La sfida finale dell’immaginario collettivo

Claudio Giambelli
Comunità Cristiana di Base di San Paolo – Roma

Qualche tempo fa, in Marzo, si rifletteva nella Comunità Cristiana di Base di S.Paolo su cosa fosse il peccato e in particolare se esistesse veramente il peccato originale che ha compromesso tutte le azioni dell’umanità, che, a questo punto, non possono che essere fondamentalmente malvagie.

Lasciando un attimo da parte l’impostazione della dottrina ufficiale cristiana, Giovanni Franzoni ci metteva al corrente dell’interpretazione che hanno dato gli ebrei, nel Talmud, alle parole della Genesi, su Eva che coglie la mela dall’albero della Conoscenza del Bene e del Male, nel Paradiso. Ebbene, nell’ebraismo, non si parla mai di peccato originale. Quel passo della Genesi viene spiegato piuttosto come un atto di sfida che ha portato l’umanità lontano da Dio.

Pare anche che nel Talmud si aggiunga che Dio, a quella vista, piange e dice: “Proprio ora che l’uomo e la donna avevano incominciato a somigliarmi, se ne sono andati”. Neanche Dio li aveva cacciati, ma sono loro che si sono allontanati.

Ecco, facendoci suggestionare da questa interpretazione, possiamo dire che l’avventura dell’uomo e della donna nella storia dell’umanità ha inizio con un atto di sfida che li allontana da un equilibrio dove ognuno trovava il suo posto in un contesto di relazione: Dio che chiedeva amore e quindi somiglianza, l’uomo e la donna che crescevano nell’ambito della natura, rispettandola.

Il fatto che l’umanità, responsabilmente, abbia rotto questo equilibrio, non vuol dire che non lo possa ritrovare, ma ormai con un processo di rivisitazione culturale, politica, religiosa: questa è la nuova sfida.

Perché nel frattempo, la parte piu’ propriamente razionale si è molto sviluppata e ha preso il sopravvento sulla parte esistenziale-inconscia, quella che teme cio’ che non conosce, quella che adotta il principio di precauzione in modo spontaneo, quella che predilige l’equilibrio ciclico, a somiglianza della natura.

Il fatto poi che la parte razionale sia molto sviluppata non vuol necessariamente dire che porti sempre al bene dell’umanità: vuol solo dire che è un campo di grandi potenzialità, apparentemente molto piu’ attraente della parte che vuole agire per un equilibrio conservativo.
E la parola “somiglianza” a questo punto diventa fondamentale.

A chi vogliamo somigliare ? Qual è il nostro modello di riferimento ? Qual è la visione del mondo a cui ci ispiriamo ? E poi, siamo veramente liberi di muoverci come vogliamo noi ?

Come si osservava, in occasione di un incontro con Raniero La Valle per la presentazione del suo libro “Paradiso e libertà – L’uomo, quel Dio peccatore”, si sta prendendo sempre piu’ consapevolezza, anche supportati da prove scientifiche delle neuro-scienze, che l’attitudine dell’uomo è fortemente imitativa e così il peccato dilagante e contaminante potrebbe essere spiegato da questa propensione a fare il male per imitazione, quasi senza accorgersene.

Probabilmente, questo meccanismo imitativo era noto da sempre, anche se ora ha l’avvallo di una dimostrazione scientifica e così da sempre l’umanità ha compreso la forza della manipolazione, cioè del tentativo di imporre un modello dominante da imitare; perché questo significa avere potere e influenza sugli altri e accesso alle ricchezze di tutti.

Naturalmente l’imitazione non è solamente verso il male, ma puo’ essere orientata al bene: si amplifica così il confronto tra cosa è male e cosa è bene.

In sintesi pare proprio di vedere davanti a noi il confronto mortale e finale (perché l’umanità sta rischiando la sua estinzione) tra una parte che propone uno sviluppo che ri-conduca ad un equilibrio con il Pianeta Terra ospitante (parte decisamente minoritaria) e una parte che propone uno sviluppo che vada oltre ogni limite, perché, qualsiasi limite è visto come un impedimento alla propria libertà (parte decisamente dominante).

Naturalmente il sistema dominante propone, con tecniche di manipolazione sempre piu’ potenti, il proprio modello come quello giusto, a cui aderire.

Qui probabilmente bisogna riparlare dell’immaginario collettivo. La realtà dell’umanità non è solo quella che apparentemente vediamo; ma è costituita anche dai suoi sogni a occhi aperti: chi riesce a orientare questi sogni a livello collettivo ha un potere enorme.

Solo la trasformazione dell’immaginario puo’ rompere gli schemi interpretativi esistenti e farci rinominare la realtà” dice Luciana Percovich, in un articolo su Noi Donne di Giugno 2011.

Nel concetto della Decrescita, ancor prima delle riflessioni su come tradurla in azioni socio-economiche, c’è l’esigenza della “decolonizzazione dell’immaginario collettivo”, quell’immaginario, per intenderci con esempi, che ci ha convinto che il pubblico è corruzione e il privato è efficienza o fare le grandi opere (vedi TAV, ponte sullo stretto) è conveniente e non farle è perdente, cioè – sottolineo – un immaginario che gioca su slogan del tipo buono-cattivo come si puo’ usare con i bambini di 2-3 anni, per evitare che si facciano male.

Nel mio tentativo qui di provare a rompere un poco la rigidità dell’immaginario, di cui tutti soffriamo, mi aggancio decisamente alle considerazioni riportate nell’articolo di Noi Donne, perché le trovo estremamente attinenti all’argomento: “L’immaginario, infatti dà forma alla dimensione piu’ profonda dell’umano, dove trovano risposta le domande fondamentali sul senso della vita e orienta, spesso inconsapevolmente, le nostre azioni.

Molto interessanti anche le considerazioni sulle società matriarcali e patriarcali. “I sistemi patriarcali, per riuscire a imporsi, hanno dovuto sopprimere o capovolgere la sapienza millenaria delle società matrilineari, hanno snaturato le simbologie del passato, colonizzandole con valori diversi, basati sulla lotta contro la madre e contro la natura, viste solo come risorse da dominare e sfruttare…

La sapienza dei primi miti racconta come la creazione non sia un gesto avvenuto all’inizio del tempo, una volta per tutte, ma che il principio di creazione viene rimesso in moto tutte le volte che, attivamente, l’umanità riesce a stabilire rapporti di equilibrio anziché di sopraffazione o sfruttamento…

La Dea Madre rappresentava proprio questo principio regolatore e ciclico, non era tanto il femminile inteso come corpo, ma soprattutto come Colei che dà le regole, le forme attraverso cui una società possa svilupparsi in armonia…

Le società del passato possono costituire un modello non nella riproposizione di un ordine sociale estinto, ma contribuendo a spezzare quell’immaginario negativo che è stato loro calato addosso e riportando alla luce l’idea dell’equilibrio, tra umani e natura e tra esseri viventi tout court.