Egitto, propositi per l’anno nuovo

Il 2011 è stato un anno fondamentale per la storia di un Paese che sembra a un bivio. Una lettera dal Cairo

Rania Alaa
www.peacereporter.net

Da un po’ di anni ho l’abitudine, a Dicembre, di elencare i principali “risultati” che ho ottenuto durante l’anno appena trascorso, e un certo numero di propositi per l’anno che viene. Il più delle volte mi sono ripromessa di ottenere un lavoro migliore, perdere qualche chilo, risparmiare per un anno sabbatico a lungo sognato, andare a visitare un certo paese o cose simili. Nulla di radicale, niente di serio. Giocavo facile, tenendomi alla larga dai guai!

Per dirla tutta, non ho mai sognato nulla per l’Egitto o per il popolo egiziano, in quanto costantemente afflitta da una sensazione di rabbia e frustrazione per le condizioni in cui versava il mio Paese. Mi sono sempre mantenuta sul personale, perché pensavo che prendendo le distanze dalla maggior parte della mia gente, non mi sarei più sentita “egiziana”! Pensavo che se ad esempio fossi nata in Svizzera, sarei stata più in armonia con me stessa e con i miei concittadini. La mia vita sarebbe stata migliore grazie ad un elemento chiave: il dominio della legge (e non del nepotismo o della corruzione!)…

Il 24 Gennaio scorso, un amico mi ha chiesto se avrei partecipato “all’iniziativa del 25 Gennaio” annunciata su Facebook. Nonostante seguissi con attenzione quanto accadeva in Tunisia, cosa non da me, dato che ero abituata a stare alla larga dalla politica per paura di “ulcere” o “ictus”, risposi: “L’Egitto non è la Tunisia” (ispirandomi ad una frase che il Dr. Amr Al Shobki aveva detto in televisione), ed anche: “No, non parteciperò ad una rivoluzione online, sono certa che domani in piazza ci saranno al più cinquecento persone”.

Ma le risposte date al mio amico non mi lasciavano dormire tranquilla. Sono stata sveglia tutta la notte chiedendomi: “Shobki e gli altri analisti potrebbero essersi sbagliati? Potremmo veramente dare vita ad una rivolta? Proprio noi egiziani, cittadini di una nazione agricola, che preferiscono vivere alla larga da qualsiasi rischio? Potremmo unirci tutti insieme, anche se divisi tra Fratellanza Islamica, fondamentalisti, una frammentata classe media, una moderna ed occidentalizzata classe medio alta, più del 50 percento di cittadini analfabeti e al di sotto della soglia di povertà, una élite a cui non interessa nulla del Paese e che pensa solamente ai propri interessi, e i Copti che si sentono minoranza (sebbene siano complessivamente tra i 5 e i 10 milioni di persone)? Questa formula potrà mai in qualche modo funzionare?”.

Il 25 Gennaio, vedendo per le strade tutte quelle persone che urlavano Al-Shaab Yoreed Esqat El Nizam (“il popolo pretende la fine del regime”), mi sono unita a loro e ho percepito qualcosa nell’aria, improvvisamente mi sono sentita legata ad una piazza che prima non significava nulla per me, e che ora era diventata specchio di ciò che avrei voluto essere. Ho provato vergogna al pensiero di non essermi mai sentita veramente egiziana, di non aver mai partecipato, prima di allora, alla vita pubblica del mio Paese. Ed ecco che proprio lì, in quel momento, ho espresso il mio nuovo proposito: “Non lascerò questa piazza fino a quando tutte le nostre richieste non verranno soddisfatte. Viva la Rivoluzione!”.

Non vi annoierò con tutti i dettagli di quanto sia accaduto in quella piazza, e in tutte le altre piazze d’Egitto; dove il secondo nome dei rivoltosi era patriottismo, eroismo e nobiltà (e non sono una che ama esagerare!). Non mi dilungherò raccontandovi tutte le volte in cui persone a me del tutto estranee mi hanno protetta dalle pietre o dagli aggressori; tutte le volte in cui mi è stato offerto da mangiare, da bere o anche solo un sorriso; tutte le volte in cui qualcuno ha gridato “Voi donne siete più coraggiose di molti uomini codardi!”. In quei momenti ho sentito un ineguagliabile senso di appartenenza al mio Paese, al Paese rappresentato da quella piazza.

Non descriverò i molti inconvenienti che da quel giorno in poi abbiamo dovuto affrontare: cammelli e cavalli che irrompevano in piazza (sì, avete letto bene, e non mi riferisco a fatti accaduti nel 2011 A.C.), teppisti che circolavano minacciando la gente nelle loro auto e nelle loro case, evasioni di massa, poliziotti che, versando lacrime di coccodrillo, recitavano la parte di chi dice: “Mi vergogno di quel che faccio e per cui voi mi odiate!”, e che poi facevano opportunisticamente leva sulle divisioni settarie dei manifestanti, la stampa di regime che bollava i rivoltosi come “mercenari” pagati in Euro e come depravati che fornicavano in piazza, un caos senza precedenti, voci di presunti sostegni dall’estero alla rivoluzione! Tutto il contrario della verità!

Ma nei mesi successivi ho capito che, nonostante fossimo riusciti ad unirci, a dimenticare le nostre marcate differenze per diciotto indimenticabili giorni (fino a quell’11 Febbraio in cui Mubarak ha lasciato il potere) e a diventare forti nonostante le molte difficoltà, per qualche strana ragione (ossia per ragioni politiche e brama di potere), eravamo di nuovo divisi!!! A partire dall’11 Febbraio, i poteri politici che avevano “sostenuto” la rivoluzione, hanno iniziato a ripulire la piazza al grido di “andremo alle elezioni!”.

Ma quali elezioni? Uno scontro testa a testa per la conquista di quei seggi parlamentari, simbolo di corruzione, da cui il Paese ha tentato di affrancarsi sacrificando vite umane durante i mesi di Gennaio e Febbraio? Una campagna elettorale basata su attacchi personali per gettar fango sull’avversario di turno e una accanita contrapposizione che lasci il Paese nella confusione e nelle mani del Consiglio Supremo delle Forze Armate? E come se non bastasse, per legittimare il proprio potere, il Consiglio Supremo ha anche indetto un referendum! Questo è stato il colpo di grazia alla nostra coesione!

Questa divisione è emersa in modo evidente durante il Massacro di Maspero (come lo hanno chiamato i rivoluzionari). Invece che contrastare unitamente quei membri del Consiglio Supremo che hanno ordinato di massacrare i manifestanti schiacciandoli con i blindati, opinioni contrastanti hanno iniziato a circolare tra la folla: “Perché sono al vertice?”, “I copti sono sempre stati degli attacca brighe”, “forze esterne cercano di ostacolare le elezioni” (n.b. ancora una volta l’allusione a presunte influenze straniere e l’ossessione delle elezioni). Così non è successo nulla. Migliaia di manifestanti furiosi restarono tali e i “poteri politici” condannarono l’uso della forza! (di nuovo una pubblica “condanna”, una parola che richiama alla memoria la presunta “opposizione” degli anni di Mubarak!).

Il 19 Novembre, quasi alla fine dell’anno, con la provocazione di un gruppo di persone che protestavano in un angolo della piazza senza bloccare le strade, semplicemente esprimendo il loro diritto di protestare, è iniziata un’altra ondata rivoluzionaria. Vite umane vengono sacrificate ogni giorno, senza poter prevedere come e quando questa nuova protesta potrà finire!

Il mio istinto mi spinge a gridare, alcune nostre richieste DEVONO essere soddisfatte affinché le elezioni siano autentica espressione di democrazia:

Il Consiglio Supremo delle Forze Armate ed il ministero degli Interni devono rendere conto, attraverso processi rapidi e trasparenti, delle morti causate dal 25 Gennaio scorso ad oggi.
I media devono essere riformati (ed onestamente “igienizzati” per impedire che diffondano “germi” nell’etere) prima di offrire un’onesta copertura mediatica alla futura campagna elettorale senza interferire in essa.

La legge per “l’esclusione” deve entrare in vigore e coloro che si sono resi partecipi di casi di corruzione prima della rivoluzione, devono essere allontanati dal Parlamento per cinque anni!
Civili e attivisti devono essere immediatamente rilasciati dalle prigioni militari e nessun civile deve più essere processato da una corte militare. I processi contro i membri del passato regime devono essere celebrati efficacemente, rapidamente e con capi d’accusa “pertinenti” (ad esempio Adly dovrebbe essere processato per aver ordinato di uccidere i manifestanti, e non per appropriazione indebita di denaro “per il nostro stesso bene”).

Si deve costituire un consiglio di persone che, con il consenso e la fiducia della maggioranza, governi per i prossimi sei (al più dodici) mesi, portando il Paese fuori da questo pasticcio economico e da questo stato di confusione politica! Una sorta di governo rivoluzionario… completamente civile.

Così ho deciso che il mio proposito per il 2012 sarà lo stesso che ho formulato a Gennaio di quest’anno: “Non lascerò questa piazza fino a quando tutte le nostre richieste non verranno soddisfatte”.