Il monopolio cattolico dell’ora di religione

Paolo Bonetti
www.italialaica.it| 27.09.2012

Le reazioni cattoliche alle dichiarazioni del ministro Profumo (che non mi risulta essere un noto anticlericale e tanto meno un nemico del cristianesimo) sull’ora di religione nella scuola italiana è l’ennesima dimostrazione della protervia, non del popolo cattolico, ma delle gerarchie vaticane nella difesa dei propri privilegi. Non parliamo poi di quegli esponenti del centro-destra sempre pronti a tirar fuori le radici cristiane della nostra civiltà, magari per coprire le magagne della loro politica e arraffare qualche voto in più con il sostegno dell’autorità ecclesiastica.

Purtroppo per loro, anche se viviamo ancora in regime concordatario, con norme scolastiche, fiscali, matrimoniali e di altro genere che assicurano alla Chiesa cattolica una vera e propria rendita di posizione, la religione cattolica non è più, come ai tempi dello Statuto albertino religione di Stato e non si vede, quindi, per quale motivo, il suo insegnamento debba essere fatto a spese dello Stato laico e per di più in regime di monopolio. La motivazione delle radici non regge per molteplici motivi.

Intanto, sempre nell’ambito del cristianesimo, io potrei avere le mie radici piuttosto in Lutero e Calvino che nel cardinale Bellarmino, l’inquisitore di Galileo; volendo poi mettermi in una prospettiva di umanesimo laico, le mie radici le potrei anche cercare nel pensiero di Giordano Bruno o magari nell’illuminismo di Voltaire e, perché no?, nel pensiero di Marx o di Darwin o di Freud o di altri ancora che hanno influito profondamente sul decorso della civiltà occidentale. Non parliamo poi della cultura classica pre-cristiana: ci sono molte persone che, senza disprezzare Gesù di Nazareth, si affidano piuttosto all’insegnamento di Socrate. Aveva ragione Croce, quando diceva che noi occidentali non possiamo non dirci cristiani, ma è altrettanto vero che non possiamo non dirci figli della cultura classica, dell’umanesimo, dell’illuminismo, del liberalismo, del socialismo e così via.

La storia dell’Occidente non è un’unica strada sulla quale si può viaggiare soltanto con l’autorizzazione del vescovo di Roma, ma un crocevia nel quale confluiscono, oggi, strade sempre più numerose e varie, sulle quali si possono incontrare messaggi religiosi e filosofici di ogni genere, che è bene conoscere fin dall’infanzia, per evitare che i viaggiatori, invece di intendersi sul codice comune che deve regolare questo traffico, finiscano con lo scontrarsi rovinosamente.

Veniamo, perciò, all’insegnamento dell’ora di religione come viene effettuato nella scuola italiana. In una società multiculturale e multietnica, questo insegnamento che già prima mostrava tutta la sua parzialità e insufficienza, è diventato un vero anacronismo culturale e civile, un indottrinamento nei dogmi di una particolare confessione religiosa (quella cattolica), mentre il mondo nel quale i ragazzi sono quotidianamente immersi non ha più le caratteristiche che poteva avere qualche decennio fa. Un monopolio cattolico, quello dell’ora di religione, che stride violentemente con il pluralismo della nostra società, non aiuta la convivenza civile e provoca sentimenti di istintiva ripulsa perfino nell’animo di molti ragazzi cattolici. Si dirà che, per coloro che non condividono quella fede, c’è sempre la possibilità di chiedere l’esenzione dall’ora di religione, ma, a parte il fatto che gli esonerati finiscono quasi sempre per essere relegati in una specie di ghetto vuoto di ogni contenuto formativo, il compito della scuola di Stato non è quello di separare gli alunni chiudendoli ciascuno nella propria area di appartenenza religiosa e culturale.

Questo lo possono fare le scuole private, di indirizzo confessionale o ideologico, ma non è ammissibile che lo faccia la scuola pubblica, che deve invece aiutare i ragazzi a conoscersi, a capirsi e ad aiutarsi al di là di ogni differenza etnica. E qui bisognerebbe di nuovo riprendere il discorso dell’educazione civica, che non è (se non per coloro che la criticano con evidente malafede) l’imposizione di una morale di Stato, ma un’opera paziente di civilizzazione che faccia capire a tutti che, al di sopra delle nostre differenti convinzioni religiose, filosofiche e politiche, ci debbono essere doveri comuni, regole di comportamento condivise, almeno se vogliamo sopravvivere come comunità capace di garantire le libertà a cui giustamente teniamo.

Infine, è davvero moralmente inaccettabile e costituzionalmente infondata la pretesa che i dogmi e la morale di una confessione religiosa, per quanto maggioritaria o presunta tale (su questo ci sarebbe molto da discutere), vengano insegnati, nella scuola pubblica, da maestri e professori pagati dallo Stato ma scelti dai vescovi, in modo tale che garantiscano una piena fedeltà alle direttive dell’autorità ecclesiastica. Capita talvolta che qualcuno di questi insegnanti, per una sua particolare apertura culturale e onestà intellettuale, trasformi il suo insegnamento confessionale in una storia delle religioni e dei loro rapporti con lo sviluppo complessivo della società. Ma si tratta di eccezioni lodevoli, spesso punite duramente da chi esercita un potere di sorveglianza e di censura su quelli che, per opera di una legge improvvida, sono ormai diventati insegnanti dello Stato alla pari di tutti gli altri.

E’ perciò necessario che, a questo cambiamento di stato giuridico, segua al più presto una radicale riforma dell’ora di religione, che deve diventare ora di storia delle culture religiose ed essere condotta su basi rigorosamente scientifiche, con insegnanti scelti senza alcuna interferenza ecclesiastica, e concludersi poi con una valutazione degli alunni simile a quella praticata per tutte le altre materie.