Cattolici ancora soggetto politico? di M.Vigli

Marcello Vigli
Adista n. 92/2011

Fra gli effetti collaterali prodotti dalle dimissioni di Berlusconi c’è da ascrivere il riemergere della “questione cattolica”. Così, ai tempi della cosiddetta prima Repubblica, si definiva il groviglio di problemi posti dalla presenza in Italia della Santa Sede, di un diffuso e dinamico associazionismo cattolico, di una gerarchia intraprendente, che però riconosceva sufficiente autonomia alla Dc. “Cattolico” era, nel bene e nel male, una categoria politica.

Papa Woytjla pose fine a quel tempo sollecitando i vescovi italiani ad assumere direttamente la gestione della presenza cattolica nella politica. La Conferenza episcopale, con il nuovo concordato craxiano, divenne soggetto politico interlocutore delle Istituzioni per l’attuazione di quella «reciproca collaborazione per la promozione dell’uomo e il bene del Paese» fra «Repubblica e Santa Sede» prevista nell’articolo 1 degli Accordi di Palazzo Madama.

Oggi, con il fallimento del disegno tracciato nel Progetto culturale inventato dal cardinale Ruini di condividere con la destra berlusconiana il governo del Paese, cattolico è tornato ad essere, a pieno titolo, categoria politica.

Ne è segno evidente l’incontro dei rappresentanti dell’associazionismo meno compromesso con il Cavaliere, convocati a Todi dal cardinale Bagnasco nell’ambito dei tentativi di sganciarsi dal sostegno smaccato concesso in questi anni dalle gerarchie vaticane (e in gran parte anche dall’episcopato italiano) al governo Berlusconi. L’intento era di dar vita ad un nuovo «soggetto» che, superando la fase dell’interlocuzione diretta della Cei con il governo, potesse dall’interno di questo perseguire i disegni di quella.

Si torna al modello del secolo scorso: un soggetto rappresentativo del mondo cattolico formalmente autonomo dalla gerarchia. Senza favoleggiare di un ritorno alla Dc, è indubbio che il quadro è diverso dal precedente. Lo confermano sia l’esclusione dal governo di esponenti di Comunione e Liberazione o dell’Opus Dei, perché troppo compromessi, sia l’immediata risposta delle associazioni non sufficientemente organiche ai disegni della Cei, escluse dall’incontro di Todi.

I loro rappresentanti, che si riconoscono nella tradizione del cattolicesimo democratico, si sono dati convegno a Roma per un incontro di confronto e di progetto sotto il segno di tre parole, «Costituzione, Concilio, Cittadinanza», per rilanciare l’impegno di «ritornare alla politica», dando vita ad una Rete di collegamento come strumento operativo.

Pur con obiettivi diversi, gli uni e gli altri convengono però nel caratterizzarsi politicamente per la loro identità religiosa: sia con «l’ancoraggio alla Parola», sia in conformità con la Dottrina sociale della Chiesa. Non c’era da attendersi che i convocati di Todi resistessero alla tentazione di offrirsi come «generazione nuova di cattolici in politica».

Fa invece meraviglia che quelli riuniti a Roma non abbiano sentito l’esigenza di prendere atto che tale identificazione avalla quell’anomalia della Chiesa italiana che fa della sua gerarchia un soggetto politico – privo di ogni legittimazione democratica, per di più, oggi finanziariamente autosufficiente – in grado di condizionare le scelte dei cittadini cattolici e di ricattare forze politiche e istituzioni pubbliche.

Se avessero indirizzato in questo senso la «severa lettura del passato» e «l’autocritica rispetto alle fragilità e alle inadempienze dei successivi vent’anni», avrebbero potuto cogliere le analogie fra le esperienze di compromissioni della gerarchia con il fascismo, il craxismo e il berlusconismo. Forse avrebbero individuato, come prioritario, per il rilancio della democrazia nel nostro Paese, l’impegno a mettere fine a quell’anomalia che, per di più, condiziona la stessa vita della comunità ecclesiale.

Se l’esigenza di chiudere il contenzioso nato dall’ostilità del “papa re” alla nascita del Regno d’Italia offrì, infatti, qualche giustificazione al concordato fascista del 1929, la stipula degli Accordi del 1984 con il craxismo, premessa del berlusconismo, per la gerarchia vaticana, e non solo, ha rappresentato lo strumento per neutralizzare lo spirito conciliare che stava trasformando il gregge di fedeli in Popolo di Dio, consapevole della propria responsabilità all’interno della comunità ecclesiale.