A cinquant’anni dal Vaticano II. Intervista a Vito Mancuso

Pierluigi Mele
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L’11 Ottobre 1962 si apriva a Roma, in San Pietro, il Concilio Ecumenico Vaticano II. Un evento straordinario, nella storia della Chiesa contemporanea. Desiderato e voluto dalla sapienza lungimirante di Giovanni XXIII. Così, per ricordare a cinquant’anni di distanza, abbiamo pensato di dedicare a quell’avvenimento una serie di approfondimenti. Incomiciamo, oggi, con una intervista al teologo Vito Mancuso. Mancuso è una delle voci più interessanti nel panorama teologico italiano ed europeo.

Professore, non si è ancora spenta nell’opinione pubblica la grande risonanza che ha avuto la morte del Cardinale Carlo Maria Martini. In particolare ha suscitato, e continua a suscitare polemiche l’”intervista-testamento” del Cardinale uscita sul “Corriere della Sera” dopo la sua morte. Lei, in un articolo su “Repubblica” di domenica scorsa, ha giudicato alcuni interventi di esponenti cattolici come “operazione-anestesia” sulla figura di Martini. Cosa intende esattamente con queste parole?

Per “operazione-anestesia” intendo una prassi abbastanza consolidata all’interno della storia della Chiesa cattolica, anche recente. Ieri padre Alberto Maggi dei Servi di Maria, noto biblista, dopo aver letto il mio articolo, mi ha scritto dicendo che era presente ai funerali di don Lorenzo Milani, quand’era novizio, nel Duomo di Firenze, e di ricordare che il cardinal Florit parlava di don Milani come fulgido esempio di obbedienza alla Chiesa, lui Florit … che l’aveva ostacolato praticamente in tutti i modi fino al giorno prima, ecco … e Don Milani che aveva detto, come a tutti è noto, “l’obbedienza non è più una virtù”. Gli esempi potrebbero essere altri . E questo è un tentativo di riprendere all’interno del grande potere ecclesiastico le profezie scomode dei credenti che sono che si sono imposti, che sono stati amati e che sono ancora amati. Io semplicemente ho notato come, a partire da una settimana, praticamente dal giorno stesso del funerale insomma, quest’operazione è iniziata anche sulla memoria, sul messaggio del Cardinal Martini.
In particolare, su due cose: primo, togliendo tensione alle sue parole sulla Chiesa, togliendo la carica profetica e facendo sempre vedere come Martini fino in fondo abbia voluto essere del tutto conforme al potere ecclesiastico, il che è vero, non è che lui ha voluto fare l’anti-papa, ma è altrettanto vero che le parole che ha pronunciato, soprattutto da quando non è stato più Arcivescovo di Milano, sono lì, sono esplicite, sono chiare, non sono per nulla parole di applauso verso il potere, verso lo status quo ecclesiastico, basta leggere “Conversazioni notturne a Gerusalemme” per rendersene conto. E la seconda cosa sulla bioetica. Anche qui, la bioetica, in quest’articolo di Francesco d’Agostino su “Avvenire” poneva questa distinzione se c’è una bioetica pastorale che è quella di Martini che è una bioetica da parroco, tutto sommato, poi però c’è quella vera, quella teorica, dottrinale, che ha le sue esigenze e la Chiesa non si può attenere a questa bioetica che lui stesso definiva “fredda, dura, severa e tagliente” e con questi quattro aggettivi da brivido nel pensare a un’etica che voglia definirsi cristiana, che voglia essere all’insegna della misericordia, che è l’unica traccia che i cristiani possono seguire. E questo dimostra, così chiudo e mi collego al concilio, perché all’interno della Chiesa cattolica, e soprattutto italiana, l’atmosfera del Concilio, cioè del dibattito, cioè dell’assemblea, cioè del luogo in cui si possono anche manifestare delle opinioni contrarie, un luogo nel quale si può liberamente discutere, questo che è lo stile del Vaticano II si è perso, forse nella Chiesa italiana non c’è mai stato, ma di sicuro s’è perso in questi ultimi anni.

Veniamo al nostro tema. I Cinquant’anni dal Concilio Vaticano II. Recentemente il Cardinale Ruini, in una intervista al giornalista del “Corriere” Aldo Cazzullo, ha affermato sul Concilio: “Il Vaticano II è stato, come ha detto Giovanni Paolo II, la massima grazia ricevuta dalla Chiesa nel XX secolo. Proprio per questo è stato una sfida enorme, a volte mal compresa. Da ciò sono nati danni molto grandi”. E tra questi “danni” Ruini cita la crisi del clero, della vita consacrata, la crisi della forma cattolica della Chiesa. Cosa pensa di queste affermazioni? E inoltre: non nota una certa “afasia”della gerarchia a parlare del Concilio?

Allora, tre piccoli passi: il primo è che a mio avviso non c’è nulla nella storia e nella vita che avvenendo provochi cose positive e cose negative, è precisamente la legge dell’esistenza, un’esistenza fatta di tempo e di spazio, nella quale il sommo bene, il puro bene non è mai dato. Quindi, il fatto che un evento come il Concilio Vaticano II possa aver anche prodotto diciamo così degli sbilanciamenti, delle perdite di equilibrio, delle fughe in avanti, tutto questo ci sta, è una cosa che fa parte proprio del ritmo mediante il quale si muove la vita, anche perché occorre considerare che il Concilio Vaticano II si era messo in “mente” come incarico di fare da contrappeso come minimo a quattro-cinque secoli di totale chiusura della Chiesa gerarchica cattolica nei confronti della modernità. Quindi è chiaro che dovendo recuperare così tanto ci possa essere anche qualche squilibrio. Prima cosa che volevo dire. La seconda. Il Cardinal Ruini quindi afferma che c’è crisi del clero, crisi della vita religiosa e crisi della forma cattolica, sono le sue affermazioni. Allora la domanda è: il Concilio Vaticano II è la causa diretta della crisi del clero, della crisi della vita religiosa e della crisi della forma cattolica o piuttosto è stato semplicemente l’occasione nella quale la crisi si è potuta evidenziare, è diventata trasparente, si è potuto dichiarare che esiste, si sono scoperchiate una serie di situazioni che la rendevano comunque presente, ma … come dire … sottostante, un po’ sotto traccia, questa è la domanda a cui bisognerebbe rispondere, certamente questo non è il contesto, non c’è tempo per poterlo fare adeguatamente. A mio avviso, queste forme di crisi che sono reali, non le nego, ma non risalgono certo come prima causa al Concilio Vaticano II ma risalgono all’incapacità della Chiesa cattolica di “stare al mondo”, diciamo così. La chiesa non è una cosa diversa rispetto al mondo, la chiesa è un pezzo di mondo, un pezzo di mondo che tenta di coniugare il secolo, la mentalità comune, con gli ideali del Vangelo, ma astrarsi dal mondo per la Chiesa non è possibile, lo si capisce dal linguaggio, lo si capisce dalle strutture, Vogliamo parlare della Chiesa feudale, vogliamo parlare della Chiesa imperiale? La Chiesa da sempre ha portato con sé strutture, forme della mente, linguaggi, categorie, concetti, nel bene e nel male. La crisi quindi di questo “corpo” risale precisamente all’incapacità di essere in sintonia con lo sviluppo dei tempi, questa è la mia convinzione ed era del resto l’analisi di Giovanni XXIII perché se il Concilio Vaticano II è nato nella mente di papa Giovanni XXIII è stato esattamente a causa della presa di coscienza di una Chiesa non più all’altezza dei tempi e per voler creare quello che lui chiamava “aggiornamento”. Infine, terza cosa, l’afasia della gerarchia, era questa l’ultima questione. Secondo me, la gerarchia non è mai preda di afasie. La gerarchia cattolica parla, soprattutto in Italia, parla tanto, secondo me parla troppo, quasi ogni giorno … ma anche nei confronti del Concilio se ne parla, si fanno convegni, si fanno dibattito, ogni anniversario è buono, i quarant’anni dieci anni fa, i quarant’anni dall’inizio, i quarant’anni dalla chiusura, adesso i cinquant’anni dall’inizio, poi tra tre anni parleremo dei cinquant’anni dalla chiusura. Secondo me non è tanto quello, la vera questione è l’interpretazione, il modo in cui se ne parla, questa è la questione.

Una delle sfide che il Concilio si è trovato ad affrontare è stato quello del rapporto “, Chiesa-Mondo” (per meglio dire della Fede con la “Modernità”). Il Concilio è stato rimproverato di essere troppo ottimista. Concilio troppo “ottimista?

A mio avviso, dietro queste polemiche sull’ottimismo, il pessimismo della Chiesa, della Chiesa contemporanea, della Chiesa del Concilio verso il mondo, ci stanno due grandi problemi, uno di tipo storico e uno di tipo teologico. Il problema di tipo storico è quanto già prima in qualche modo accennavo, cioè il fatto che noi dobbiamo considerare perché è stato convocato il Concilio Vaticano II, per rispondere a quale esigenza, che cosa c’era prima e quello che c’era prima era una chiusura nettissima nei confronti di ogni valore che emergeva dal mondo e dalla coscienza della modernità. Tutte le grandi libertà democratiche che faticosamente nel ‘700, nell’ ’800, poi anche nella prima parte del ‘900, sono state conquistate dalla società umana, sono state molto spesso – direi – sistematicamente, sempre, avversate dalla Chiesa cattolica. E questo è il dato. Il dato è una chiusura nettissima della gerarchia cattolica nei confronti del, diciamo così, in una parola sola, del progresso democratico che la modernità ha portato con sé. Basta leggere il Sillabo di Pio IX, 1864, per rendersi conto di come ogni tipo di libertà democratica, a partire dalla libertà di coscienza, il suffragio universale, persino l’istruzione, persino la scuola pubblica, venivano criticate e condannate, senza alcuna possibilità di recupero.
Allora, di fronte a questo pessimismo potentissimo, per cui qualunque cosa emergesse dal mondo doveva essere condannata è stato troppo ottimista il Vaticano II? Di fronte a questo, il cuore pastorale di Giovanni XXIII si rese conto che senza un rapporto vitale con la modernità, con il mondo, la Chiesa semplicemente non poteva più portare avanti la sua missione evangelizzatrice, il rapporto con il mondo non è per la Chiesa un optional, la Chiesa non sta senza il mondo, è funzionale al mondo, la Chiesa è luce del mondo, è il sale della terra, è il lievito della pasta, e il lievito da solo non serve assolutamente a nulla, nessuno mangia il sale da solo, tutto ciò è funzionale al rapporto del lievito con la farina per fare il pane etc. etc. senza entrare sempre nelle metafore. Quindi, si tratta di recuperare questo, che nel recuperare questo ci siano, torno a dire, delle punte un po’ ingenue di ottimismo, questo ci può anche stare ed è anche normale, ma nessuno deve porsi di fronte ai testi magistrali di nessun tipo … quelli del Vaticano II, quelli del Vaticano I, quelli di Giovanni Paolo II, quelli di Benedetto XVI, quelli di qualunque tipo di pronunciamento magistrale con l’obbedienza assoluta alla lettera, non si tratta di giungere a questa visione assolutamente acritica per cui io devo sostenere la validità di ogni pronunciamento del Vaticano II, anch’io riconosco che ci sono dei limiti, per esempio, la non condanna del comunismo, vogliamo dirla tutto, ma anche la non condanna dell’antisemitismo, insomma ci sono tante cose che il Vaticano II avrebbe dovuto fare ma che non ha fatto, però quello che è decisivo è recuperare, questo sì, la consapevolezza che o la Chiesa ha un rapporto effettivo, organico, vero, fedele, nei confronti del mondo, capacità di dialogo, capacità di comprensione del mondo o semplicemente la Chiesa viene meno al suo compito istituzionale, decisivo, strutturale, che è quello di essere per il mondo. Ecco, questa è la questione decisiva.
Infine, posso accennare al fatto che questo discorso tra ottimismo e pessimismo che riguarda l’interpretazione dei testi conciliari è così vero che affonda le radici teologicamente parlando in alcuni testi del Nuovo Testamento, perché vi sono testi del Nuovo Testamento, visto come armonia e come perfetto governo, e mi riferisco per esempio al testo del Vangelo di Matteo laddove Gesù dice che tutti i capelli del nostro capo sono contati e che neanche un passero può cadere a terra senza che il Padre dei Cieli lo voglia, a significare proprio come esiste un governo effettivo su ogni singolo frammento della storia del mondo. Dall’altro lato, ci sono passi dei Vangeli nei quali appare che il mondo è governato da ben altra realtà che non il Padre celeste, è governato dal principe di questo mondo, o arkon tou cosmou toutou, dice il greco del IV Vangelo, per ben tre volte nel IV Vangelo si parla di un governo che è dell’avversario per eccellenza, del principe di questo mondo, di Satana, e allora il primo è del tutto ottimista, la prima versione, la seconda versione è del tutto pessimista, quindi il fatto che noi siamo qui a parlare di ottimismo o di pessimismo del Vaticano II non ci fa che toccare la dialettica che da sempre contraddistingue il messaggio cristiano nel suo rapporto col mondo.

L’Ecclesiologia del Concilio è quella di presentare la Chiesa come “Popolo di Dio” in cammino verso il Regno. Si tratta di una vera rivoluzione “copernicana” nella coscienza che ha di sé la Chiesa. C’è ancora questa consapevolezza?

Penso e spero proprio di sì, che nella consapevolezza, nella coscienza di tutti ci sia la precisa consapevolezza che la Chiesa non è il Regno. Non penso ci sia oggi qualche cattolico che guardando alla Chiesa così com’è, al Vaticano, alle diocesi, alle parrocchie, possa avere … come dire … l’illusione di ritenere che la Chiesa cattolica sia la pienezza, sia il Regno di Dio, è del tutto evidente che si tratta di un popolo di Dio, certamente abitato dalla presenza divina, ma di un popolo che ancora non è giunto alla pienezza ma è pellegrinante, è del tutto evidente questo, ma anche le affermazioni di papa Benedetto XVI spesso, così intrise di critica, talora di pessimismo sullo stato della Chiesa, lui stesso parla di carrierismo, parla di grandi polemiche interne, per le vicende legate al dolorisissimo capitolo pedofilia, tutto questo ci porta a dover essere grati al Concilio che ci ha fatto capire che la Chiesa non è il Regno di Dio, non è neanche la pienezza del corpo mistico di Cristo, ma è un popolo pellegrinante, in cammino, a volte nella direzione giusta, a volte nella direzione sbagliata.

Il Concilio ha fatto suo la “teologia del laicato”. Com’è lo stato del laicato nella Chiesa contemporanea? C’è spazio nella Chiesa di oggi per una fede adulta?

I laici nella Chiesa, spesso, quelli che ci sono, che prendono la parola, che parlano, spesso appaiono persino più clericali dei sacerdoti. Io conosco sacerdoti, monaci che sono profondamente laici nello spirito, e conosco laici sposati, laici cattolici, che sono più papisti del Papa. Il problema della laicità è anzitutto una forma mentale, un modo di saper coniugare la propria fede, la propria spiritualità con un mondo diverso, con un mondo plurale, con un mondo globalizzato, è questa la questione e la fede adulta a cui si riferiva nella domanda è proprio questa, è proprio la capacità di tenere presente l’idealità della dottrina con la complessità della realtà, e questo lavoro della mediazione è un lavoro che è necessario quanto mai soprattutto a chi voglia custodire dentro di sé una fede laica, una fede matura, capace effettivamente di parlare alle persone nelle situazioni concrete laddove si trovano. Se mi dice, poi, come stanno le cose a questo riguardo, beh, non sempre la Chiesa riesce a fare emergere una capacità interpretativa delle situazioni, spesso appare dottrinale, spesso appare intransigente, e proprio per riprendere quelle affermazioni di Francesco d’Agostino nell’articolo di Avvenire a proposito dell’ etica martiniana, spesso le affermazioni della Chiesa appaiono dure, severe, taglienti.

Cosa pensa di questa “rincorsa” verso i seguaci di Lefebvre?

Penso che più c’è unità nella Chiesa meglio è. Da questo punto di vista penso che sia da elogiare il tentativo di Paolo VI, di voler sempre tenere presente la minoranza, di voler giungere alla votazione dei documenti conciliari con la più ampia maggioranza possibile, evitare scismi. Io penso che un Papa debba fare questo, quindi non mi stupisce, anzi in un certo senso mi dà gioia, anzi mi rallegra il fatto che si cerchi da parte del Vaticano di mediare con quest’ala della destra tradizionalista, anticonciliare, naturalmente a due condizioni, primo che questa mediazione non sia svendita dei valori del Concilio, ma possa portare al fatto che i lefebvriani giungano ad accettare i grandi insegnamenti del Concilio, che sono la libertà religiosa, l’ecumenismo e la collegialità, altrimenti non è più – come dire – mediazione, ma svendita, e la seconda condizione è che questo tipo di attenzione da parte del Papa e in generale della gerarchia debba essere portata anche per l’altra parte, anche per l’estrema sinistra, non solo per l’estrema destra, mentre vedo molta attenzione verso l’estrema destra e nessuna verso l’estrema sinistra, anzi da questo punto di vista vedo sempre un tentativo di fare terra bruciata, basti pensare alla modalità con cui è stata trattata la Teologia della Liberazione.

Ultima domanda: Dopo cinquant’anni cosa ha dire ancora il Concilio all’uomo di oggi?

Io, quando penso al Concilio, ho un’immagine immediata che mi si crea nella mente ed è l’immagine di Papa Giovanni XXIII alla finestra che saluta i fedeli la sera dell’11 ottobre 1962, che erano lì per la fiaccolata di inizio del Concilio, questo saluto ai fedeli bellissimo, tra l’altro avvenuto in seguito all’altrettanto bello, importantissimo discorso di apertura della mattinata, laddove il Papa conclude con quella famosissima frase “tornerete a casa, troverete i vostri bambini, fate una carezza ai vostri bambini e dite questa è la carezza del Papa”. Ecco, io penso che quello che il Concilio può dare, la grande speranza che il Concilio ha messo nei cuori degli uomini e verso la quale sempre bisogna tornare è quella di una Chiesa che dà carezze, di una Chiesa che si sa chinare sui mali del proprio tempo, sulle complessità della vita, sulle difficoltà della vita e le lenisce con bontà, con misericordia, in modo carezzevole. Più la Chiesa è in grado di fare questo, di essere casa accogliente e carezzevole per tutti, più è la Chiesa del Concilio, più è la Chiesa di Gesù.