10 ragioni per la scuola multiculturale di V.Ongini

Vinicio Ongini
Il Post, 17 settembre 2011

Perché la presenza dei bambini stranieri nelle classi italiane è un bene per tutti

Perché Torino, che ha tanti “stranieri” nelle sue classi, provenienti da 130 Paesi diversi, ha le scuole migliori d’Italia ? Secondo l’indagine di Tuttoscuola sul sistema di istruzione nazionale, maggio 2011, un’indagine composta da 96 indicatori, Torino è la prima tra le grandi città per la qualità della scuola. E la sua posizione è migliorata, così come quella del Piemonte in generale, rispetto agli esiti dell’indagine sulla qualità della scuola di quattro anni fa.

Perché nel Veneto, che ha tanti stranieri nelle sue classi, presenti in modo “diffuso” anche nei piccoli centri, gli alunni ottengono risultati eccellenti nelle prove di italiano e matematica condotte dall’Invalsi, l’Istituto nazionale di valutazione? La presenza degli allievi stranieri non è di per sé un elemento negativo, non abbassa il “livello”, anzi. Lo scrive l’Ufficio scolastico regionale del Veneto in un comunicato del 1 agosto 2011, intitolato “La scuola veneta alla prova. I perché di un risultato d’eccellenza”.

Chiavi di casa

“Alcuni di questi ragazzini hanno più rispetto per la scuola. Sono i primi a lavare i banchi quando facciamo laboratorio e, se lo chiediamo, fanno pulizia senza tante storie… A volte li vediamo occuparsi dei fratelli più piccoli, o buttar via la spazzatura, in generale sono più autonomi. Alcuni hanno le chiavi di casa, come noi ai nostri tempi…”. Lo dicono ridendo, “ai nostri tempi!”, alcune maestre delle scuole della Val Maira e della Valle Po, nel cuneese. Una conferma che le famiglie degli immigrati e i loro figli portano nelle nostre classi “idee” diverse di infanzia e di educazione viene anche dalle maestre e dalle “dade” della scuola dell’infanzia “Betti”, del centro di Bologna: “i bambini stranieri, dicono, sembrano un po’ come quelli di una volta… le famiglie gli stanno meno addosso, sembrano più bambini”. Invece le nostre famiglie iperprotettive, “famiglie elicottero”, come le ha definite un gruppo di psichiatri francesi, stanno più addosso. Più addosso, meno addosso, questo è parlar chiaro!, hanno ragione le educatrici di Bologna.

Matematica

Gli studenti asiatici delle nostre scuole sono spesso bravi in matematica e nelle materie scientifiche. “Le aspettative delle famiglie cinesi sulle materie scientifiche e tecniche sono in genere molto alte, racconta un professore di un istituto professionale in provincia di Bologna, fanno gare di calcolo mentale fin da bambini, in famiglia. Un bravo calcolatore è ritenuto una persona intelligente”. Perché non “importare” qualcosa del sistema dell’istruzione cinese? Come hanno fatto 200 licei americani, qualche anno fa. E perché non chiedere un aiuto “in matematica”, in cambio di un aiuto “in italiano”, agli studenti cinesi e indiani che studiano o hanno studiato nelle nostre scuole?

Impegno

“Ci tengono di più alla scuola, si impegnano di più, per loro è ancora importante la scuola… C’è il problema della lingua, soprattutto per chi è appena arrivato, ma alcuni ce la mettono propria tutta e recuperano” dice una professoressa di lettere delle medie, in provincia di Cremona. “Loro” sono gli studenti indiani, rumeni, albanesi della sua scuola. Ci stanno facendo una domanda e le domande sono importanti, avercelo qualcuno che ci fa le domande! La scuola, per noi, è ancora importante?

Lingue

Qualcuno ha scritto che i politici italiani (e i loro staff), a Bruxelles, nel parlamento europeo, si riconoscono facilmente: gesticolano molto e parlano poco le lingue… L’Italia, come è noto, nel campo dell’apprendimento delle lingue è agli ultimi posti in Europa. Dicono due maestre della scuola di Dronero, in Val Maira, nel cuneese : “I bambini della Costa D’Avorio, nelle nostre classi, parlano anche il francese, la loro lingua nazionale, e notano subito le somiglianze con l’occitano, la nostra lingua di minoranza. Sono più predisposti, sono abituati a muovesi tra più lingue. Quando entra la dirigente scolastica dicono: “Bonjour madame!”

Scambio

I “vantaggi” hanno bisogno di essere coltivati. Vivono nell’humus dell’accoglienza e delle pratiche interculturali che gli insegnanti, gli alunni italiani, e spesso gli amministratori locali, hanno messo in campo in questi anni. “Scambiando si impara”, è lo slogan delle scuole toscane che fanno periodicamente, da dieci anni, visite e scambi, di studenti, presidi, professori, con lo Zhejiang, la regione della Cina da cui viene la gran parte dei cinesi in Italia. Uno dei protagonisti di questa relazione diplomatico-didattica è un insegnante di italiano e storia dell’Istituto professionale di Prato, una scuola con molti allievi cinesi. Lui ha imparato la lingua cinese da autodidatta e ha degli amici cinesi, in fondo è anche lui un immigrato in Toscana, i genitori sono di Avellino. Racconta : “La nostra prospettiva è quella di dare e ricevere…per imparare a conoscersi ci vogliono sofferenze e scontri ma la scuola nel suo piccolo è un luogo privilegiato”. Nella scuola multiculturale la parola sofferenza esiste

Internazionale

Nelle classifiche internazionali delle Università, per esempio quella del Times Higher Education, la percentuale degli studenti stranieri sul totale degli iscritti è uno degli indicatori della qualità e del prestigio dell’Istituto. Questo accade anche nei centri di ricerca scientifica. Se il fattore “internazionale” è un valore, lo può essere anche nelle scuole primarie e secondarie. Il paesaggio multiculturale della scuola italiana è “policentrico e diffuso”: non solo le scuole delle metropoli ma anche di piccole città e paesi, ed è caratterizzato da una grande varietà di provenienze. Coinvolge in particolare i territori del Centro e soprattutto del Nord del Paese, le scuole dell’infanzia e primarie, e sempre di più gli istituti tecnici e professionali. Più della metà degli alunni che le frequentano sono nati in Italia. Un capitale “internazionale” da non sprecare. Su cui investire risorse, inviando sul campo gli insegnanti e i presidi più motivati e capaci.

Merito

Gli immigrati sono qui da poco, difficilmente ricorrono allo “strumento” della raccomandazione. Un vizio nazionale questo, figlio di un “familismo” ancora persistente, ostacolo, questo sì, per la conquista di una piena cittadinanza. Dice la preside di una delle scuole più multietniche del centro di Palermo: “Il mio problema non sono gli stranieri, sono gli altri….” Gli studenti stranieri e le loro famiglie sono, in qualche misura, un antidoto rispetto a certi aspetti negativi del carattere civico degli italiani.

Evidenziatore

Gli studenti stranieri nelle nostre scuole sono un evidenziatore dei nostri modelli, delle nostre pratiche e dei nostri stili educativi. Essere visti e quindi “valutati” da “stranieri” è anche fonte di malintesi, di incomprensioni ma può essere un vantaggio. Possiamo capire di più che cosa noi stiamo facendo e ridare significato al nostro fare scuola. Possiamo “guadagnare” dallo sguardo degli altri. Gi studenti stranieri sono un evidenziatore anche per un altro motivo: ci ricordano come eravamo noi, come Paese, ci ricordano la nostra Storia, le nostre migrazioni passate, ci propongono un esercizio di memoria.

Occasione

Che occasione! Per cambiare, per ripartire, per riaprire. Come i sindaci di due piccoli comuni. Hanno riaperto la scuola che stava per chiudere perché sono arrivati nuovi alunni indiani nelle campagne lombarde, lungo le sponde del fiume Oglio, e piccoli rifugiati del Kurdistan e dell’Afghanistan sull’Appennino calabrese. Conviene guardare con più curiosità ed empatia quello che succede dentro questa nostra scuola. “Nel suo piccolo” è il laboratorio dell’Italia di domani. Non è forse il succo della vita quello di imparare dagli incontri?

Vinicio Ongini, è autore di “Noi domani” (Laterza) e di saggi e di libri per bambini: è stato maestro per vent’anni. Attualmente lavora all’ufficio integrazione alunni stranieri del Ministero dell’Istruzione. Per i 150 anni dell’Unità d’Italia ha coordinato il programma nazionale per le scuole “In viaggio con le Fiabe italiane di Italo Calvino”.