Religioni a scuola – E se l’unica soluzione fosse l’abrogazione? di M.Vigli

Marcello Vigli
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La scarna dichiarazione del ministro Francesco Profumo – «Non cambieremo norme o patti» – pubblicata il 26 settembre sul sito del Corriere della Sera fa giustizia del clamore suscitato dalla diffusione della notizia sulla sua proposta di sostituire l’Irc (Insegnamento della religione cattolica) nelle scuole pubbliche con un’ora di storia delle religioni. È un’autorevole smentita delle intenzioni, o peggio delle proposte, che gli erano state attribuite.

Quelle parole in libertà potevano infatti essere interpretate in modi diversi, ma mai potevano essere prese sul serio. Nessuna persona minimamente informata ignora infatti che l’Irc ha uno statuto concordatario e che, come tale, può essere modificato solo d’intesa con la Santa Sede. Profumo non ne era informato, come hanno rivelato la sostanziale indifferenza della gerarchia a diversi livelli e le reazioni scomposte dei clericali e degli atei devoti.

Un’altra ipotesi potrebbe essere quella di volere deviare, con un ballon d’essai – che in questo caso si dovrebbe tradurre in balla – fuori dell’ordinario, l’attenzione della pubblica opinione dallo stato pietoso in cui si trova la scuola italiana in uno dei pochi momenti in cui le luci della ribalta si aprono su di essa.

Più dietrologica, ma non del tutto infondata, è l’interpretazione che farebbe giustizia dell’acume politico del ministro, pur se indirizzato ad uno scopo perverso: favorire una vittoria da tempo perseguita dagli integralisti, cattolici e no, in reazione alla soddisfazione di molti commentatori di diverso orientamento culturale e religioso, che però non si sono interrogati sul senso reale della sua proposta primigenia, e plaudivano un ministro della Repubblica che finalmente sembrava mettere in discussione l’ora di religione, materializzando la speranza che uno dei baluardi della ingerenza cattolica nelle istituzioni pubbliche potesse essere abbattuto.

Nessuna preoccupazione, anzi spesso altrettanto entusiasmo, per la sua proposta di introdurre l’insegnamento della storia delle religioni come necessario completamento della cultura scolastica in presenza di un aumento di alunni di diversa etnia e di diversa religione: perché non introdurre tale insegnamento come alternativa all’Irc, cancellandone il carattere facoltativo e introducendo un’opzionalità obbligatoria fra i due? Obbligatorietà che sconfitta dalla inequivocabile sentenza della Corte Costituzionale (che ha confermato il non obbligo di scegliere insegnamenti o attività diverse dall’Irc), tornerebbe dalla finestra aperta dal “fumo” del ministro Profumo.

Nel fumo della confusione culturale ci si muove, infatti, se non si riflette sulla funzione della scuola pubblica, che deve evitare di sposare una tesi non condivisa, restando cioè all’interno della logica concordataria. Facendo della religione un insegnamento, una “materia” scolastica fra le altre, funzionale alla formazione delle nuove generazioni, le si riconosce una specificità nella vita sociale e fra gli orientamenti culturali sulla quale convergono solo quanti sostengono il carattere “naturale” della religione. Le religioni si sono costruite e trasformate nel tempo come una rappresentazione della realtà a partire dalle condizioni ambientali e dai rapporti sociali, talvolta accogliendo la voce di un profeta capace di interpretare istanze diffuse. Nel loro darsi forme organizzate più o meno rigide, si sono proposte, pur se in misura ineguale, depositarie della verità, assumendo rigorose forme di inclusione. In questa prospettiva si deve certo presentare l’evolversi delle religioni, ma è compito dei docenti di storia nei diversi ordini e gradi di scuola darne conto nel quadro del cammino dei popoli e dei gruppi che le hanno “credute”. Delle manifestazioni artistiche e letterarie che hanno ispirato c’è ampio margine per darne conto nelle discipline esistenti.

Se finora così non è stato e ancora non è, è per un malinteso senso della laicità e per il prevalere nella cultura scolastica della scuola statale di pregiudizi propri degli orientamenti prevalenti negli anni in cui si è venuta formando e per la pretesa del cattolicesimo di non avere concorrenti.

Si può aggiungere che la storia delle religioni ha uno statuto autonomo come disciplina specialistica in sede accademica e sarebbe difficile tradurla in disciplina scolastica nei diversi ordini e gradi della scuola. Ogni tentativo di costruirla incontrerebbe difficoltà insormontabili per non scadere in apologetica di parte, perdendo cioè l’ineliminabile fondamento scientifico che ogni divulgazione deve mantenere per non essere mistificante. Che dire poi del divario fra licei e istituti tecnici? Nei primi può trovare un confronto con la storia della filosofia, negli altri sarebbe l’unica sede per i giovani di misurarsi con le “visioni del mondo” prodotte nella storia, con buona pace, e non solo, dei sistemi filosofici, ma anche delle moderne ideologie.

La scuola è una cosa seria, non si deve usare come palestra di confronto/scontro fra opposte visioni del mondo, ha il compito istituzionale di mettere i giovani in condizione di orientarsi fornendo loro strumenti critici adeguati e non schemi interpretativi precostituiti. Se la presenza del’Irc è, pur nell’attuale forma aggiornata, un’aperta violazione di tale funzione, anche una disciplina fondata sul presupposto, non scientificamente suffragato, della “specificità” del fenomeno religioso non ne elimina l’anomalia. Non c’è alternativa alla sua abrogazione.

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Il nodo del Concordato

Antonia Sani

Il ministro Profumo ha esternato una sua osservazione della realtà: nelle scuole sono tanti e tante gli alunni e le alunne di diversa appartenenza religiosa, anche alunni e alunne agnostici, non credenti, a volte solo succubi della scelte dei genitori, anche se in età in cui potrebbero scegliere in maniera autonoma se seguire o non seguire l’insegnamento della religione cattolica (Irc).

Il ministro proponeva, prima di correggersi, la sostituzione dell’ora di religione con un’ora di etica o di storia delle religioni. Si tratta di due opzioni diverse tra loro, e comunque entrambe non tali da sostituire un insegnamento religioso che poggia su presupposti di tutt’altra natura. Sostituire non è quindi un termine appropriato alla circostanza.

In Europa la situazione è piuttosto variegata. Vi sono Paesi in cui l’insegnamento religioso è inserito nell’orario obbligatorio a cura delle confessioni presenti nel territorio; in altri Stati non è contemplato alcun insegnamento religioso; nel Land di Berlino è previsto un insegnamento obbligatorio di Etica più un insegnamento facoltativo di varie religioni; lo scorso anno Tony Blair presentò un progetto di “dialogo interreligioso” promosso dalla sua fondazione, accolto entusiasticamente da Gelmini e Profumo.

La confusione tra fede religiosa e cultura si ripresenta in quest’esternazione del ministro Profumo in cui il Concordato era il “convitato di pietra”. Molti hanno plaudito all’esternazione del ministro, definita coraggiosa, l’avvio di un’inversione di tendenza. Ma in quale direzione?

Se non ci fosse stata marcia indietro, avrebbe dato il destro a una mossa astuta del convitato di pietra: un tavolo Cei-Miur per l’elaborazione di programmi per l’ora concordataria ispirati al dialogo interreligioso, con un po’ di storia delle religioni, principi di etica generale, intrecciati all’Irc. A questo punto perchè non scegliere l’ora di religione (magari mutandone il nome)? Quanti docenti di religione praticano già aperture al dialogo coi portatori di diverse culture? Senza contare che lo Stato, in un simile scenario, avrebbe potuto risparmiare la spesa per l’ora alternativa. Fondamentale per il Vaticano è che l’ora rimanga nelle sue mani, ben salda nell’orario.

Comunque noi che ci battiamo da 30 anni per una scuola laica, per una collocazione dell’Irc al di fuori dell’orario obbligatorio, non saremo mai disposti ad accettare un simile camuffamento, né a ritenere un’esigenza lo studio di storia delle religioni già inserito nei corsi disciplinari delle materie curricolari, né un insegnamento denominato “etica” dal momento che, prima, si tratterebbe di rendere effettivo l’insegnamento di educazione civica o alla cittadinanza, a tutt’oggi privo di spazio autonomo nell’orario.

* Coordinatrice associazione nazionale “Per la scuola della Repubblica”