E’ opportuno fare memoria del Concilio Vaticano II?

Memo Sales
Comunità cristiana di base di Pinerolo

 

In questi mesi sono stati organizzati da alcune realtà ecclesiali, in particolare di base, i primi momenti di incontro per ricordare l’apertura del Concilio Vaticano II, avvenuta 50 anni fa. Seguendo queste iniziative, ho cercato di ricordare cosa era per me quel lontano 1962. E soprattutto mi sono interrogato sull’opportunità di un ricordo che mi lascia molto dubbioso.

Ero allora un giovane di 19 anni, come forse alcuni e alcune di voi, animato da entusiasmi e speranze, combattuto tra interrogativi di fede e non solo.

Kennedy aveva lanciato il suo messaggio e stava portando avanti la sua politica, Martin Luther King combatteva una battaglia a favore dei neri che dava speranza di riuscita e a Roma il papa indiceva un Concilio per portare la Chiesa a dialogare con il mondo. Si stava uscendo dalla guerra fredda ed il disgelo tra Est ed Ovest sembrava cosa fatta. La crisi dei missili a Cuba era stata risolta e si era allontanato il rischio di una nuova guerra devastante.

Vi erano state aperture in Vaticano: l’introduzione delle lingue “del popolo” nella liturgia e un piccolo spazio ai laici durante la messa… La politica sembrava incamminata verso un nuovo modo di essere e si intravvedeva quello che sarebbe diventato il ’68. Percepivo, con l‘entusiasmo dei miei anni giovanili, come un mondo nuovo fosse dietro l’angolo e come il Concilio ci avrebbe parlato finalmente di un nuovo modo di annunciare il Vangelo e di una liberazione totale….

Si apre il Concilio…. Le notizie che filtrano sono poche, i lavori vanno avanti e fin da subito si intravvedono le difficoltà e le divergenze all’interno. Muore Giovanni XXIII e Paolo VI lo porta a conclusione. Ma che cosa emerge dai documenti conciliari? Effettivamente il Concilio ha prodotto novità. In alcuni documenti, anche se scritti in un linguaggio arcaico e curiale, vi sono dichiarazioni ed aperture importanti.

Ma già alla fine del Concilio si capisce che anche queste poche, anche se belle novità, vengono a poco a poco disattese. Si è aperta una finestra, ma poi si è subito chiusa, anzi sprangata. Giovanni Paolo II torna a rimarcare il centralismo curiale, l’impossibilità di dialogo all’interno della chiesa: è il magistero, solo il magistero a determinare la prassi di ogni singolo credente.

Di ricerca teologica diversa dalle accademie pontificie non se ne parla, la collegialità dei vescovi è lentamente annullata e… si è tornati “al prima”, se non peggio di prima. E in questi ultimi anni qual è il comportamento di una gerarchia chiusa nei sacri palazzi? L’intervento, in particolare verso l’Italia, è pesante: vuole condizionare e a dirigere la vita civile e le scelte politiche dei vari governi e del parlamento.

A tutt’oggi credo che nella chiesa gerarchica vi siano presenti elementi “non negoziabili”, su cui non è possibile per nulla confrontarsi: potere sacro del sacerdozio inclusivo, dialogo intraecclesiale, ruolo della donna, morale sessuale ed economica, liturgia, interpretazione delle Scritture, politica, privilegi concordatari, coppie di fatto…

Anche nella parrocchia più aperta, almeno per quanto è a mia conoscenza, il ruolo del prete o del parroco è comunque intangibile: potrà essere più “democratico”, ma la sacralità del sacerdozio nessuno la mette in dubbio (e quindi il legame e la dipendenza con e dal vescovo ecc…).

Vi è comunque uno spazio condiviso e condivisibile con le parrocchie e i movimenti: la scelta per i poveri. La testimonianza e l’impegno delle Caritas nelle parrocchie, dei gruppi spontanei nell’accoglienza degli ultimi, dei migranti e il ruolo di Libera per la legalità contro le mafie, per citarne alcuni, sono momenti ove iniziare un dialogo ed una collaborazione, oltre ai movimenti di dissenso all’interno della chiesa stessa.

Mi pongo allora una domanda. Quale ricordo o commemorazione fare di questo Concilio? Per dirla tutta “che cosa si è portato a casa”? Credo ben poco… per non dire, purtroppo, nulla.

Certo sono importanti, necessari, i movimenti di base, che hanno il compito di sensibilizzare la comunità ecclesiale, nella direzione di una rinnovata fedeltà evangelica. Credo che si debba constatare che i tempi saranno ancora lunghi. La chiesa di Roma sa aspettare e sa che i”fermenti” quasi sempre rientrano ed essa può continuare a cambiare qualche cosa per non cambiare nulla.

Occorre lavorare ed impegnarci tutti e tutte per costruire “cieli nuove e terre nuove” in una solidarietà bella e gioiosa. Non possiamo illuderci che bastano gli interventi di “Famiglia Cristiana” o di qualche vescovo fuori dal coro…

Credo tuttavia che non sia così utile impegnare troppe energie a ricordare un avvenimento importante forse solo dal punto di vista storico, ma che alla fine, guardando all’oggi, non ha prodotto cambiamenti significativi in una chiesa sempre e comunque dominata da una gerarchia maschilista e patriarcale.

Guardiamo oltre… con una fiducia nuova e rinnovata nelle promesse evangeliche.