Le opere d’arte hanno un’anima

di Enzo Mazzi
da la Repubblica Firenze, 15 agosto 2010

La contesa sulla proprietà del David di Michelangelo si ripropone periodicamente a confermare la pochezza del livello culturale con cui si gestiscono le opere d’arte sia a livello cittadino che statale.

I capolavori d’arte sono usati come oggetti utili a far soldi per un turismo sempre più selvaggio che “consuma” opere di grande valore storico e morale con la stessa superficialità dell’“usa e getta” con cui si mangia il panino fast food. Sono i soldi che hanno il primato nelle politiche culturali, non la pregnanza del messaggio estetico attraverso il quale le opere artistiche trasmettono memoria storica, valori, visioni e senso della vita e della civitas.

Non dico, moralisticamente, che i soldi e il richiamo del turismo siano da deprecare. Né rimpiango il tempo in cui la mobilità turistica e il godimento della produzione artistica era riserva a una ristretta elite. Il problema è che oggi la produzione di danaro è al primo posto. Le opere d’arte hanno un’anima, non sono solo mitiche forme estetiche da esporre in una città-museo svuotata di memoria viva e di funzioni vitali.

Come s’intrecciano oggi l’arte e la vita? Ad esempio il David, per tornare al capolavoro dell’artista fiorentino di cui ogni estate si discute la proprietà o la collocazione. A Michelangelo l’opera fu commissionata nel 1501 dalla potente Arte della lana, in pieno regime di quella feroce restaurazione oligarchica che non piacque certo a Michelangelo.

Egli era seguace del Savonarola, credeva nella rinnovazione della Chiesa, aveva a cuore la riforma popolare e la libertà della Repubblica. Michelangelo si piega e scolpisce il David, ma in maniera assolutamente inconsueta rispetto ai trionfalistici canoni iconografici. Egli imprime nell’opera la convinzione che la storia nella sua realtà più profonda è dei deboli.

Recupera infatti il simbolo biblico del pastorello disarmato e disprezzato il quale sconfigge Golia, il guerriero apparentemente invincibile, rifiutando le armi del potere, usando invece gli strumenti consueti, umili e poveri, della propria cultura pastorale: la fionda e le pietre levigate del fiume.

Il David è una specie di schiaffo al potere. E’ una segreta rivincita dell’utopia sulla miseria del compromesso a cui ormai si era piegato. Il David con la sua fierezza gentile, con la sicurezza quasi noncurante con cui tiene la fionda e le pietre, con la sua nudità acerba priva dei simboli e delle maschere del potere è un messaggio troppo importante per essere trascurato.

Mi rendo conto che non è impresa facile dare il senso dell’anima profonda delle opere d’arte. Bisognerebbe incominciare dalla scuola dove l’insegnamento della storia e in particolare di quella dell’arte è per lo più priva di questo senso, le opere e gli eventi sono decontestualizzati e frantumati e soprattutto resi estranei e lontani dalla vita concreta dei giovani. Per finire alla città divenuta museo mitologico in cui si consuma sempre più il divorzio fra l’arte e la vita.

Qualche anno fa feci una misera proposta all’assessore fiorentino del tempo alla cultura: dotare alcune delle più importanti opere d’arte di una didascalia che contestualizzi ogni opera dando il senso profondo della sua anima in relazione ai bisogni attuali di un’etica della socialità, della giustizia, della pace. Rinnovo oggi la proposta.