dal governo nei confronti della verità, della giustizia, dell’unità nazionale, della sicurezza dei cittadini e delle considerazioni di carattere umanitario”.

Dichiarazione ambigua, come si capisce, che fa pensare ad una sorta di gioco di sponda tra Chiesa e governo per rimettere in libertà i fedeli funzionari del terrore pinochettista. A tale proposito, infatti, va registrato quanto detto dal Ministro della Giustizia Felipe Bulnes, per il quale “il perdono non fa parte del programma di governo e che Piñera, con questo gesto, risponderà solo a una richiesta avanzata dai vescovi”.

Mente il ministro e a smentirlo arriva proprio un suo collega, il Ministro della Difesa Jaime Ravinet: “Circa un mese fa, abbiamo inviato un rapporto confidenziale al presidente, che è colui che ha l’autorità legale per proporre o emanare indulti”.

Piñera per ora tace, ma l’Esecutivo ha reso pubblici i criteri in base ai quali verrà concessa la grazia: “i valori di unità nazionale, la sicurezza pubblica e la misericordia” tanto per non abbondare in fantasia, sono gli stessi termini contenuti nel documento dei prelati. Se non si sono messi d’accordo, l’alternativa è che la lunghezza d’onda sia la medesima. Non si sa quale ipotesi sia la più inquietante, ma è certo che non si tratterebbe di una novità.

Ma non è detto che il giochino risulti semplice. Perché va registrato comunque un parere sostanzialmente uniforme tra le forze politiche di centrosinistra (maggioranza in Parlamento) e gli organismi della società civile che della dittatura militare di Pinochet sono state le prime vittime.

Manifestazioni si sono tenute davanti a palazzo della Moneda, residenza del presidente della Repubblica cileno che Pinochet ordinò di bombardare per uccidere Salvador Allende, che mai del resto, si sarebbe arreso ai golpisti. Migliaia i partecipanti che, agitando le bandiere cilene e gli striscioni accusatori, hanno avvertito circa le possibili conseguenze cui andrebbe incontro la convivenza civile nel caso il delirio dei prelati trovasse udienza presso il Governo.

Mireya Garcia, vice presidente del Gruppo delle famiglie dei prigionieri e dei dispersi, ha affermato che i detenuti condannati per crimini durante la “sporca guerra” che potrebbero essere liberati sono circa 35, aggiungendo però, con parole che più chiare non potrebbero essere, che “la giustizia non ha nulla a che vedere con la clemenza, ma solo con ciò che è giusto”