Prove “tecniche” di laicità? di M.Vigli

Marcello Vigli *
Adista Notizie n°5/2012

La recente visita di Monti in Vaticano offre l’occasione per alcune riflessioni. La più immediata: da parte di Monti, accompagnato dalla moglie senza velo, nessun inchino né baciamano, solo una sobria stretta di mano con il papa.

Non lo hanno imitato i suoi accompagnatori – Terzi di Santagata ha aggiunto un inchino alla stretta di mano e Moavero si è piegato al bacio dell’anello – ma non si può ignorare che la loro presenza nel loro ruolo ufficiale di ministro degli affari esteri ed europei, e in assenza nella delegazione dei due ministri “cattolici” Ornaghi e Riccardi, ha sottolineato il carattere puramente protocollare di una visita. Forse è eccessivo considerarla un sussulto di laicità istituzionale, ma può essere inteso come segno di un ritorno alla normalità dei rapporti Stato-Chiesa ridotti a suo avviso – lo ha detto Monti pochi giorni dopo in una intervista all’Osservatore Romano e alla Radio Vaticana – ad «un ponte, un varco che abbatte i muri degli egoismi nazionali e rinsalda il senso di un’appartenenza che significa rispetto, responsabilità, solidarietà».

Rompe quel clima di ambigua connivenza dell’era berlusconiana: in un momento in cui si sta discutendo del trattamento fiscale da riservare ai beni ecclesiastici, Monti a differenza di suoi predecessori sembra ben intenzionato a difendere gli interessi dello Stato.

Si può, poi, riflettere sulla duttilità politica della Santa Sede. Il riconoscimento e l’incoraggiamento riservati a Monti, dopo anni di compiacente consonanza con Berlusconi e il berlusconismo, confermano la più assoluta discrezionalità morale della gerarchia nelle sue scelte politiche, anche quando si proclamano ispirate ai valori non rinunciabili. O meglio appare evidente che fra quei valori non sono compresi quelli più pertinenti: la buona amministrazione della cosa pubblica, l’uso della politica per promuovere giustizia, la pratica senza eccezioni della leglità. Ci sono, invece, comportamenti della sfera della sessualità o dei rapporti familiari proposti come morali perché naturali.

È pur vero che Monti ha solo dichiarato la volontà di ispirarsi ai primi e non ha avuto occasione di misurasi con gli altri, ma è certo che Berlusconi non ha mai assunto i primi come criterio per le sue scelte, mentre si è sempre dichiarato rispettoso anzi convinto paladino degli altri. Non aveva poi importanza che li smentisse nella condotta sua e dei suoi amici, era sufficiente che si schierasse contro le coppie di fatto, la procreazione assistita, ogni forma di autodeterminazione nel fine vita per avere la piena approvazione della gerarchia.

Un’ultima riflessione è suggerita dall’importanza, che nell’intervista acquista la risposta a una domanda dell’Osservatore sull’influenza che «la secolarizzazione e l’indebolimento delle “radici cristiane” dell’Europa» avrebbero sulle difficoltà dell’Occidente: «Nessuna parola cade nel vuoto. Nessuna parola può non essere ascoltata. Ma la giustizia e la pace sono la risposta più efficace alla perdita di senso che la crisi economica ha, in modo latente, provocato nella quotidianità delle persone».

Tornano alla memoria il tempo perso e le energie spese nella discussione sulle radici cristiane dell’Europa durante la fase costituente delle strutture istituzionali dell’Unione. Si sono create tensioni e divisioni su un conflitto ideologico/confessionale proprio mentre era necessario impegnarsi per la creazione di un’Europa che non fosse lasciata all’arbitrio del mercato.

Certo, non spetta al papa proporre soluzioni politiche o legittimare governi, ma proprio per questa sua incompetenza non dovrebbe porsi come soggetto politico interlocutore dei potenti; solo così può essere realmente promotore di giustizia e pace, forte del carisma e dell’autorevolezza che gli derivano dall’essere capo spirituale di una comunità di oltre un miliardo di fedeli distribuiti su tutti i continenti.

* del Gruppo di Controinformazione Ecclesiale di Roma