Il Vaticano e la resa dei conti

Marco Politi
Il Fatto Quotidiano, 29 febbraio 2012

Ha il sapore di un fine-regime la lotta di potere scatenatasi all’interno del Vaticano. Perché scontri e bracci di ferro sotterranei sono sempre avvenuti nel Palazzo apostolico. Ma l’asprezza degli attacchi rivolti al segretario di Stato, in un crescendo che pare inarrestabile, rivela che all’interno della Curia ci sono gruppi e persone che – con il pontefice ormai in età avanzata e l’evidente mancanza di direzione della barca di Pietro – ritengono necessario arrivare a un nuovo assetto ai vertici della Santa Sede. La novità assoluta è che non si procede, come in altre stagioni, per insinuazioni o messaggi tenuti rigorosamente segreti. Di fronte alla stagnazione, in cui si sta arenando il pontificato ratzingeriano, ci sono forze che hanno deciso di portare tutto alla luce del sole, di svolgere questa battaglia sul palcoscenico dei mass media, di rendere chiara anche la posta in gioco: una svolta nell’amministrazione delle finanze, nei rapporti tra Vaticano e Chiesa italiana, nelle relazioni tra il segretario di Stato e i cardinali. Non ci sono (più) “corvi” in questa storia. Ci sono combattenti clandestini.

Il carteggio Bertone-Tettamanzi pone sotto la luce dei riflettori i punti più vulnerabili del governo bertoniano. Primo, un assolutismo che i suoi avversari denunciano come centralismo senza autentica managerialità: poiché procede per scatti di improvvisazione e crea opposizione laddove dovrebbe lavorare per la massima coesione dell’apparato su linee strategiche condivise. Secondo, la tendenza a scavalcare sistematicamente i confini del proprio ambito. Il segretario di Stato ha in cura la strategia della Chiesa universale. Invece, sottolineano i suoi oppositori, lo si è visto occuparsi di un fantomatico polo ospedaliero ecclesiastico italiano (caso San Raffaele). E ancora, l’Istituto Toniolo riguarda la Chiesa italiana, idem l’Università Cattolica. Non erano certo in ballo questioni dottrinali di massimo rilievo, tali da provocare un intervento del Papa. Assistere a un segretario di Stato, che pone e dispone a suo arbitrio, per puri disegni di potere è diventato allarmante in certi ambienti ecclesiastici e – per alcuni – talmente intollerabile da avere voluto informare l’opinione pubblica della sconfitta subita da Bertone dopo l’appello diretto del cardinale Tettamanzi al pontefice, come risulta dalle lettere pubblicate ieri dal Fatto.

D’altronde al momento del cambio della guardia alla presidenza della Cei tra Ruini e Bagnasco il cardinale Bertone si è arrogato per lettera l’alto comando delle relazioni con la politica italiana, scavalcando la dirigenza della conferenza episcopale. Ma viene il momento in cui qualcuno e più d’uno presenta il conto. Già nel 2009, all’indomani del disastroso caso Williamson (il vescovo lefebvriano negazionista cui venne tolta la scomunica) e dell’altrettanto penoso caso Wagner (un prete reazionario austriaco nominato vescovo e poi costretto a rinunciare in seguito alla protesta dei cattolici e dell’episcopato d’Austria) alcuni porporati di rilievo avevano posto a Benedetto XVI la questione di un avvicendamento di Bertone. Quando in aprile, nella residenza di Castelgandolfo, i cardinali Scola, Schoenborn di Vienna, Bagnasco e Ruini interpellarono il pontefice, la risposta lapidaria fu, in tedesco: “Der Mann bleibt wo er ist, und basta”. L’uomo resta dove sta, e basta! Pochi mesi dopo Benedetto XVI fece pubblicare sull’Osservatore Romano uno sperticato elogio per il “grande impegno e la perizia” dimostrati dal segretario di Stato. Ora il vento è cambiato. Il suo braccio destro, ricordano quotidianamente i suoi silenziosi, ma attivi antagonisti, ha commesso in pochi mesi due errori capitali su un terreno, che papa Ratzinger considera sensibilissimo per il prestigio internazionale della Santa Sede. Bertone ha cacciato Viganò dopo che questi aveva denunciato storie di corruzione riguardanti appalti in Vaticano. Bertone ha frenato la strategia di trasparenza finanziaria della banca vaticana perseguita dal cardinale Nicora e dal direttore dello Ior Gotti Tedeschi. Due autogol micidiali per la Santa Sede.

Sono errori che avvelenano l’atmosfera. La cosa più pericolosa per il segretario di Stato è che i favorevoli a un suo avvicendamento si trovano sia nel campo conservatore sia in quello riformista. Anche tra i ratzingeriani di ferro. Si avverte il senso di un silenzioso accerchiamento. Mentre qualche monsignore già si avvicina al “candidato-segretario” cardinale Piacenza. Anche perché la guerra dei documenti non è destinata a finire. In un cassetto c’è un messaggio di Bertone al premier Monti – nelle ore frenetiche della formazione del governo a dicembre – per raccomandare a un posto di sottosegretario il suo pupillo Marco Simeon, già paracadutato come direttore di Rai Vaticano e responsabile delle relazioni istituzionali e internazionali. Un Segretario di Stato vaticano, che chiede un posto di sottosegretario per un suo protetto al presidente del Consiglio italiano? Che c’azzecca, direbbe Di Pietro.

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GUERRE VATICANE TUTTA LA RABBIA DI BERTONE

Luca De Carolis, il Fatto Quotidiano 01.03.2012

Sul volto e nei gesti, i segni della tensione. Nelle parole, la curiale eppure chiara risposta a settimane di rivelazioni e scricchiolii: “Questi sono i documenti da vedere e presentare, che mostrano la verità storica”. I documenti sono quelli dell’Archivio segreto vaticano, e a parlare è il segretario di Stato del Vaticano, Tarcisio Bertone. Ieri mattina il cardinale ha incontrato la stampa, per la prima volta dopo l’esplodere del caso Vatileaks: i documenti riservati della Santa Sede, pubblicati dal Fatto, che raccontano di lotte di potere e veleni infiniti nella Curia che governa la Chiesa. Bertone ha concesso poche battute, a margine della sua visita privata (e blindatissima) alla mostra nei Musei Capitolini sui documenti dell’Archivio segreto vaticano.
Un appuntamento dal grande interesse storico, che però suona come una beffa della sorte sulla Santa Sede: nella bufera per i tanti, troppi segreti che non ha saputo trattenere Oltretevere. Al centro della tempesta c’è proprio Bertone, segretario di Stato e principale collaboratore di Papa Benedetto XVI.

Rumorose voci, dentro e fuori il Vaticano, lo danno in bilico. E ieri il segretario di Stato ha indirettamente risposto. Bertone arriva in Campidoglio assieme a una folta delegazione, di cui fa parte anche il cardinale Gian-franco Ravasi. Ad attenderlo, il sindaco Alemanno, il ministro per i Beni culturali Lorenzo Ornaghi e Gianni Letta. Accesso vietato ai tanti giornalisti. Bertone è protetto da parecchi agenti e gendarmi vaticani. Ha l’espressione tirata, qualcuno nota i suoi movimenti poco fluidi, forse nervosi. Il cardinale entra nei musei, e può guardare da vicino le carte del processo a Galileo e i documenti che provano il sostegno di Papa Pio XII ai prigionieri di guerra, durante la Seconda guerra mondiale. All’uscita, il cordone di sicurezza prova a tenere lontani taccuini e telecamere. Ma è proprio Bertone ad avvicinarsi ai giornalisti, per dire: “Questi sono i documenti da vedere e presentare, quelli mostrano la verità storica”. Bertone spiega poi di essere rimasto particolarmente colpito dalla documentazione su Pio XII. Ma tutti i cronisti pensano a Vatileaks. E arriva la domanda: i documenti della mostra, veri, vanno contrapposti ad altri che si presumono falsi? Bertone sorride, fa un gesto con la mano. Ma non si sbilancia: “Voi lo sapete, voi siete bene informati”. Di più non può e non vuole dire.

Il cardinale torna in Vaticano, lasciandosi dietro interrogativi e previsioni. C’è chi parla di una prossima rimozione del segretario di Stato, e chi rinvia la sua sostituzione al prossimo dicembre, quando Bertone compirà 78 anni. La stessa età in cui lasciò il suo predecessore, il cardinale Angelo Sodano. Ipotesi, a fronte della certezza di un Vaticano in costante ebollizione.
Troppo rumorosi, quei documenti che parlano di scontri al calor bianco ai vertici della Chiesa.

Troppo forte, l’impatto del carteggio tra Bertone e il cardinale Dionigi Tettamanzi, pubblicato due giorni fa dal Fatto.

Nel marzo 2011, il segretario di Stato scrive all’allora arcivescovo di Milano Tettamanzi, e lo invita a lasciare la presidenza dell’Istituto Toniolo. Per giunta, precisando di parlare a nome del Papa: “Il Santo Padre intende procedere a un rinnovamento, in connessione col quale Vostra Eminenza è sollevata da questo oneroso incarico. Adempiendo pertanto a tale Superiore intenzione, sono a chiederle di fissare l’adunanza del Comitato Permanente entro il giorno 10 del prossimo mese di aprile”. Bertone indica anche il sostituto, l’ex ministro alla Giustizia Giovanni Maria Flick. Ma Tettamanzi non cede, e scrive al Pontefice, chiedendogli di annullare la decisione.

Annullamento che, nei fatti, arriva, sconfessando un documento del segretario di Stato. Basterebbe questo, per capire che aria tira in Vaticano. Eppure c’è tanto altro. Pesa il complotto per uccidere il Papa, paventato in un documento che dalle pagine del Fatto è rimbalzato in mezzo mondo. E pesano le lettere dell’ex segretario del Governatorato, il nunzio apostolico negli Usa Carlo Maria Viganò.

Missive che denunciavano al Papa e a Bertone episodi di corruzione. Lo stesso Viganò, in un’altra lettera al Papa del marzo 2011, chiedeva di non essere nominato nunzio apostolico, “perché un mio trasferimento provocherebbe smarrimento e scoramento in quanti hanno creduto fosse possibile risanare tante situazioni di corruzione”. Storie complicate, dolorose. Ieri il Corriere della Sera raccontava che a qualcuno, Oltretevere, era venuta la tentazione di rispondere al flusso di notizie riservate con una protesta ufficiale nei confronti dello Stato italiano. Idea che sarebbe stata respinta, per motivi di opportunità politica.