Dio dentro la storia

Gilberto Squizzato
Comunità cristiana di base di Busto Arsizio

“Guai all’uomo che confida nell’uomo” ammonisce la sapienza biblica per bocca del profeta Geremia, al capito 17 delle sue Lamentazioni. E non abbiamo forse anche noi, credenti riuniti nelle comunità di base, molto, anzi troppo da lamentarci per i brutali e troppo frequenti tradimenti della Storia nella quale pure avevamo confidato per una lunga stagione – convinti che il Dio dell’Esodo operante nella Storia non avrebbe tradito le speranze degli oppressi e dei giusti- ricevendone in cambio delusioni e frustrazioni che non riusciamo più a tollerare? Mi torna spesso in mente una recente intervista di Giovanni Franzoni, che confessa la sua amarezza per il sogno del comunismo così miserabilmente caduto, per le delusioni da quel popolo che avevamo visto vincere in Vietnam e in Nicaragua, per lo sconforto derivante dal dover prender atto della fragilità delle nostre speranze che ci facevano credere alla vigilia di un generale sommovimento dei rapporti di forza planetari in favore di un nuovo modello di civiltà.

E invece sono venuti il berlusconismo e il leghismo, il trionfo dei corrotti e dei corruttori, lo sbandamento della sinistra che non sa più che cosa vuole, una globalizzazione feroce che rende sovrane merci e finanza e umilia e asservisce l’uomo, nuove forme di dominio militare su interi popoli oppressi da regimi di polizia … Tutti a casa dunque? Oppure tutti in comunità a piangerci addosso, consolandoci con le opere di carità e con le eucarestie senza preti presiedute dal popolo? Fratelli, ma qui è in gioco la sostanza del nostro credere! Se non possiamo credere nell’uomo, se ci è preclusa l’illusione di credere ormai dietro l’angolo la palingenesi millenaristica che ci aveva esaltati all’inizio della nostra storia, che cosa ci resta? Non è in discussione il pilastro basilare della rivoluzione teologica del nostro movimento? Non va alla malora quella teologia della liberazione che ha alimentato a lungo il nostro fiducioso impegno nella storia?

Perché, vedete, la crisi è profonda e ci chiama in questo inizio di millennio ad una nuova conversione. Abbiamo confidato nell’uomo (nei popoli, nella classe, negli oppressi impegnati nella lotta di liberazione) e siamo rimasti delusi (adesso anche Castro soggiace al fascino del pontificato romano e chiede a Benedetto XVI di mandargli dei libri per spiegargli meglio qual è il mestiere del papa…). Ma noi confidavamo nel Dio operante nella Storia, nel Dio di Mosè e di Aronne, nel Dio che non abbandona nella servitù d’Egitto il suo popolo e non lo lascia morire nel deserto del Sinai! Non siamo forse noi che avevamo riscoperto il filone biblico profetico nascosto, per così dire, nel marxismo? Non è per questo che siamo fraternamente accompagnati a movimenti, partiti, organizzazioni della sinistra impegnati ad accelerare il sorgere del “bel sole dell’avvenire”? Ma se ci ha tradito e deluso la Storia, non ci ha ancor più traditi e delusi il Dio che credevamo operare dentro la Storia? Non è ora di fare i conti con la sua distrazione, o con la sua assenza?

O forse abbiamo frainteso il senso della Sua presenza nella Storia? Credo di sì, se ci siamo cullati nell’illusione della vittoria imminente della giustizia, delle istanze di pace e di libertà, se abbiamo creduto vicina a compiersi la fraternità universale della preghiera di Gesù che ci ha insegnato a chiamarlo Padre “nostro” e non “mio”. Fratelli, abbiamo preso un terribile abbaglio! Abbiamo fatto sicuramente bene a diventare compagni di strada degli uomini nostri fratelli laicamente impegnati a rovesciare l’assetto ingiusto del mondo, a investire le nostre energie nella politica, nel sindacato, nel volontariato sociale per creare nuove relazioni fra gli uomini e le donne del nostro tempo: ma l’abbiamo fatto dimenticandoci proprio del nostro Signore, al quale abbiamo guardato come a colui che stava per inaugurare (millenaristicamente, apocalitticamente) il Mondo Nuovo. Perché invece…

Perché invece il nostro Dio (ma che vuol dire per noi questa parola?) sta sì dentro la Storia, ma come Colui che perde! Non ha forse perso Gesù di Nazareth!? E i suoi discepoli non hanno tutti perso la vita senza aver visto il compimento della Storia?! Siamo stati un po’ troppo hegeliani e storicisti, è tempo che togliamo la maiuscola a quella storia che ci ha tradito e deluso, e continuerà a deluderci: per stare di nuovo, e sempre, dentro la storia, in mezzo agli uomini, ma con lo Spirito di Cristo.

Perché il Paraclito non è il “consolatore”, come troppe volte abbiamo creduto, ma l’Avvocato, colui che ci dà parole e gesti per testimoniare la verità davanti al tribunale della storia (e anche della miserabile cronaca di tutti i giorni), senza bisogno di illuderci che essa trovi compimento e realizzi la giustizia – sempre- sotto i nostri occhi. Se i nostri fratelli Ebrei hanno creduto di essere predestinati alla vittoria contro i Filistei (e oggi contro i Palestinesi: la parola è la stessa!) subendo la spaventosa smentita della Shoah che ha dimostrato l’impotenza di Jahve a salvare i giusti (o anche solo gli innocenti), con l’ebreo Gesù di Nazareth siamo avvertiti: qui non si vince, Gesù non è signore di questo mondo, i poveri li avrete sempre con voi, e così via.

Ma allora aveva ragione Nietzsche a dire che il cristianesimo è la religione degli sconfitti, e perciò degli schiavi? No, perché sconfitti non vuol dire schiavi. Schiavo è colui che accetta di essere servo. Noi invece siamo chiamati alla libertà dei figli di Dio, di quel Dio che è si presente nella storia ma non riesce (non può, se no sarebbe in criminale!) a salvare Gesù dalla croce e che tuttavia sta in ogni istante dentro la storia con il suo spirito di libertà, che è spirito critico permanente, per denunciare il male, l’ingiustizia, la sopraffazione, e gridare “Io non accetto, io voglio un mondo diverso e nuovo”. Il nostro Dio è sempre all’opera per generare – nella sua debolezza e non onnipotenza – una nuova creazione, per bonificare (cioè rendere più buona) la prima creazione. Il nuovo patto che ci propone di stipulare ogni giorno con lui è proprio questo: accettare di stargli accanto, anche nelle frequenti sconfitte e delusioni, per consentirgli di lavorare a un mondo nuovo, fraterno e giusto, che comincia – questo è decisivo – fin da ora.

Ora capisco la potenza profetica di Franzoni quando dice, in quell’intervista, che il Regno sta nell’abbraccio di Francesco al lebbroso. Non è la rassegnazione di chi pensa che sconfitti dalla storia ci dobbiamo consolare con le opere della carità! In quell’abbraccio con il lebbroso (con gli emarginati, gli operai licenziati, i giovani senza speranza, i deboli massacrati dallo spietato dominio della finanza planetaria) GIÀ si manifesta il mondo nuovo della Promessa di Gesù, perché il “mondo nuovo” non è lo stato finale di un paradiso immaginario (il socialismo realizzato, il bel sole dell’avvenire, la rivoluzione compiuta, ecc.) ma è un cammino senza fine, è una sovversione “istante per istante” di questo ingiusto stato di cose, è la fraternità che si materializza adesso nella condivisione del pane, del vino, della festa e della salute, ma anche del dolore e della disperazione, dalla sofferenza e dell’ingiustizia.

Ecco allora che possiamo tornare a porci la domanda decisiva sul nostro Dio. Che cosa intendiamo con questa parola così usata, abusata, equivocata, violentata, fraintesa, strumentalizzata… I cristiani dimenticano che Dio non è un nome proprio, ma è un nome generico, derivante dalla stessa radice sanscrita “div” da cui, nella lingua latina, è sgorgata la parola “dies”, che primariamente non è il giorno ma la Luce. Come comincia il racconto della Creazione? Comincia, secondo la Scrittura, proprio con Dio che separa la luce dalla tenebra.

Una metafora per dire che Dio è la luce che separa l’essere da ciò che non è, che consente al mondo di apparire e di conoscere se stesso attraverso la coscienza-conoscenza dell’uomo. Un’immagine per dire che essere in Dio significa essere nella luce, saper giudicare e distinguere. Già nell’Eden il diavolo tenta l’uomo perché se addenterà il frutto dell’albero della conoscenza sarà come Dio perché saprà distinguere il bene e il male, la vita e la morte: motivo per il quale oso dire – paradossalmente – che nel racconto biblico il tentatore è l’altro volto di Dio che non riesce a negare all’uomo, creatura suprema, la condivisione della sua natura, facendolo partecipare del dono della conoscenza e dunque del giudizio).

Il nostro Dio può avere tanti nomi: quello di Jahve che non abbandona il suo popolo, quello quella di Allah il grande, quello della grande Oscurità in cui si rivela ai mistici, ecc. Per noi compagni di Gesù è il Dio Padre buono, e come le femministe ci hanno aiutato a riscoprire la Madre buona che ci fa partecipi della vita e ci sostenta con la sua vicinanza. Questa presenza che è per noi Padre/Madre è anche la Luce che ci fa riconoscere la distinzione fra fratellanza e separazione, fra comunione e solitudine, e che prende partito per la fratellanza e per la comunione; e il Dio che con Gesù ci mostra che cosa significa giudicare il mondo e non arrendersi all’evidenza del male e della sopraffazione, a lavorare per il Regno in cui nessuno avrà fame, nessuno sarà abbandonato alla malattia, alla prigione, alla solitudine, alla morte.

Ecco perché l’abbraccio al lebbroso di Francesco ci mostra come si manifesta (già qui e ora) il Regno di Dio. In quell’abbraccio Dio è la Luce che rivela la differenza fra la vita e la morte, fra solitudine e comunione, e prende partito per la vita e la comunione. Non è un segno di un’anticipazione di qualcosa che verrà, ma la sua inaugurazione. Dal momento di questo abbraccio il mondo non sarà più come prima, l’amore si prepara a dare i suoi frutti nel tempo e viva già da subito una radicale riconversione. La Creazione è nuova – e salva – proprio per la possibilità di quell’abbraccio, che non è patrimonio esclusivo degli uomini religiosi ma è di tutti coloro che amano.

Coraggio, fratelli e compagni. Se siamo stanchi e delusi, se la Storia ci ha deluso, non per questo è il momento di tirarci indietro, di abdicare alle nostre speranze (anche storiche), di disprezzare come inutili i gesti dalla carità e della condivisione. Ogni abbraccio (concreto, personale, ma anche politico) al lebbroso, al debole, all’emarginato, al migrante, all’oppresso, rende il mondo già ora migliore di quello che sarebbe se noi disertassimo quell’abbraccio, se non dessimo al nostro Dio mani e braccia e piedi e intelligenza e passione politica per aderire a quell’incontro. In questo senso la nostra fede è politica e millenaristica, senza avere la fretta delle rivoluzioni che possono anche rovesciarsi nel loro contrario; in questo orizzonte il nostro Dio (che non è riuscito a impedire la croce di Gesù di Nazareth ma gli è stato accanto, anzi, è stato dentro di lui, anzi (come hanno scoperto i teologi dei primi secoli) è stato lui; così egli vive ogni giorno (ed ogni notte!) nella storia.

Noi, con Gesù, siamo dunque chiamati ad essere gli Irriducibili. Che altro vuol dire credere la Resurrezione? Pur nella stanchezza, nella delusione, nella sconfitta, lasciamo che la Luce viva in noi per essere il Verbo, la Parola che crea un mondo nuovo: fin da ora. Se no la nostra vita è tutto tempo perso.