Il Concilio in un mondo in fuga di B.Salvarani

Brunetto Salvarani
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C’è una storia, inventata ma verosimile, che circola dalla fine del Vaticano II nella regione saldamente cattolica (e politicamente conservatrice) del Süd-Oldenburg, diocesi tedesca di Münster. Il suo protagonista è un contadino, che, alla conclusione dell’evento conciliare, sarebbe sbottato dichiarando a chiare lettere, davanti a un buon gruppo di fedeli concittadini: «Lasciate pure che quelli di Roma decidano quel che vogliono: io resto cattolico!».

La battuta è rappresentativa della sfida più gravosa che la Chiesa Cattolica si è trovata ad affrontare al Concilio, e negli anni successivi: convincere al proprio interno i credenti che per essa sia lecito, e talvolta doveroso, cambiare qualcosa, per essere più in linea con il mandato evangelico. Anzi, a dire il vero, non cambiare qualcosa di secondario, bensì addirittura lo stile delle proprie relazioni ecumeniche, interreligiose e con il mondo.

Quando Giovanni XXIII aprì il concilio – Pentecoste del nostro tempo, nella felice definizione di uno dei suoi testimoni ancora pienamente sulla breccia, il vescovo emerito di Ivrea Luigi Bettazzi – era l’11 ottobre 1962. Nelle prossime settimane si celebrerà dunque il mezzo secolo dal suo inizio. Esso ha influenzato largamente non solo la vita della Chiesa Cattolica (al suo interno e all’esterno), ma anche gli altri mondi religiosi, cristiani e non. Con le sue intuizioni, i passi coraggiosi, le contraddizioni, le questioni irrisolte: e soprattutto le speranze e le attese.

A dispetto di quelle speranze e di quelle attese, però, nonostante la generosità di tanti e i passi in avanti che, in ogni caso, sono stati compiuti, è innegabile che oggi il clima culturale generale, e la temperatura dei rapporti fra Chiesa Cattolica e religioni e ancora fra Chiesa Cattolica e mondo, siano profondamente cambiati. In peggio, sia chiaro! Il discorso sulle cause di ciò sarebbe lungo: in sintesi si potrebbe dire che al paradigma ottimistico si è progressivamente sostituito un paradigma opposto, fortemente negativo sulle possibilità di una fruttuosa, reciproca contaminazione.

Oggi le scienze, la tecnica ispirano sentimenti di paura e di smarrimento. Stiamo attraversando una stagione di trasformazioni rapidissime in tutti i campi, sull’intero pianeta. Siamo dominati da sensazioni d’insicurezza e di rischio, mentre il futuro, da promessa, si è convertito in minaccia. Mentre parecchi di quei profeti di sventura deprecati da papa Roncalli nel suo celebre discorso d’apertura proprio l’11 ottobre ‘62 hanno ripreso fiato, loro o i loro epigoni, rilanciando con fortuna il mantra di una lettura del tutto apocalittica della realtà (in particolare, dopo e alla luce della tragedia dell’11 settembre 2001). Di un mondo fondamentalmente malvagio, e votato alla catastrofe. In un panorama simile, anche le parole delle Chiese tutte appaiono estenuate, spesso incapaci di giustificare la loro presenza: che è quella di essere serve del Vangelo, di un lieto annuncio per cui la morte non è mai l’ultima vicenda, ma sempre appena la penultima.

Da qualche tempo è in atto un dibattito sul senso da dare al Vaticano II, se sia stata una vera e propria rottura rispetto al passato, o se piuttosto sia da considerare un’ipotesi di riforma, ma in continuità rispetto al passato della cattolicità. Inoltre, a cinque decenni di distanza, è lecito interrogarsi su quanto sia vivo e quanto sia morto, di esso; su quanto ne conoscono i giovani, e quanto ne percepiscano la portata, in ogni caso straordinaria.

Intanto qualcuno, non solo Raimon Panikkar ma anche il cardinal Martini, ha cominciato a chiedersi se non sia il caso di cominciare a immaginare una sorta di Vaticano III, che faccia sue le nuove sfide di questo mondo in fuga. Ecco dunque la necessità di una riflessione a tutto campo sul Vaticano II, guardando più al futuro che al passato! Letta nella storia lunga delle Chiese cristiane, la sua ricezione è appena cominciata, più che finita: è nelle mani di Dio, certo, ma anche in ciò che il Concilio stesso chiamò, con una bella immagine, il popolo di Dio in cammino nella storia.