Italia: nazione cattolica e corrotta di M.Vigli

Marcello Vigli
www.italialaica.it| 18.10.2012

L’Italia non è certo l’unica nazione in cui la corruzione è un “problema” politico e non solo una “questione” morale, ma è una delle nazioni che si dice, e pretende di essere, cattolica. I tanti buoni motivi, che in passato hanno indotto ad interrogarsi se esista un rapporto fra le due realtà, proprio in questi giorni sono stati rilanciati dall’arresto per corruzione a Bergamo di due responsabili della Compagnia delle Opere, braccio economico di Comunione e Liberazione, a sua volta partito ombra di quel Formigoni, protervo presidente della Regione Lombardia, coinvolto, più o meno direttamente, in episodi di grave corruzione.

Non vale la solita giustificazione che colpevolizza solo le mele marce: Cl è un Movimento ecclesiale riconosciuto dalla Santa Sede. Sono ben sette i vescovi italiani che vengono dalle sue file. Fra di essi l’arcivescovo di Milano e quello di Reggio Emilia, nominato recentemente per volontà del cardinale Ruini.

Ben più grave in questa ottica, però, è l’assenza di una martellante denuncia di questo male endemico della società italiana almeno pari al sistematico interventismo della gerarchia cattolica in difesa dei cosiddetti valori irrinunciabili. Questi, infatti, non il rispetto della legalità, della correttezza nelle relazioni sociali e nella gestione della “ cosa” pubblica, costituiscono la discriminante per essere considerato un politico degno del sostegno della gerarchia cattolica.

Non mancano certo eccezioni a questo comportamento, né all’interno della comunità ecclesiale, né fra i vescovi: quello di Agrigento, mons. Montenegro ha proibito le esequie in chiesa a Palma di Montechiaro per il boss Pietro Ribisi colpevole di essere stato in Cosa Nostra!

All’interno di una trilogia di documenti, note pastorali sull’educazione alla legalità, alla socialità e alla pace, quello Educare alla legalità predisposto dalla Commissione Ecclesiale Giustizia e Pace della Conferenza Episcopale Italiana approvato nel 1991 dal Consiglio Permanente della stessa, recitava ad esempio: Non meno inquietante è poi la nuova criminalità così detta dei “colletti bianchi”, che volge a illecito profitto la funzione di autorità di cui è investita, impone tangenti a chi chiede anche ciò che gli è dovuto, realizza collusioni con gruppi di potere occulti e asserve la pubblica amministrazione a interessi di parte.

Negli anni successivi, però, qualche convegno, qualche citazione, poi il silenzio, almeno a livello ufficiale…

I temi affrontati nella nota, sono diventati, invece, oggetto d’impegno per gruppi e associazioni cattoliche, prima fra tutte, Libera fondata da don Luigi Ciotti. Inquietante, però, è la constatazione che esse sono lasciate ai margini delle sedi accreditate del mondo cattolico senza che tale emarginazione a livello mediatico susciti una diffusa e indignata reazione nella comunità ecclesiale. Quest’ultima non s’identifica certo con la nazione, ma è indubbio che la sua presenza è determinante nel definirne i caratteri. Non è quindi arbitrario interrogarsi sul suo posto fra le radici della corruzione italiana, accanto alle altre variabili di natura culturale e istituzionale, che condizionano i processi economici, sociali, politici, e alle distorsioni presenti nelle artificiose procedure decisionali.

Non si tratta certo di offrire valutazioni sul piano quantitativo, ma certo un buon contributo al deficit di senso dello Stato, componente essenziale della acquiescenza nei confronti del sistema di corruzione generalizzata, viene dalla esclusiva identificazione di molti cattolici con la loro Chiesa, a cui, del resto, il regime concordatario riconosce pari sovranità, pur se non sempre ne praticano i precetti predicati nelle chiese, ma anche insegnati nelle scuole statali.

Forse proprio questa contiguità fra Stato e Chiesa, e le conseguenti compromissioni con i poteri forti, rendono meno efficace il messaggio di cui questa è portatrice, e inficiano gli esempi di disinteressato impegno sociale delle molte sue strutture che stanno rendendo più sopportabili gli effetti della crisi ai sempre più numerosi nuovi poveri da essa prodotti. Particolarmente in questa fase di disfacimento dello stato sociale.

Anch’esse in verità, se attingono ai finanziamenti pubblici per svolgere la loro attività, sono spesso sollecitate ad ignorare le normative vigenti o, peggio, sono indotte a trasgredirle per superare intralci burocratici provocati da meccanismi indecifrabili e complicate procedure.

Neppure a fin di bene, però, si può derogare dalla legalità perché di fatto si rafforza l’uso che, della corruzione, ha fatto un sistema. Se sulla moneta c’è l’effigie di Cesare, le tasse vanno pagate, ha risposto Gesù ai farisei; si legge nel Vangelo. Se il precetto valeva in regime di occupazione straniera, tanto più vale in regime di democrazia: se non si condividono le regole o le si ritengono ingiuste si deve solo impegnarsi per cambiarle.

Solo così la Chiesa può realizzare il suo desiderio di essere come un’arteria della società, per trasportare speranza, incoraggiamento, conforto e infondere nuova energia in tutta la società, come il corpo umano è vitalizzato dall’azione delle arterie e delle vene che trasportano ossigeno e nutrimento ed eliminano le scorie.

Sono le suggestive le parole pronunciate lunedì 15 ottobre da monsignor Miyahara, vescovo di Fukuoka in Giappone al Sinodo dei vescovi riunito in questi giorni in Vaticano per affrontare il tema La nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede cristiana.