L’atomo fuggente. Quando il papa inneggiava al nucleare

Valerio Gigante
Adista 48/2011

Molti osservatori hanno fatto notare l’importanza della mobilitazione del mondo cattolico in occasione dell’ultima tornata referendaria. L’appello anti-nuclearista del papa ha fatto molto scalpore, ma in realtà il papa non l’ha sempre pensata così. Ecco perchè la gerarchia, come i vertici di molti partiti politici, non hanno fatto altro che “accodarsi” al movimento.

Riguardo al successo dei referendum del 12 e 13 giugno, la questione non sta però tanto nella partecipazione più o meno decisiva dell’elettorato cattolico, quanto nel comprendere se questo elettorato si sia mosso su indicazione della gerarchia ecclesiastica, o se invece non sia avvenuto esattamente il contrario. Sui referendum, infatti, la gerarchia sembra essersi accodata ad un movimento che, all’interno del corpo ecclesiale, si stava facendo massiccio.

Ad avallare questa ipotesi, il fatto che il papa abbia parlato con chiarezza del nucleare solo il 9 giugno scorso, all’interno di un discorso fatto ad alcuni ambasciatori ricevuti in Vaticano per la presentazione delle credenziali. Ambasciatori che, per di più, col Giappone ed il disastro di Fukushima non c’entravano nulla, perché provenivano da Moldavia, Guinea, Belize, Siria, Ghana e Nuova Zelanda.

A loro Benedetto XVI ha lanciato un ammonimento dai toni assai espliciti e chiaramente riferibili alla consultazione referendaria: «I governi utilizzino energie ambientali rispettose per l’ambiente, evitando il ricorso a una tecnologia pericolosa per l’uomo»

Coerenza in atomi

Ma il “papa verde”, come molti (specie in Germania) ormai lo definiscono, non l’ha sempre pensata così sul nucleare. In occasione dei 50 anni dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (l’Iaea, International Atomic Energy Agency), il 29 luglio 2007, Ratzinger aveva ricordato che tra gli obiettivi dell’agenzia c’è quello di «sollecitare ed accrescere il contributo dell’energia atomica alle cause della pace, della salute e della prosperità in tutto il mondo». Sottolineando che, «la Santa Sede, approvando pienamente le finalità di tale Organismo, ne è membro fin dalla sua fondazione e continua a sostenerne l’attività».

E poi il card. Renato Raffaele Martino, tra i nuclearisti più convinti, che nel 2006, da Presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace (il dicastero vaticano “competente” sulle questioni ambientali), in occasione del 20° anniversario del disastro di Chernobyl invitò la Comunità internazionale a sostenere lo sviluppo dell’energia nucleare per uso civile: «L’energia nucleare – disse – non va guardata con gli occhiali del pregiudizio ideologico, ma con quelli dell’intelligenza, della ragionevolezza umana e della scienza, accompagnate dall’esercizio sapiente della prudenza, nella prospettiva di realizzare uno sviluppo integrale e solidale dell’uomo e dei popoli».

E proprio il card. Martino era tra gli ecclesiastici citati nell’opuscolo Energia per il futuro, un fascicoletto di 48 pagine (v. Adista nn. 10 e 30/10) esplicitamente realizzato per “sponsorizzare” l’opzione nucleare nel nostro Paese ed allegato nel gennaio 2010 a diversi settimanali diocesani (che hanno poi però decisamente cambiato rotta nei mesi precedenti la consultazione referendaria).

A curarlo era stata la società Mab.q, concessionaria pubblicitaria di Radio Vaticana, il cui primo inserzionista è proprio l’Enel, principale attore della riapertura dell’ipotesi nucleare in Italia. L’opuscolo fin dalla prima pagina sottolineava la «lungimiranza» della Chiesa cattolica, che «negli anni si è sempre opposta al nucleare applicato a fini bellici, ma si è dimostrata altrettanto aperta nei confronti dell’utilizzo pacifico di questa fonte energetica».

Acqua in bocca

Sull’acqua, poi, i vertici della Cei (e il loro giornale) hanno avuto una atteggiamento piuttosto “aperturista”, che se da una parte difendeva il principio della universalità del diritto all’acqua e della proprietà pubblica degli acquedotti, non escludeva però la possibilità di una cessione ai privati dei servizi idrici.

La stessa posizione assunta da larga parte del centro sinistra nel 2009, all’epoca della conversione in legge del decreto Ronchi. Tanto che (editoriale del 18/11/2009), in uno dei pochissimi commenti dedicati alla questione da Avvenire, Paolo Viana (che in un altro articolo, del 22/11/2009, suggeriva la possibilità di un ingresso del no-profit nel settore idrico) si rammaricava che il provvedimento fosse stato approvato con un voto di fiducia e si fosse persa la possibilità di un confronto bipartisan sul tema.

E del resto, anche recentemente, p. Alex Zanotelli ha avuto più volte occasione di rammaricarsi per il silenzio della Cei e denunciarne la latitanza su un tema così cruciale. Fino al pronunciamento del segretario della Conferenza Episcopale Italiana, mons. Mariano Crociata, arrivato però in “zona Cesarini”, il 24 maggio scorso, nel corso di una conferenza stampa a margine dei lavori dell’Assemblea Generale della Cei (v. Adista n. 44/11).

Legittimo impedimento. A parlare?

Anche sul legittimo impedimento (legge varata nel marzo 2010 e promulgata il 7 aprile di quell’anno), la gerarchia cattolica è restata in silenzio. Non ne ha salutato l’approvazione con entusiasmo, certo; ma nemmeno ha manifestato sconcerto. E men che meno indignazione. L’Avvenire (Francesco D’Agostino, 3/2/2010) addebitava la crisi del rapporto tra politica e magistratura esplosa con la questione del legittimo impedimento «a entrambe le parti in conflitto». E nell’unico editoriale (peraltro non quello principale) dedicato alla vicenda in quel periodo (11 marzo 2010), Danilo Paolini affermava di non voler entrare nel merito della legge, preferendo sottolineare i «tanti impedimenti» che paralizzano la giustizia italiana.

Magistero popolare

Ma se la gerarchia cattolica ha parlato con chiarezza solo a pochi giorni dal voto, la mobilitazione sui temi referendari è stata invece massiccia, nelle parrocchie e nelle diocesi, sin dal 2009, quando la base cattolica fu in prima linea nel denunciare i rischi della privatizzazione dei beni comuni, nel partecipare attivamente alla formazione dei comitati per la difesa dell’acqua pubblica, nella raccolta delle firme per l’indizione del referendum, nel lavoro di informazione e pressione sulle amministrazioni locali quando si cercava di individuare i siti delle future centrali atomiche, animando la campagna referendaria.

All’interno di questo processo, che si colloca sullo sfondo di quella “primavera ecclesiale” di impegno politico e civile di cui Adista ha spesso parlato, la gerarchia ha scelto alla fine di allinearsi alle posizioni assunte da tante realtà diocesane e dai movimenti cattolici. Un po’ per evitare un ennesimo, pericoloso scollamento tra base e vertice della Chiesa. Un po’ per capitalizzare al massimo una vittoria che nei giorni precedenti alla consultazione referendaria iniziava ad essere nell’aria, almeno dal momento in cui la Corte di Cassazione aveva dato il via libera al quesito modificato sul nucleare.

Variegato il fronte dei cattolici e delle realtà ecclesiali che si sono ritrovate dentro quel 57% di votanti che hanno consentito di raggiungere il quorum e di vincere i referendum: anzitutto i religiosi e i missionari, suore e preti di base, che attraverso la voce e l’impegno di Zanotelli e di don Ciotti avevano aperto la mobilitazione referendaria e che il 9 giugno hanno chiuso la campagna elettorale digiunando in piazza San Pietro, guardati a vista dalla gendarmeria vaticana.

Poi la stragrande maggioranza del laicato cattolico organizzato, come Acli, Azione Cattolica, Agesci, Pax Christi, la Rete interdiocesana nuovi stili di vita, che ha promosso una campagna per il tempo di Pasqua su “Acqua come dono di Dio e bene comune”, sottoscritta da 25 diocesi e 8 uffici diocesani.

Quindi i gruppi e le realtà della Chiesa di base, come le Comunità Cristiane di Base (che intravedono nei risultati referendari «la nascita di un grande movimento trasformatore alla base della società in collegamento più o meno esplicito con un vento nuovo di liberazione e di affermazione di sovranità dal basso che sta impetuosamente soffiando nel mondo»), Noi Siamo Chiesa, e giornali, riviste siti internet e blog della sinistra ecclesiale.

E i singoli credenti, sensibilizzati ai temi referendari all’interno delle loro comunità parrocchiali, durante le omelie domenicali, attraverso le pagine e pagine dedicate a tali questioni dai settimanali diocesani, che negli ultimi due anni si sono occupati spessissimo di acqua e nucleare, e che ai referendum hanno in larga parte dedicato i loro editoriali nella settimana precedente il voto.

Nel laicato cattolico organizzato, insomma, sembra che a difendere (per ora) il fortino berlusconiano, siano rimasti solo quelli di Comunione e Liberazione, nuclearisti e iperliberisti convinti, che hanno boicottato il voto. Mostrando una coerenza, almeno nella forma, che non ha invece caratterizzato la gran parte dei vertici della Chiesa istituzionale.