Il “basta!” di Dio di F.Scalia

Felice Scalia
Adista n. 82/2011

Anno B-4 dicembre 2011-II Domenica di Avvento
Is 40,1-5.9-11 Sal 84 2Pt 3,8-14 Mc 1,1-8

Quando un uomo dice “basta!” è disperato, quando lo dice Dio inizia la salvezza, la storia della salvezza. Nella vicenda ebraico-cristiana, il volto di Dio non comincia a farsi tangibile in quel suo “basta” alla disperazione di un Abramo senza futuro ed alle grida dei suoi figli schiavi in Egitto? Ed il brano di Isaia, che apre la liturgia della Parola di oggi, non è il “basta” di Dio alla deportazione babilonese, la sua determinazione a prendere nelle mani il destino del suo popolo? Tutto ciò dovrebbe essere patrimonio abbastanza scontato della nostra fede, ma di fronte alla nostra mancanza di futuro, di fronte alla paura del peggio che domani ci assalirà, viene da pensare che forse Dio ha cambiato stile e che non sente più le nostre urla. «Lui è il Dio dei ricchi», diceva con amarezza un operaio licenziato a 50 anni. «Solo a loro le cose vanno bene. Anche se ladri e assassini, i ricchi prosperano con tutti gli onori. A noi poveri nessun Cristo pensa».

Di fronte a sfoghi simili, c’è da domandarsi in mano a chi siamo, in quali mani è il destino dell’umanità. Se vogliamo essere onesti, dobbiamo confessare che, nei fatti, “il mercato è il mio pastore”, non il Signore. Governa il mondo, non la cura della vita, l’amore per ogni vita, ma il “pensiero unico”, l’ambizione mai soddisfatta dei potenti. Pare che tutto questo sia ovvio e naturale, dunque voluto da Dio che ha creato le leggi di natura. Così naturale questo “sistema” che ci guardiamo bene dal metterlo in discussione, per nulla turbati dalla fede in quel Dio che dichiara se stesso «pastore del suo popolo». Saremmo forse sotto due pastori? Uno mette in croce la carne dei poveracci e distrugge ogni loro umanità, l’altro consola le anime e istilla sopportazione?

L’Avvento diventa allora il tempo in cui scoprire chi è questo Dio che vuole essere il nostro unico «pastore». Dice Isaia: vuole «regnare» su di noi la tenerezza di chi sa portare agnellini in braccio, di chi sa avere pazienza con le pecore madri. Vuole «pascerci», con la cura di chi vuole dire “basta!” alla nostra disperata dispersione.

Ma noi crediamo davvero che questo divino pastore possa sostituire, nei fatti, quei principati e potestà che da secoli ci hanno soggiogato? In altri termini: crediamo sia realistico credere in un Regno di Dio? Non so. Certo il regno di Dio non potrà mai divenire concretezza fino a quando nella nostra storia non avremo ripudiato la convinzione che questo nostro è il mondo voluto da Dio. Pietro ci avverte: questo mondo non è nelle intenzioni del Creatore, è sbagliato, ingiusto e brucerà come pula; noi aspettiamo «nuovi cieli e nuova terra in cui abita la giustizia». Una sorta di accoglienza della mentalità di questo mondo, questa nostra pratica abiura alla speranza che ci fa disperati-rassegnati, è la radice di quei peccati che commettiamo ma non confessiamo mai. È il peccato del nostro secolo. Al tempo di Gesù c’era una marea di gente che voleva un cambiamento delle cose, che aspettava il Messia e riconosceva il proprio contributo peccaminoso che ne impediva la venuta. Per questo andavano da Giovanni a farsi battezzare. E dicevano chiaro: io sono ladro, io sanguinario, io adultero, io inaffidabile… Oggi ci vantiamo di ciò di cui dovremmo vergognarci e non confessiamo niente a nessuno. Abbiamo esempi illustri di chi va avanti da negazione in negazione, da ostentazione di potere in ostentazione di altro potere, capace perfino di immaginaria beneficenza gratuita.

Fino a quando nella società e nella Chiesa non riusciremo a confessare i nostri peccati, dicendo con chiarezza che abbiamo sbagliato, tradito l’amico, il bambino fiducioso, la vita dei giovani, il popolo, proprio perché abbiamo trasformato un servizio in potere, fino a quando qualcosa del genere non avverrà, nessun fiume Giordano segnerà il passaggio dell’uomo dalla schiavitù alla libertà dello Spirito che il Cristo vuole donarci.

*gesuita, teologo dell’istituto Ignatianum di Messina, ha insegnato alla Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale. Attualmente svolge attività di animazione di gruppi e comunità religiose ed è impegnato nell’associazione Nuovi Orizzonti. Il suo ultimo libro è “Il Cristo degli uomini liberi” (La Meridiana, 2010)