Rendere visibile l’esistenza di una chiesa altra. Incontro nazionale dei preti sposati di V.Gigante

Valerio Gigante
Adista n°73/2011

Tradimento del Concilio e condizione della donna nella Chiesa sono stati i temi forti dell’incontro nazionale di Vocatio, a Napoli dal 16 al 18 settembre, ennesima occasione di convivialità e di reciproco scambio e anche importante appuntamento per riflettere sulle ragioni costitutive del movimento e rilanciarne contenuti e prospettive.

Vocatio è la storica associazione che riunisce i preti sposati italiani. È nata nel 1978 e comprende donne, laici e preti, religiosi e religiose, impegnati in una dimensione ecclesiale “dal basso” che si ispira alle istanze innovatrici innescate dal Concilio Vaticano II e che intende sensibilizzare la Chiesa e la società riguardo al problema dei preti sposati, promuovendo al contempo iniziative e proposte per la trasformazione dell’orizzonte ecclesiale esistente. A guidare Vocatio è da un anno Giovanni Monteasi – già segretario del movimento oltre che direttore dell’Ufficio di Pastorale Sociale e del Lavoro della diocesi di Sessa Aurunca – succeduto nel settembre 2010 a Mauro Del Nevo.

Nell’aprire i lavori, Monteasi ha sottolineato il ruolo fondamentale ed originale della dimensione di “coppia” all’interno della missione di Vocatio. Una specificità, ha detto il presidente di Vocatio, che è bene manifestare con sano orgoglio. La condizione di coppia, comprendente un prete sposato ed una donna coraggiosa che si è posta al suo fianco, infatti, costituisce una testimonianza preziosa per quelle coppie che, ferite dalle critiche impietose intorno a loro e deviate da sensi di colpa inculcati da una gerarchia “matrigna”, tendono a nascondersi e ad auto emarginarsi dalla vita della Chiesa, finendo per mettere da parte, insieme con la scelta celibataria del prete, anche il proprio percorso di fede. Anche per questa ragione, Monteasi ha sottolineato l’esigenza, laddove possibile, che sia la coppia composta dal prete sposato e da sua moglie, e non i due coniugi singolarmente, a fare attività pastorale nelle parrocchie e nelle realtà ecclesiali. Più in generale, Monteasi ha rilevato l’esigenza di riscoprire il ruolo delle donne non solo dentro la Chiesa, ma anche all’interno di in una società, quella contemporanea, sempre più bisognosa di una visione, di un contributo e di una azione declinata “al femminile”.

Nell’ampio dibattito seguito alla relazione del presidente, articolatosi nelle successive giornate, un punto particolarmente rimarcato negli interventi è stato il tradimento del Concilio Vaticano II, di cui sono stati in particolare evidenziati due aspetti: la progressiva negazione della natura della Chiesa come “popolo di Dio”; e il tema, rimosso, del governo collegiale nella Chiesa. Ma il vero tradimento del Concilio, hanno rilevato alcuni, sta forse nella stessa interpretazione che del Vaticano II data da Ratzinger: non una nuova primavera per la Chiesa, un nuovo vento dello Spirito che scardina strutture e assetti di potere vecchi di secoli, ma un evento in sostanziale continuità con la tradizione della Chiesa.

Ampio spazio ha avuto nel corso dei lavori anche il tema della condizione della donna nella Chiesa. All’interno delle strutture ecclesiastiche, anzitutto, dove accade che nei conventi femminili sia sempre più difficile, per le religiose e le novizie, la prosecuzione degli studi; ma anche nei luoghi di produzione della cultura teologica, poiché le teologhe vengono non di rado confinate in una sorta di “limbo” in cui non c’è spazio per una lettura “al femminile” della Scrittura, dei dogmi, della storia e della vita della Chiesa, che pure potrebbe risultare dirompente.

Sulla questione del celibato obbligatorio e dei preti sposati, al di là dei casi di matrimoni riservati (da consegnare purtroppo al segreto più assoluto), si è parlato dell’accoglienza concessa dal Vaticano ai preti anglicani in fuga dalla loro confessione religiosa, per protesta nei confronti del ministero presbiterale alle donne. Se il prezzo da pagare – questa l’opinione emersa – per l’accettazione del ministero “uxorato” deve essere quella di accettare una Chiesa “chiusa” in tradizioni immutabili, cioè tradizioni maschili e patriarcali, meglio allora per i preti sposati rimanere ai margini, ma conservare la libertà dei figli di Dio. Il dibattito ha fatto inoltre emergere che il celibato obbligatorio resta anacronistico e controproducente per la stessa Chiesa se messo in relazione con i dati statistici, che parlano di oltre 10mila preti italiani che hanno abbandonato il sacerdozio per sposarsi (quasi il 20% del totale), mentre nel mondo il numero sale ad oltre 100mila su 400mila, cioè circa il 25% dei presbiteri cattolici.

In un contesto del genere il compito di una associazione come Vocatio è soprattutto quello di testimoniare la possibilità di vivere un’esperienza di fede anche in una condizione considerata “di peccato” dal magistero ufficiale, per diventare un punto di riferimento per quei preti e quelle donne (oltre che per tanti credenti “in ricerca”) che vivono con sofferenza una relazione ancora clandestina o già approdata ad una stabile convivenza o al matrimonio.

Ma per poter essere “segno di contraddizione” nella attuale realtà ecclesiale, è stato rilevato, occorre essere “visibili”. Visibili sul territorio innanzitutto, ma anche mediante i mezzi di comunicazione disponibili. Perciò va potenziato l’uso della stampa (a partire dallo storico trimestrale associativo Sulla strada) e, soprattutto, del sito internet (www.vocatio2008.it). Ma serve anche un dialogo intergenerazionale che non disperda il patrimonio di esperienza, lotte e conquiste della generazione postconciliare e che si concretizzi in occasioni di incontri, seminari di approfondimento, convegni e attività di presenza e di animazione del territorio.