L'”io” che si fa “noi”. Il “noi” che si fa storia di V.Gigante

Valerio Gigante
Adista Notizie n° 80/2011

La vicenda umana, ecclesiale e politica di Enzo Mazzi, spentosi a Firenze il 22 ottobre scorso, è indissolubilmente legata alla storia delle Comunità di Base e a quella di un quartiere della periferia sud-occidentale della città, l’Isolotto. Una identità collettiva, quella di Enzo, sempre rivendicata con orgoglio, contro ogni forma di personalismo o liderismo, ogni tentazione di autoreferenzialità o accentramento.

Una città nella città All’Isolotto Enzo, classe 1927, era arrivato come giovane parroco della chiesa di Santa Maria della Grazie alla fine del 1954, quando il nuovo quartiere, che sorge sulla riva sinistra dell’Arno, veniva inaugurato dal sindaco di Firenze Giorgio La Pira. L’Isolotto, nell’idea utopica del sindaco pacifista, doveva essere la prima “città satellite” nella storia d’Italia, un quartiere che, pur orbitando intorno alla metropoli, disponesse di servizi e strutture tali da renderla autonoma. Era il primo intervento di grande rilievo realizzato a Firenze nel dopoguerra e uno dei più importanti del Novecento, preso ad esempio anche da altre città in tutto il mondo.

Nei primi mille appartamenti consegnati da La Pira, si ritrovarono a vivere a pochi metri di distanza l’una dall’altra più di quattromila persone, provenienti da realtà diverse, dalle zone rurali o dal meridione, rifugiati dall’Istria o profughi di guerra, vissuti fino ad allora in situazioni sociali del tutto eterogenee di cultura contadina o provenienti dai centri storici, usciti da situazioni di estrema miseria o di coabitazione stabilita per legge. Parrocchia, territorio, fabbrica, mondo Lo smarrimento per la perdita della propria identità si univa, nella nuova popolazione dell’Isolotto, allo slancio verso il futuro di un Dopoguerra segnato dalla speranza della ricostruzione e del boom economico. Ma al momento della sua realizzazione concreta, l’Isolotto nacque come quartiere dormitorio al pari di tutti gli altri nati con i Piani casa locali realizzati nel Paese. Al quartiere mancavano infatti tutti i servizi essenziali: scuole, mezzi pubblici, luoghi di socialità, negozi, ambulatori.

Come scuole elementari, vennero quindi utilizzate, dal settembre del 1955, le “Baracche verdi”, locali in legno situati lungo il viale delle Mimose, che in un primo momento non disponevano dei servizi igienici, del riscaldamento né dell’acqua (le “Baracche”, dopo la costruzione della scuola in muratura, divennero poi sede della Comunità di Base). Furono anni di dure battaglie dei comitati di quartiere, che videro Enzo Mazzi sempre in prima linea. Si sviluppò in quel periodo una collaborazione stretta fra la parrocchia (guidata da don Enzo assieme ai viceparroci che si avvicendano al suo fianco: don Sergio Gomiti e di don Paolo Caciolli), la Casa del popolo e i comitati di quartiere, che si concretizzò nella solidarietà agli operai delle Officine Galileo che avevano occupato la fabbrica per protestare contro i licenziamenti, ai lavoratori del Nuovo Pignone, ai minatori dell’Amiata.

Il “caso Isolotto” Due anni dopo, la coesione raggiunta dal quartiere fu messa a dura prova da una caso che scosse la Chiesa fiorentina ed ebbe ripercussioni enormi nelle successive vicende ecclesiali del Paese. Il 14 settembre 1968, a Parma, un gruppo di giovani fece uno dei gesti più carichi di forza simbolica di quel periodo: occupò la cattedrale della città, chiedendo una Chiesa più povera e libera dall’autoritarismo e dalla collusione con il potere. La comunità ecclesiale dell’Isolotto espresse, in una lettera agli occupanti, la sua piena solidarietà. Il cardinale di Firenze, Ermenegildo Florit (lo stesso che aveva esiliato a Barbiana don Lorenzo Milani, che di Mazzi era stato compagno di seminario), chiese a don Enzo di ritirare quella lettera, ma di fronte non trovò solo il diniego di un parroco fiero delle proprie idee, ma quello di centinaia di fedeli.

Così, quando il 4 dicembre 1968 Florit rimosse don Mazzi da parroco, ci furono massicce manifestazioni di protesta, come quelle del 5 e dell’8 dicembre, con più di diecimila persone in piazza, e anche “sfide” plateali. La gente dell’Isolotto decise in massa di abbandonare il simulacro di cemento della parrocchia “requisita” da Florit e di continuare a celebrare il proprio essere comunità viva nella piazza antistante. Iniziarono così quelle celebrazioni in piazza dell’Isolotto che, domenica dopo domenica, testimoniavano in maniera dirompente il nascere di una Chiesa popolo di Dio in cammino nonostante il potere gerarchico tentasse di imporre la tradizionale visione del gregge obbediente ai proprio pastori.

Ma a celebrare non sono quasi mai Mazzi, Gomiti e Caciolli: oltre a tanti preti italiani, arrivano infatti all’Isolotto presbiteri da Spagna, Francia, Inghilterra, Olanda, Germania e anche da altri continenti (dall’America Latina al Vietnam, alle Filippine, agli Stati Uniti). Il ’68 cattolico (che cominciò l’anno prima, nel 1967, con l’occupazione della Cattolica di Milano) si può dire che arrivò alla sua piena maturazione lì, all’Isolotto, dove manifestò la sua profonda esigenza di verità e di autenticità, di porre al vaglio – collettivamente – ogni tratto, comportamento, parola, idea ricevuta dalla tradizione e dall’educazione cattolica.

Sulla piazza dell’Isolotto i credenti iniziarono a formare la propria coscienza critica ed a contestare la religione come potere, ricchezza, autoritarismo, passività. L’Isolotto, assieme alla Firenze di don Lorenzo Milani, p. Ernesto Balducci, don Bruno Borghi (prete operaio, compagno di seminario ed intimo amico di Enzo), p. David Maria Turoldo, Giovanni Vannucci, don Luigi Rosadoni, don Giulio Facibeni. Ma rispetto a queste figure, sul versante ecclesiale ancor più che su quello politico, la comunità dell’Isolotto andò oltre. «Ci chiamavamo comunità parrocchiale – scrive Mazzi nel libro collettivo Il mio ‘68 – e tentavamo in tutti i modi di esserlo, ma ogni volta sbattevamo contro l’evidenza: una vera comunità non può esistere finché al centro c’è uno che ha tutto il potere e non per volontà sua ma per “volontà di Cristo” e per una seconda natura, quella sacerdotale, di cui non potrà mai spogliarsi».

La rivoluzione sociale e culturale investì anche l’aspetto ecclesiale. Cominciò così il percorso delle Comunità Cristiane di Base, che tra la fine degli anni ’60 e l’inizio dei ’70 cominciarono a nascere in tutta Italia: nei grandi centri urbani, come Napoli, Palermo o Roma; e nelle realtà di provincia, come Olbia, Palma Campania, Mandolossa, Piossasco, Gioiosa Jonica. Nel frattempo l’allontanamento di Mazzi e, poco dopo, l’invio di un nuovo parroco, mons. Ernesto Alba, portò – su segnalazione della Curia – all’intervento della magistratura fiorentina, che incriminò 5 sacerdoti e 3 laici per “istigazione a delinquere e turbativa di funzione religiosa del culto cattolico”.

Mille abitanti dell’Isolotto si autodenunciarono come corresponsabili del reato. 438 di loro furono processati insieme agli 8 già incriminati; ma nel 1971 tutti furono pienamente assolti. Una comunità che cammina. E si rinnova La Comunità dell’Isolotto continuò a prendere posizioni “scomode” anche negli anni successivi, sulle questioni operaie e del lavoro salariato, sulla guerra, sul Concordato e i privilegi ecclesiastici, sulle questioni di genere e i diritti civili, sul divorzio e sull’aborto. Negli anni vennero avviate innumerevoli iniziative per la pace, l’integrazione, il dialogo interreligioso, la scuola popolare, una nuova catechesi. Un modo inedito di concepire l’educazione religiosa dei giovani era stato avviato nella parrocchia dell’Isolotto già dal 1954.

Poi, il 28 novembre 1968, era stato pubblicato dalla Libreria Editrice Fiorentina Incontro a Gesù, libro immediatamente condannato dalla Curia fiorentina. Nonostante tale ostracismo, il “catechismo dell’Isolotto” ebbe ugualmente grande risonanza dentro e fuori il mondo ecclesiale: tradotto in varie lingue, fu utilizzato in molte parrocchie italiane e straniere, e la Commissione che nel 1970 avviò un ampio progetto per rinnovare il vecchio Catechismo a domande e risposte di Pio X, riconobbe ufficialmente di essersi ispirata anche ai contenuti di Incontro a Gesù. L’incontro con il card. Piovanelli La frattura con la Curia restò. Fino al 1985.

Eletto vescovo di Firenze, il card. Silvano Piovanelli (che era stato compagno di seminario di don Mazzi e che nel 1968 aveva cercato di scongiurarne l’allontanamento) compie due scelte significative, che tentavano di chiudere il cerchio di una stagione di censure e ottuse incomprensioni da parte della Curia fiorentina nei confronti dei suoi membri più avanzati: Piovanelli si recò prima a Barbiana e poi, il 24 novembre, fece visita alle “Baracche verdi” per incontrare la Comunità dell’Isolotto. «Vi ringrazio perché ci siete», fu il significativo esordio del suo discorso. Nel 1988, Piovanelli tornò una seconda volta all’Isolotto. E il 4 giugno 1992, durante l’assemblea conclusiva del Sinodo diocesano, l’arcivescovo legge e commenta positivamente una lettera scritta dalla Comunità dell’Isolotto ai partecipanti, che la accolgono con un grande applauso.

In prima fila contro la guerra in Iraq nel 2003, nella battaglia a difesa dei diritti sindacali e dell’articolo 18, della libertà di coscienza al referendum sulla fecondazione assistita. Più volte, durante lo scandalo dei preti pedofili, sostenne la “pedofilia strutturale” di una Chiesa che non educa ad una sessualità pienamente vissuta, che reprime e mortifica i suoi seminaristi, che inculca una modalità di relazioni intrinsecamente pedofila, perché non matura né adulta, ma fondata sull’esercizio del potere e sul dominio delle coscienze. Nel 2006 a Enzo Mazzi e Sergio Gomiti viene conferito, con il parere contrario della Curia (allora guidata dal card. Antonelli), “Il Fiorino d’oro della città di Firenze”, riconoscimento concesso dal Comune a tutti coloro che hanno contribuito a dare lustro alla città o si siano distinti a livello internazionale per la loro opera.

Due anni dopo, Mazzi è tra quei preti (41) che firmano un appello a sostegno della battaglia condotta da Beppino Englaro per porre termine alla vita vegetativa della figlia Eluana. Quando il Tribunale civile di Milano autorizzò il padre ad interrompere l’alimentazione e l’idratazione forzata della figlia, sul Manifesto (11/7/2008), Mazzi parlò di un «annuncio di liberazione e di resurrezione»: «Beppino Englaro – scrisse – potrà dare di nuovo la vita a sua figlia, quasi generarla di nuovo. Sospendendo l’alimentazione forzata potrà compiere nei confronti della figlia il gesto generativo più forte. E sarà anche la scelta più densa di fede cristiana». Poi aggiunse: «Sarà come un secondo battesimo, non in senso ritualista, ma come immersione nella dimensione della resurrezione, cioè della vita che perennemente rinasce».

Ancora nel 2009, Enzo Mazzi fu al fianco di don Alessandro Santoro, rimosso dal suo incarico di cappellano della Comunità delle Piagge per aver celebrato il matrimonio, contro il parere della Curia, tra un ex transessuale diventato donna a tutti gli effetti anche per lo Stato italiano e il suo compagno di una vita. Sembrò profilarsi un nuovo “caso Isolotto”. Poi l’arcivescovo, mons. Giuseppe Betori, decise di allentare il conflitto, e reintegrò don Santoro nel suo incarico. Anche negli ultimi mesi, nonostante la malattia, Enzo ha continuato ad intervenire nel dibattito pubblico.

Lo ha fatto ad esempio sostenendo la manifestazione delle donne del 13 febbraio 2011, “Se non ora, quando?”: «Le donne che si riprendono le piazze – scrisse – si riprendono anche per se stesse e per tutti noi il potere sulla sacralità della natura, dei corpi, della sessualità e, mettendo un po’ di enfasi, sulla sacralità di tutto l’esistente». Poi era arrivata la proposta governativa di cancellare alcune festività civili. Tra queste, il 1.mo Maggio: «Una festa da sacrificare all’orgia del consumo», commentò Mazzi. E ancora, lo scorso 28 agosto, un articolo sulle colonne del manifesto: «Per la strategia liberista la gente deve scordare il suo passato sociale, e non avere altro ideale e identità che la religione del danaro».