I matrimoni gay e i Don Abbondio del Pd

Pietro Adamo e Giulio Giorello
http://temi.repubblica.it/micromega-online/

Sabato 14 luglio l’assemblea del Pd si divide sulla questione dei matrimoni gay. Il Comitato dei diritti del partito, presieduto dall’onorevole Rosy Bindi, fa votare un proprio documento in cui si dichiarano ammissibili le unioni di fatto (seguendo la linea già proposta all’epoca dei DICO). Tuttavia, sia entro il comitato sia entro il partito, emergono altre posizioni, tra cui quelle che si esprimono in due ordini del giorno (promossi da Paola Concia e Ivan Scalfarotto) a sostegno del pieno riconoscimento dei matrimoni tra omosessuali. Questi ordini del giorno non vengono presi in considerazioni per pretese questioni procedurali. Come hanno rilevato i quotidiani, scoppia la bagarre, troncata e sopita dal segretario del Pd Pier Luigi Bersani: «Il paese non è fatto delle beghe nostre» (Corriere della Sera, 15 luglio 2012, p. 9). Peccato che il tema dei matrimoni tra omosessuali non sia una semplice bega interna al partito ma una questione di diritti di libertà e di qualità della convivenza civile. E non dovrebbe essere questo l’orizzonte di un autentico «partito democratico», cui stanno a cuore le sorti di una società aperta? (una società che ovviamente sarebbe tutt’altra cosa da quelle «democrazie» totalitarie a cui il PCI ha più volte reso omaggio nel corso della sua tormentata evoluzione).

L’ampliamento dei diritti civili, inteso al tempo stesso come difesa a oltranza dell’autodeterminazione degli individui e come allargamento della libertà di sperimentare le più diverse forme di ricerca e di stile di vita, sta diventando al di qua e al di là dell’Atlantico il nucleo di una politica capace di combattere consolidati privilegi e forme di discriminazione, sul piano della cultura, delle istituzioni e (più a rilento) della stessa organizzazione economica. Una politica del genere non sarebbe davvero di sinistra (se tale locuzione ha ancora senso)? Rientra in questo stesso orizzonte la questione della laicità, intesa qui come testarda resistenza a qualsiasi tentativo di discriminare sulla base di preferenze religiose di qualsiasi tipo (magari celate sotto pretesti di ordine filosofico o sociologico) cittadini e cittadine.

Ma a proposito della tumultuosa assemblea Pd siamo ancora a chi, come l’onorevole Giuseppe Fioroni, si compiace che l’unico documento votato dall’assemblea abbia «precluso la strada del matrimonio gay» (La Repubblica, 16 luglio, p. 6), facendoci in più la lezioncina «democratica» per cui sarebbero sostanzialmente irrilevanti quei «trentotto» che hanno votato contro quel testo. Vorremo ricordargli che i diritti degli individui non vengono determinati a maggioranza, proprio come, ai tempi di Galileo, sarebbe stato ridicolo mettere ai voti la scelta tra sistema tolemaico e sistema copernicano (se all’epoca fossero stati in maggioranza i Fioroni, si insegnerebbe ancora che il Sole gira intorno alla Terra). E qualcuno vorrebbe di grazia spiegare all’onorevole che la legittimazione dei matrimoni gay non obbligherebbe lui a sposare il suo vicino (maschio)? In realtà a ogni totalitario non importa tanto di potere scegliere liberamente, quanto di impedire che lo facciano gli altri. E sono proprio questi gli impedimenti che una forza che si pretende di sinistra dovrebbe coraggiosamente smantellare.

Non ci pare che il Pd finora si sia mosso con coraggio e chiarezza in questa direzione, a parte alcune vigorose prese di posizione di alcuni esponenti di quelle minoranze che per i vari Fioroni non contano un bel nulla. Né ci pare che una promettente politica di sinistra possa incarnarsi nella difficile convivenza tra ex comunisti, ex democristiani e laici post-berlingueriani, resa possibile solo pagando il prezzo del silenzio o praticando la bersaniana tattica dello struzzo. Se il Pd non riesce imboccare la strada che si è delineata più sopra, cos’altro gli resta? Una pallida imitazione dei tecnocrati conservatori cui siamo sin troppo abituati, o peggio, un complesso di più o meno squallidi comitati d’affari. Se le cose stanno davvero così, nulla impedisce ai «testardi» laici e libertari di lasciar che il Pd gratti pure le sue rogne. Guarderemo altrove.

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Ma quale “centrismo”

Felice Mill Colorni
www.criticaliberale.it

Magari la questione del matrimonio gay non sarà la più urgente di questi tempi in cui tutto potrebbe crollare da un momento all’altro, anche per insipienze della politica più gravi di queste. Ma anche molti di coloro che stanno criticando con più asprezza in queste ore Pd e Bindi per la patetica figura rimediata nella loro assemblea nazionale, con la vicenda del faticosissimo e penoso compromesso raggiunto all’interno della loro nomenklatura sulla questione del matrimonio gay, mostrano di non cogliere affatto quanto arretrate e primitive siano ormai diventate in Europa posizioni del genere. Anche commentatori noti si dimostrano vittime della distruzione del vocabolario della politica avvenuta in Italia negli ultimi vent’anni. Così, per esempio, due “blog d’autore” dell’Espresso on line.

Come si fa a parlare di «ubriacatura centrista» (Alessandro Gilioli) da parte del Pd? Anche per Alessandro Capriccioli «ormai è evidente che si tratta a tutti gli effetti di un partito di centro che con la sinistra ha poco e nulla a che spartire».

Centro? Centristi? Sveglia, documentarsi: non esistono nel resto dell’Europa occidentale partiti definibili come “centristi”, ma neppure partiti di destra mainstream e di governo, attuali o potenziali, che sostengano tesi analoghe o altrettanto arretrate e clericali di quelle di Bindi e Pd.

Va bene che, da ormai quasi vent’anni, una classe politica di semianalfabeti civili e un sistema corrivo dell’informazione ci hanno abituati – molti non ci fanno nemmeno più caso – a definire “centrodestra” uno schieramento che aveva fra le sue componenti costitutive un partito erede della Repubblica Sociale Italiana (cioè della fase nazifascista della parabola del fascismo storico, da cui il Msi traeva il proprio stesso nome) e uno apertamente razzista; e che ha avuto fra i suoi alleati i criptonazisti di “Forza Nuova” (appoggio nazionale contrattato in cambio della rinuncia alla presentazione della lista di questo “centrodestra” in una circoscrizione siciliana, per chi se lo fosse dimenticato). E sappiamo anche che per “centro” – caso unico in Europa e nel mondo – i nostri media intendono il più delle volte “clericale estremista”.

Ma, anche ammesso che “destra” e “sinistra” siano concetti ancora utilizzabili in questo inizio di secolo, è solo all’interno di questo ridicolo e autoreferenziale gergo politico italo-italiano che le posizioni del Pd e della Bindi in materia di diritti civili possono essere definite “centriste”.

Ricapitoliamo per i distratti e per i disinformati (cioè per il 99% del sistema politico-mediatico italiano). Il modello, variamente denominato ma adottato pressoché ovunque nel resto dell’Europa occidentale nell’ultimo quarto di secolo – e ormai anche in molte altre parti del mondo, non più solo occidentale; in Danimarca fin dal 1989 – nei paesi in cui non sia già previsto il matrimonio anche per le persone dello stesso sesso, prevede, con minuscole e insignificanti varianti, assoluta uguaglianza di trattamento per i contraenti di istituti variamente denominati “unioni civili”, “partnership registrate”, “Lebenspartnerschaft“, ecc., rispetto al trattamento previsto per i coniugi dal matrimonio, in ordine ai loro propri rapporti giuridici e patrimoniali.

Con minuscole varianti, e sia pure limitatamente ai rapporti giuridici e patrimoniali fra i partner, questi istituti non prevedono per i partner omosessuali un regolamento giuridico significativamente diverso da quello del matrimonio. In genere le due sole differenze riguardano la denominazione formale dell’istituto e la normativa sulla filiazione (in Germania tutto questo vale per la legge federale, ma, essendo poi la normativa sul welfare di competenza dei singoli Länder, c’è parità assoluta di trattamento anche in quel campo solo dove i democristiani non condizionano la maggioranza nei parlamenti locali: discriminare in materia di diritti sociali, specie di questi tempi, è dopo tutto ritenuto meno scandaloso che limitare i diritti civili).

Nell’Europa occidentale, tralasciando i microstati (Principato di Monaco, San Marino e simili – e il Vaticano ovviamente), una soluzione diversa e più limitativa è stata adottata solo in Francia, dove da anni è vigente il Pacs (il titolo originale del progetto era anche in questo caso “unione civile”), sorta di “matrimonio leggero”, con diritti e doveri attenuati, aperto però senza discriminazioni sia alle coppie eterosessuali che omosessuali, ed effettivamente utilizzato, in alternativa al matrimonio, più ancora dalle prime che dalle seconde. Anche in Francia, però, la nuova maggioranza ha preso l’impegno di adeguarsi entro il prossimo anno alla tendenza di tutto l’Occidente progredito, e a mettere fine all’esclusione della possibilità di contrarre matrimonio per gli omosessuali. Del resto, era stata in precedenza la maggioranza di destra, sotto Sarkozy, ad ampliare l’area dell’equiparazione fra coppie sposate e pacsate per quel che riguarda la potestà genitoriale.

Insomma, lungi dall’essere tipiche dei “centristi”, le tesi del Pd e di Bindi, nel resto dell’Europa occidentale, sono respinte anche dalle destre di governo attuali e potenziali.

Il primo ministro britannico Cameron, leader dei conservatori – in un paese in cui è vigente da tempo una legge del tipo (come sopra descritto) delle unioni civili – ha proposto di recente egli stesso di porre fine alla discriminazioni contro i gay per quel che riguarda il matrimonio e anche le adozioni.

E, pur dopo averne criticato l’introduzione ai tempi di Zapatero – molto più sommessamente di quel che si è fatto credere in Italia – il Partito popolare alla guida del nuovo governo di destra spagnolo si è ben guardato dal tentare di revocare il diritto a sposarsi dei gay in quel paese: anzi, per evitare equivoci e sospetti di estremismo clericale, si era espressamente impegnato a non farlo, in una campagna elettorale tutta incentrata sulla crisi economica. Altrettanto è accaduto in Portogallo.
A nessuna – proprio a nessuna – destra di governo dell’Europa occidentale – e tanto meno a qualche schieramento di “centro” – è passato per l’anticamera del cervello di architettare un progetto come quello a suo tempo denominato dal nostro “centrosinistra” dei “dico”: un progetto modellato esplicitamente sulla base dell’imperativo di denegare agli omosessuali la «pari dignità sociale» garantita a tutti i cittadini dall’articolo 3 primo comma della Costituzione italiana (quello relativo all’uguaglianza formale) che vieta, fra le altre, discriminazioni fondate su «condizioni personali» degli interessati.

Ancorché Bindi e parte (la maggioranza?) del Pd facciano sfoggio di ignoranza, continuando a ripetersela come dischi distrutti di vinile, la tesi cui si sono aggrappati per anni per giustificare le loro scelte antieuropee in questa materia, secondo cui l’art. 29 della Costituzione sarebbe di ostacolo alla legittimità costituzionale dei matrimoni fra persone dello stesso sesso, è stata alla fine categoricamente confutata proprio quest’anno dalla giurisprudenza della Cassazione, come già dalla Corte costituzionale (come noi avevamo argomentato in un saggio del 2002 su Critica liberale).

La cosa può stupire solo un troglodita civile: discriminare sulla base di una componente ascritta dell’identità individuale come l’orientamento sessuale è concettualmente identico – non simile, identico – a discriminare sulla base della “razza” o dell’etnia. Semplicemente, non si possono escludere, sulla base della loro natura e identità, intere categorie di cittadini dalla possibilità di stipulare un contratto o un negozio con effetti giuridici e patrimoniali, e farlo in nome di pregiudizi religiosi o di tradizioni autoritarie, violente e discriminatorie. Si potrà anche essere indulgenti, dal punto di vista psicologico, verso quei cattolici che non sanno come conciliare questa pacifica acquisizione della cultura civile occidentale contemporanea con l’insegnamento bimillenario della loro tradizione ecclesiale e del magistero cattolico, ma se ne dovranno fare una ragione, come si sono dovuti fare una ragione del sistema copernicano e della libertà religiosa degli eretici. Quel che è grottesco è che queste fisime da Medio Oriente profondo possano condizionare il sistema politico e i diritti dei cittadini in un paese dell’Europa occidentale – sempre che l’Italia si possa ancora considerare tale.

Ed è ancor più grottesco che queste fisime possano essere fatte proprie da un “centrosinistra” che, senza neppure rendersene conto, senza neppure sospettarlo, adotta posizioni molto più conservatrici, clericali, tradizionaliste e discriminatrici di quelle di tutte le destre di governo dell’Europa occidentale; e che, infine, un tale “centrosinistra” venga accusato dalla stampa progressista, che anch’essa non se ne rende conto e non lo sospetta, di essersi fatto così nient’altro che “centrista”.
Forse va ancora aggiunto, per i distratti e i disinformati, e per i politicanti ciarlatani che sono soliti pontificare su argomenti di cui ignorano tutto, che abrogazione delle discriminazioni in materia di matrimonio e introduzione di un nuovo istituto come le unioni civili (o pacs che dir si vogliano) non dovrebbero affatto essere considerate due mosse in contraddizione l’una con l’altra.

La prima è doverosa per affermare l’uguaglianza formale e la pari dignità sociale dei cittadini. La seconda è più che opportuna per rendere disponibile a tutti, eterosessuali e omosessuali, e in alternativa al matrimonio, uno schema di negozio giuridico più leggero del matrimonio e capace di soddisfare le esigenze poste dal pluralismo ormai consolidato in tutte le società occidentali, che non consente più, se non con una forzatura, di imporre il matrimonio come solo ed unico modo di regolare i rapporti giuridici e patrimoniali di tutti i nuclei familiari (volendo mantenere, come crediamo sia opportuno per prevenire abusi a vantaggio del partner più forte o derive comunitariste, il principio della tipicità dei negozi di famiglia); e, come sola alternativa, il nulla. Purché le unioni civili o pacs (per non dire degli oltraggiosi “dico”) non vengano gabellati come un’accettabile soluzione per assicurare parità di diritti e pari dignità sociale.

Anzi, una complessiva riforma del diritto di famiglia, oltre alla fine delle discriminazioni in materia di matrimonio e all’introduzione delle unioni civili, dovrebbe prevedere anche una protezione minimale e molto limitata nel tempo della parte economicamente più debole, anche nel regolare lo scioglimento delle unioni di mero fatto (ovviamente sia eterosessuali che omosessuali) protrattesi molto a lungo nel tempo.