Ma la guerra cos’è, cosa non è?

Lidia Menapace
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Prima di tutto non è un fenomeno “naturale”: tanto è vero che Ryane Eissler documentò che vi furono nell’Europa primitiva (Ureuropa) almeno mille anni senza guerre. Non è un evento casuale: tanto è vero che Marija Gimbutas documenta che una particolare forma di ordinamento sociale la evita.

Dunque deve essere un evento che ha cause culturali , storiche, politiche. Ma a che cosa serve?

E’ forse un evento che risolve i conflitti? una delle tante giustitficazioni delle guerre è che tra popoli stirpi classi religioni si aprono conflitti, che si avvitano su se stessi, tanto che non si può fare altro che intervenire con le armi per eliminarli: ma le guerre eliminano i confliggenti uccidendoli , il conflitto rimane, tanto che dà luogo alla ricerca di rivincita.

Se lasciamo le domande ed esaminiamo le guerre nel loro concreto svolgersi possiamo osservare che gli antichi le consideravano il rispecchiamento di litigi conflitti gare ambizioni tra dei, che avevano sulla terra i loro sostenitori ecc. Su questa idea è fondata l’Iliade omerica. Più terrena l’idea di guerra dei Romani, cioè che spettasse a Roma il dominio del mondo e che gli dei stessi alla città avessero destinato questo compito, prima giustificazione religiosa di quello che chiamiamo imperialismo.

Incluse le guerre sante e le crociate. In tutto questo lunghissimo periodo le guerre furono “limitate” da diritti di ospitalità e dalla definizione del territorio in cui si svolgevano Cioè chi aveva precedenti relazioni amicali documentate da ospitalità, se si incontrava sul campo di battaglia non si scontrava, ma scambiava doni, atteggiamento che vien lodato ancora per tutto il tempo dei poemi cavallereschi, come si vede nell’Orlando Furioso: “Oh gran bontà dei cavalieiri antiqui” che al calar del sole smettono ii duello amoroso e religioso che li opponeva e dormono vicini. Invece la popolazione civile era difesa dal fatto che il perimetro della guerra era il “campo” e lì si svolgevano le battaglie appunto “campali”. Oppure i Campi di Marte dove avvenivano i duelli tra Orazi e Curiazi o la Disfida di Barletta.

Questi effetti e forme durano fino all’invenzione delle armi da fuoco, che producono le grandi fanterie e gli stati assoluti con adeguata struttura organizzativa ed economica, affidando la sorte delle guerre ai grandi stati dotati appunto di tecnologie e finanze (e/o colonie)

Un ulteriore passo è quando Mussolini inventa la “guerra totalitaria” che cioè si svolge su e contro l’intero territorio del “nemico”: le città diventano obiettivi dei bombardamenti e nel giornalismo italiano viene inventato il termine “coventrizzare” (dal nome di un sobborgo di Londra, Coventry, raso al suolo da un bombardamento dell’Aeronautica ,”arma fascistissima”).

Del resto gli Alleati non si tirarono indietro: le nostre città furono bombardate senza limiti e da allora in qualsiasi guerra, i civili muoiono più dei militari. La guerra diventa un fatto “totale”. E di incommensurabile capacità distruttiva, con le armi atomiche . Veniamo a sapere ora che gli esperimenti atomici francesi nell’arcipelago di Mururoa di svariati decenni fa stanno ancora inquinando l’oceano non lontano dalle centrali giapponesi colpite da terremoto e tsunami. A questo punto la guerra viene definita nella cultura attuale con l’acronimo M.A.D. (mutual assurance of destruction, mutua garanzia di distruzione) , cioè follia.

Ma intanto che cosa è la guerra nel diritto? La definizione classica è molto “oggettiva”: “conflitto interstatale armato”, succesivamente si spiega che può essere “giusta” o “ingiusta”, ma non vi sono fonti giuridiche in appoggio.

Vale molto, per la professionalità di chi l’ha inventata, la definizione di von Clausewitz: “la guerra è la politica continuata con altri mezzi”. E poichè la politica è l’attività che regola il consorzio umano, se la guerra la continua. deve avere lo stesso livello di potere, cioè essere il Potere.

E non tollerare limiti: infatti von Clausewitz dice dall’alto della sua prestigiosa cattedra di professore della Scuola di guerra della Prussia (da cui fu rimosso poi perchè troppo “moderato”) che chi parla di guerra limitata o mente o non sa che cosa dice. La guerra non tollera limiti se non la sconfitta del nemico. E oggi in più la garanzia di reciproca distruzione o, con altra definizione, di sapere che le bombe atomiche, già stoccate negli arsenali, sono in grado di distruggere 11 volte il pianeta. Questa si chiama aporia, coè stop al pensiero.

Interessanti novità avvengono alla fine della seconda guerra mondiale, quando si costituisce l’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU, che in seguito modifica il suo nome in Nazioni Unite (N.U.). Nella sua Carta, dopo un breve proemio in cui i reggitori dei popoli che la lanciano affermano di aver visto le distruzioni provocate appunto dalla guerra e di voler preservare le future generazioni dal rischio che si possa ripetere tutto ciò, dichiarano che “la guerra è un crimine”. Questa deve essere ritenuta la vigente definizione internazionale di guerra.

Chi lo affermò non era nè un’associazione di benefattori, nè un collegio di filosofi, nè un gruppo di tenere fanciulle: si chiamavano Truman, Churchill, De Gaulle, Stalin, Mao, cinque uomini di ferro, che ne avevano viste e fatte di ogni colore. Infatti non si limitano a fare una nobile affermazione, ma ne deducono – da statisti quali erano- che se è un crimine per tenerla sotto controllo reprimerla evitarla ecc. occorre una polizia internazionale con proprio specifico addestramento, una magistratura, un codice. Invece di tutto ciò si avviò la “guerra fredda” e le relazioni internazionali si rimisero sui vecchi binari delle definizioni ipocrite e non limpide.

Se di fronte all’attuale crisi internazionale che ci ha fatto assistere in pochi anni al disastro del petrolio nel golfo del Messico, al terremoto e tsunami in Giappone con i pericoli delle centrali, alla scoperta che l’oceano vicino alle centrali è ancora inquinato dagli esperimenti francesi di Mururoa, ai venti che stanno spingendo la nube radioattiva verso l’Europa, sta arrivando in Islanda, sarà presto sulla Francia ecc. , alle rivoluzioni magrebine, alla crisi libica (senza contare Yemen Siria ecc. che si preparano), se dunque di fronte a tutto ciò non ci mettiamo a prerarare alla svelta una alternativa, ben presto non potremo più fermare la barbarie che la crisi produce.

Non si può tacere, e lasciare il futuro nelle mani di governi corrotti, politici ignoranti e finanze che prosperano sulle sciagure e imprese che nascondono le condizioni degli impianti nucleari o dei pozzi sottomarini per non rimetterci nei profitti. Sarebbe da stupidi irresponsabili.

E’ un lusso che non possiamo permetterci: tutti e tutte noi che non abbiamo potere, nè soldi, nè mezzi di comunicazione di massa, mettiamo dunque in gioco la nostra ragione, volontà, tenacia, generosità, come facemmo quando era necessario non cedere a Hitler e a Mussolini, sennò siamo corresponsabili della barbarie presente, anche se fossimo tutti e tutte il meglio della cultura arte e bellezza: tutto si offuscherebbe, appassirebbe, marcirebbe.

La crisi capitalistico-patriarcale, strutturale globale produce barbarie: noi vogliamo un altro mondo possibile: “Se non ora, quando ?”