Un nuovo modo di guardare la Chiesa. E il mondo di I.Colanicchia

Ingrid Colanicchia
Adista Segni Nuovi, n. 31 del 08/09/2012

A destra della basilica di San Pietro, sotto la tomba di Clemente XIII, in una piccola stanza decorata con i colori delle insegne papali, tra il 1964 e il 1965, nelle pause tra una seduta conciliare e l’altra, si incontravano per bere un caffè e scambiare impressioni le 23 uditrici invitate da papa Paolo VI a partecipare al Concilio Vaticano II. Era quello che le stesse uditrici chiamavano il “bar none”, il bar di nessuno (ma anche il bar della suora poiché in inglese none-nessuno e nun-suora si pronunciano allo stesso modo), per distinguerlo dal bar Abba e dal bar Jona riservati agli uomini.

È con aneddoti come questo, che arricchiscono di dettagli una minuziosa ricostruzione storica, che la teologa Adriana Valerio, docente di Storia del Cristianesimo all’Università Federico II di Napoli, ci introduce alle biografie delle 23 uditrici del Vaticano II cui ha dedicato il suo ultimo lavoro, Madri del Concilio. Ventitré donne al Vaticano II (Carocci editore, Roma, 2012, 16 euro, pp. 160, acquistabile presso Adista, telefonando allo 06/6868692, inviando una mail ad abbonamenti@adista.it o collegandosi al sito). Dieci religiose e 13 laiche chiamate, dal settembre 1964 al luglio 1965, a partecipare ai lavori conciliari.

Una presenza auspicata da taluni (come il cardinale belga Suenens che già nella seduta del 22 ottobre 1963 aveva proposto di invitare anche donne uditrici aggiungendo: «Mi pare che le donne costituiscano quasi il 50% dell’umanità!») e temuta da altri (come l’arcivescovo di Leopoli, Slipyj, che richiamò il divieto paolino: «Le donne tacciano in assemblea»), il cui significato andò ben oltre quel carattere simbolico che avrebbe dovuto rivestire nelle intenzioni di molti padri conciliari, lasciando segni importanti negli stessi documenti conciliari.

«La loro presenza – scrive Valerio – per quanto ridotta e limitata, è stata preparata da un lungo processo legato tanto alle pressioni esercitate dal mondo civile, quanto alle richieste di un mondo cattolico sempre più attivo ed esigente. Gli agguerriti gruppi di pressione per l’affermazione dei diritti delle donne, lo straordinario lavoro svolto dall’Azione cattolica che ha favorito nel laicato maturità e impegno, le lente ma significative trasformazioni in atto presso le comunità religiose femminili, i pioneristici movimenti liturgico, biblico, ecumenico e pacifista che hanno attraversato il Novecento e nei quali le donne sono state presenze attive, hanno portato linfa vitale, proposte, idee, provocazioni delle quali i padri conciliari hanno dovuto tener conto».

Scelte secondo criteri di internazionalità e rappresentanza, le 23 uditrici, per ciascuna delle quali Valerio traccia un sintetico ma esaustivo profilo biografico, parteciparono solo a due sessioni: la terza (settembre-novembre 1964) e la quarta (settembre-ottobre 1965). La loro influenza, sottolinea la storica, si rileva soprattutto in due documenti ai quali avevano lavorato a partire dalle sottocommissioni: «Le Costituzioni Lumen gentium, che sottolineava il rifiuto di qualunque discriminazione sessuale, e Gaudium et Spes, nella quale emergeva la visione unitaria dell’uomo-donna come “persona umana” e l’uguaglianza fondamentale dei due».

Ma il significato che il Concilio ha rappresentato per le donne va ben al di là dei pochi espliciti riferimenti presenti nei suoi documenti: «Ha significato una nuova metodologia nel rapportarsi ai problemi dell’umanità, riconsegnando dignità a ognuno, riconoscendo in ogni battezzato la funzione regale, profetica e sacerdotale, aprendo nuovi spazi di responsabilità e partecipazione all’interno della Chiesa, senza distinzione di sesso, di etnia, di cultura. Il Concilio – scrive la storica – non ha voluto definire, ma aprire finestre su un mondo in trasformazione, chiedendo alla Chiesa di rinnovarsi e di aggiornarsi».

Senza sciogliere però tutti i nodi. «Le questioni che Paolo VI avocò a sé (la regolamentazione delle nascite, l’ammissione delle donne al ministero e il celibato ecclesiastico) – prosegue Valerio – rimangono ancora oggi tabù nella Chiesa; su di esse c’è censura e paura di affrontarle. Gli interventi di papa Montini, confermati dai suoi successori, hanno pesato e pesano sulla vita dei cattolici. L’enciclica Humanae vitae (1968), dichiarando l’illiceità di alcuni metodi per la regolazione delle nascite, si distaccava dalla maggioranza delle posizioni conciliari e dei componenti della commissione di studio istituita già da Giovanni XXIII».

Nella commissione creata nel 1973 allo scopo di studiare la possibilità di conferire l’ordine sacro alle donne, continua Valerio, «furono imposte limitazioni alla ricerca e alla discussione, per cui si giunse alla “nota di minoranza”, atto di protesta di cinque donne che si distaccarono dai metodi intimidatori e manipolatori e, alla conclusione dei lavori, la Dichiarazione della Congregazione della Fede, Inter Insigniores (1976) chiuse qualunque possibilità, anche per il futuro, di accesso delle donne al ministero sacerdotale».

Infine, ricorda Valerio, nonostante la questione dell’obbligatorietà del celibato ecclesiastico, ripetutamente confermata, sembri non riguardare esplicitamente le donne, «in realtà investe la concezione negativa della sessualità e della figura femminile da tenere a dovuta distanza».

Nonostante tutto, conclude la teologa, «il Concilio ha rappresentato per la donna l’affermazione dell’uguaglianza fondamentale con l’uomo, il rispetto dovuto ai diritti fondamentali che la riguardano in quanto essere umano e il suo apporto indispensabile nella vita della famiglia, della società e della comunità ecclesiale».