Bertone-Cei: 4 anni di scontro per l’egemonia nei rapporti con la politica italiana

Valerio Gigante
www.adistaonline.it (n. 66/10)

Il rinnovato attivismo politico del card. Tarcisio Bertone e la risentita e secca reazione del portavoce della Cei, mons. Pompili (v. notizia precedente), fanno riemergere, come un fiume carsico, un conflitto – quello tra vertici della Cei e Segreteria di Stato vaticana – che prosegue da ormai 4 anni.

A scatenarlo – lo abbiamo ricordato più volte su queste pagine – è stata l’eredità lasciata dal card. Camillo Ruini a marzo 2007, data delle sue dimissioni per raggiunti e superati limiti di età dalla presidenza della Cei. Fino ad allora, i rapporti con la politica italiana erano stati saldamente in mano al presidente dei vescovi, che li aveva gestiti in maniera personale e diretta per circa 15 anni.

Quando alla presidenza della Cei subentrò il card. Angelo Bagnasco (la cui nomina fu caldeggiata dallo stesso Ruini, che intendeva continuare dall’ombra a guidare la Cei), il card. Bertone sperava di poter finalmente avocare a sé la gestione dei rapporti con le istituzioni e i partiti politici italiani. Lo lasciò chiaramente intendere sin dalla lettera personale inviata a Bagnasco il 27 marzo 2007.

Il pretesto, quello degli auguri per il nuovo incarico. Il motivo reale, la volontà di rivolgere al capo della Cei un pressante invito a «riservare priorità all’evangelizzazione, alla catechesi dei giovani e degli adulti, a una recuperata e motivata disciplina del clero e a un impegno comune per la promozione specifica delle vocazioni al ministero presbiterale», lasciando perdere il resto. Per il resto, cioè «per quanto concerne i rapporti con le istituzioni politiche», Bertone assicurava (e quindi implicitamente prospettava) «la cordiale collaborazione e la rispettosa guida della Santa Sede, nonché mia personale».

La lettera doveva restare personale. Ma venne pubblicata sull’Osservatore Romano, organo ufficioso della Santa Sede diretto da un uomo vicinissimo a Bertone, Gian Maria Vian. Il messaggio, insomma, era chiarissimo. Ma Bagnasco (e Ruini) non vollero ascoltare.
Da qui una tensione strisciante, manifestatasi in alcune occasioni anche in forma esplicita.

All’inizio del febbraio 2008, poche settimane prima delle elezioni che avrebbero visto la vittoria del centrodestra, Ruini e Bagnasco premevano per una presenza cattolica autonoma dell’Udc nello schieramento di centro-destra, sostenendo perciò Casini (anche attraverso un’intervista di Boffo al Tg1 delle 20, il 9 febbraio) nel suo rifiuto di entrare nel listone unico Fi-An che avrebbe di lì a poco dato vita al Popolo della Libertà.

Il card. Bertone reagì stizzito qualche giorno dopo, utilizzando l’organo ufficioso del Vaticano, l’Osservatore Romano del fedelissimo Vian: l’11 febbraio 2008, anniversario dei Patti Lateranensi, fece pubblicare un articolo in prima pagina, senza firma (il cui contenuto andava quindi riferito alla Segreteria di Stato), che sottolineava come i rapporti tra Chiesa e Stato in Italia fossero regolati da un Concordato stipulato non con la Cei, ma col Vaticano, e che quindi era quest’ultimo (attraverso la figura del Segretario di Stato) a dover gestire questioni politiche che insorgessero circa le presenze e l’attività della Chiesa in Italia.

I mesi successivi furono caratterizzati dalla progressiva presa di distanza dei vertici Cei (e dell’Avvenire) dal governo Berlusconi, cui fece da pendant un sostegno al Cavaliere sempre più convinto (e supportato da incontri e dichiarazioni pubbliche) da parte del Segretario di Stato, che non si incrinò né durante il caso D’Addario, né in seguito agli scandali del G8 alla Maddalena, del terremoto all’Aquila, della “cricca”, o alle vicende che hanno riguardato ministri e sottosegretari del governo. E neppure – successivamente – nel corso dell’assai più grave affaire Ruby.

Intanto, il 20 gennaio 2010, nuovo momento di tensione all’interno della gerarchia ecclesiastica, quando il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi ed il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Gianni Letta andarono a trovare Ruini nella sua residenza romana per ricevere la sua approvazione alla “santa alleanza” tra Pdl e Udc nel Lazio per sbarrare la strada ad Emma Bonino nella corsa alla presidenza della Regione.

Non era la prima volta che accadeva. Ma era un nuovo, duro colpo alla leadership di Bertone. Che si rifece però qualche mese dopo, il 10 luglio 2010, partecipando ad una cordiale cena a casa di Bruno Vespa insieme a Berlusconi, al governatore della Banca d’Italia Mario Draghi, al presidente dell’Udc Pierferdinando Casini, a Gianni Letta, al banchiere Cesare Geronzi.

Infine, lo scontro Berlusconi-Fini, all’interno del quale la Segreteria di Stato giocò un ruolo molto defilato, mentre Cei ed Avvenire criticavano con durezza il presidente del Consiglio, che in quei giorni riceveva a Roma, in pompa magna, il leader libico Gheddafi.

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TONIOLO, BAMBIN GESÙ, SAN RAFFAELE. IL CORDONE “SANITARIO” DEL CARD. BERTONE

Valerio Gigante
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Al centro (e “chiave”) di tutte le tensioni tra il card. Tarcisio Bertone ed i vertici della Cei, alla fine dell’agosto 2009, il “caso Boffo”, pianificato all’interno di ambienti ecclesiastici ostili al card. Ruini allo scopo di rafforzare la posizione della Segreteria di Stato all’interno dei media ecclesiastici e all’Università Cattolica. Sì, perché proprio all’Università Cattolica il dossier contro Boffo aveva cominciato a circolare, per passare poi nel casellario dei vescovi riuniti a Roma per l’Assemblea Generale della Cei del maggio 2009, e finire quindi il suo travagliato percorso sopra la scrivania di diversi direttori di giornale, compresa quella di Vittorio Feltri, che lo rese di pubblico dominio.

Il fatto che l’attacco a Boffo partisse proprio dalla Cattolica non fu però né casuale né privo di significato. Come non è casuale che Boffo, dopo le rivelazioni fatte dal Giornale, pur costretto ad abbandonare tutti gli incarichi ai vertici dei media cattolici (riassumendo, nell’ottobre 2010, solo la direzione di Tv2000, il canale della Cei), sia riuscito a mantenere proprio il posto nel comitato permanente del Toniolo, l’ente che gestisce, attraverso il suo “Comitato permanente”, l’Università milanese, ma anche gli atenei di Brescia, Cremona, Piacenza, Roma, Campobasso, il Policlinico Agostino Gemelli di Roma, nonché la casa editrice “Vita e Pensiero”.

Proprio al Toniolo, da anni, si consuma forse lo scontro più importante della guerra tra Bertone e i vertici della Cei. Fino al 2003, alla guida del Toniolo c’era Emilio Colombo, notabile Dc a capo di una cordata della quale facevano parte Giancarlo Lombardi, Oscar Luigi Scalfaro e Siro Lombardini e che faceva capo alla Segreteria di Stato vaticana. Quell’anno, il card. Ruini spianò la strada alla nomina ai vertici del Toniolo del card. Tettamanzi, cui seguì (aprile 2004) l’ingresso nel Comitato esecutivo dell’istituto del fedelissimo Boffo.

Intanto, anche grazie al sostegno di Comunione e Liberazione, nel 2002, rettore della Cattolica era stato eletto un altro uomo assai vicino a Ruini, Lorenzo Ornaghi, membro, dal 1998, del consiglio di amministrazione del quotidiano Avvenire (di cui dal 2002 è anche vicepresidente). Ornaghi, che è anche direttore (dal 2003) della rivista Vita e pensiero, ha ottenuto nel 2006 un secondo mandato e nel giugno del 2010 è stato riconfermato per la terza volta.

Ebbene, da tempo Bertone ha fortemente rimesso in discussione gli assetti consolidatisi durante l’era ruiniana. Finora, però, con scarsi risultati, se appena l’anno scorso Ornaghi è stato rieletto col voto unanime di tutto il Consiglio di Amministrazione dell’Università, sbaragliando, per la seconda volta consecutiva, la candidata di Bertone, Ombretta Fumagalli Carulli (vicinissima all’Opus Dei).

Ciononostante, sono mesi che Bertone continua ad esercitare pressioni affinché Tettamanzi (che lascerà la diocesi di Milano a settembre) si dimetta dalla presidenza del Toniolo. A febbraio, Bertone chiese all’arcivescovo di non procedere alla riconferma di tre componenti del comitato permanente in scadenza, favorendo così l’ingresso nel comitato di uomini vicini alla Segreteria di Stato. Inoltre, Bertone aveva manifestato perplessità sulla gestione del Toniolo e sulla sua direzione amministrativa, affidata, dal 2008, ad Enrico Fusi.

Ma i tre membri in scadenza sono stati riconfermati, e Tettamanzi, ricevuto dal papa il 30 aprile e il 21 maggio scorsi, è riuscito a “congelare” qualsiasi decisione fino all’insediamento del nuovo arcivescovo di Milano, il card. Angelo Scola. Per ora, insomma, Tettamanzi resiste, nel tentativo di negoziare la sua uscita con il suo successore. Ma Bertone preme. Anche perché l’arrivo di Scola a Milano (nomina sulla quale la Segreteria di Stato ha tentato di opporre due candidati alternativi, ma senza successo) rafforza oggettivamente la presenza di Comunione e Liberazione (e di Ruini) all’interno della Curia e della Regione.

Col rischio che indirizzi politici, nomine, appalti vengano filtrati dall’alleanza fra Roberto Formigoni e Scola. E questo potrebbe voler dire perdere anche il controllo del Toniolo (e dei suoi fondi) e dell’Università Cattolica.

In questi giorni Bertone sta tentando inoltre di entrare nel consiglio della Fondazione San Raffaele del Monte Tabor che controlla l’ospedale di don Luigi Verzè, attualmente indebitato per circa un miliardo di euro. Nel consiglio del Monte Tabor sono arrivati il presidente dell’ospedale Bambin Gesù di Roma Giuseppe Profiti, il presidente dello Ior Ettore Gotti Tedeschi (vicinissimo a Bertone), l’imprenditore Vittorio Malacalza (partner di Tronchetti Provera in Camfin-Pirelli e amico di Bertone da quando il cardinale era arcivescovo di Genova) e l’ex presidente della Corte Costituzionale (e collaboratore dell’Osservatore Romano) Giovanni Maria Flick (che Bertone da mesi tenta di far nominare alla presidenza del Toniolo). Ma ci sono resistenze.

Anche quelle dello stesso Verzé e che si è sempre piccato di aver fatto dell’ospedale un’istituzione ispirata ad un “umanesimo” laico (e infatti l’aggettivo “cattolico” non compare in nessuno degli organismi che governano l’ospedale) e all’indipendenza dalla gerarchia ecclesiastica. Assumendo anche posizioni “coraggiose”, come nel 2005 quando, in piena campagna astensionista della Cei sulla legge 40, si disse favorevole alla fecondazione assistita. O quando, nel 2006, dichiarò pubblicamente di aver fatto staccare la spina dei macchinari che tenevano in vita un suo amico malato nei primi anni ‘80.

Dietro tutti questi movimenti, emerge un disegno ambizioso, ma difficile da realizzare: Bertone, che alla presidenza dell’Apsa (a gestire cioè l’immenso patrimonio immobiliare della Santa Sede) ha da poco piazzato uno dei “suoi”, mons. Domenico Calcagno, vorrebbe creare un polo sanitario che colleghi l’ospedale pediatrico Bambin Gesù (già sotto controllo vaticano), il San Raffaele e il Policlinico Gemelli.

Bagnasco (che, tra l’altro, presiede il consiglio di amministrazione di un altro ospedale, il Galliera di Genova), Ruini, Tettamanzi, e ora anche Scola, sono pronti a sbarrargli la strada nel nome della autonomia dal «controllo romano». Ma Bertone, oltre a vantare legami solidi con i presidenti di Ior e Apsa, ha ottimi rapporti anche con diverse banche, attraverso la presenza nei cda delle fondazioni che controllano gli istituti di credito di molti uomini a lui vicini.