Un alito di Concilio o un vento di rinnovamento? Pubblicati stralci delle propositiones sinodali

Eletta Cucuzza
Adista Notizie n. 40 del 10/11/2012

Un Sinodo rivelatore, sintomatico, quello che ha chiuso i battenti il 28 ottobre scorso. Tanto che mons. Rino Fisichella, presidente del Pontificio Consiglio per la Nuova Evangelizzazione (tema sul quale hanno dibattuto i vescovi riuniti nell’Aula Paolo VI), al Radiogiornale vaticano, il giorno dopo, ha detto: «La nuova evangelizzazione come tale è un serio esame di coscienza. Certamente, se siamo arrivati ad una situazione di crisi di fede come quella che noi constatiamo» e che è stata all’attenzione dell’assise episcopale, «significa che nel passato probabilmente diverse cose non hanno funzionato». Errori, dunque, vuoi di prospettiva, vuoi di «arroganza», secondo il termine usato dal filippino mons. Socrates B. Villegas (v. Adista Notizie n. 38/12). Santa ammissione, vien da esclamare, ed in tempo quasi reale, se paragonato al mea culpa giunto con un trecento anni di ritardo sulla sorte imposta a Galileo. E una cosa va messa in chiaro: con le “disfunzioni” della Chiesa il Concilio non c’entra se non perché poco studiato e poco applicato, non certo perché, come sostenuto dal card. Donald Werl – presumibilmente scelto da Roma quale Relatore del Sinodo per la sua linea conservatrice – nella Relatio ante disceptationem (v. Adista Notizie n. 37/12), abbia dato agio ad essere letto come una rottura con la Tradizione.

Per molti versi il dibattito sinodale ha segnato la distanza fra il vertice riunito in Roma e la realtà ecclesiale sparsa sul nostro pianeta. Per molti versi, ma con altrettante timidezze: questioni centrali come la parità della donna nella Chiesa, la libera scelta del celibato sacerdotale e la libertà di ricerca teologica, da anni richiesti dalla più viva base di credenti per una riforma che potrebbe raccogliere messe intorno al messaggio evangelico, sono state completamente (a quanto si sa) evitate. E tuttavia quello che si respira nelle 58 Proposizioni (consegnate al papa e rese note per volere di quest’ultimo in versione non integrale e solo in inglese, secondo quanto informa il Bollettino del Sinodo) e nel Messaggio finale è un alito di Concilio. Se poi ciò sarà sufficiente perché il messaggio di Cristo, così come portato dalla Chiesa pur con nuovo impulso, sia lievito per l’umanità e non pane raffermo, è un dubbio che avanza per esempio il preposito generale dei gesuiti, p. Adolfo Nicolás, nella “Riflessione sul Sinodo” affidata al Servizio digitale di informazione della sua Congregazione

Dubbio non archiviato dall’intenzione pur espressa nel Messaggio: «Sentiamo sinceramente di dover convertire anzitutto noi stessi alla potenza di Cristo (…). Con umiltà dobbiamo riconoscere che le povertà e le debolezze dei discepoli di Gesù, specialmente dei suoi ministri, pesano sulla credibilità della missione. Siamo certo consapevoli, noi Vescovi per primi, che non potremo mai essere all’altezza della chiamata da parte del Signore e della consegna del suo Vangelo per l’annuncio alle genti. Sappiamo di dover riconoscere umilmente la nostra vulnerabilità alle ferite della storia e non esitiamo a riconoscere i nostri peccati personali».

Guidi la stella del Concilio

La “presenza” del Vaticano II, di cui quest’anno ricorre il 50° dell’apertura, è diffusa, a dimostrazione del fatto che il Concilio, se a parere di molti non ha convertito la filiera del comando che è in Roma, ha plasmato, pur non in tutte le sue potenzialità, la pastorale della Chiesa in giro per il mondo. Le proposizioni esaltano per esempio la pari dignità delle Chiese locali – tema cui il Concilio ha dato grande impulso – nella collegialità dei vescovi in comunione con il papa. La proposizione n. 7 afferma che «ogni Chiesa particolare deve avere la libertà di evangelizzare secondo le proprie caratteristiche e tradizioni». Forte il riconoscimento ai laici: «Il Concilio Vaticano II individua quattro principali aspetti della missione del battezzato: la testimonianza della sua vita, le opere di carità e misericordia, il rinnovamento dell’ordine temporale e diretta evangelizzazione. (…). I laici cooperano al lavoro di evangelizzazione della Chiesa, come testimoni e, allo stesso tempo, come strumenti viventi partecipano della sua missione di salvezza. Perciò la Chiesa valorizzi i doni che lo Spirito fa ad ogni battezzato», «incoraggi e formi il loro zelo apostolico nella trasmissione della fede», anche istituendo «centri di formazione per la Nuova Evangelizzazione, dove i laici imparino a parlare della persona di Cristo in modo persuasivo e adatto al loro tempo e allo specifico gruppo di persone cui si indirizzano» o di cui sono parte (proposizioni nn. 45 e 47).

Per evangelizzare un mondo in grave credito di giustizia e di pace – altro punto qualificante del Concilio, che sollecitava a «promuovere lo sviluppo delle regioni bisognose e la giustizia sociale tra le nazioni» – i vescovi, alla proposizione 24, affermano che «grande attenzione deve essere data alla Dottrina sociale della Chiesa»: essa, attraverso lo strumento del “Compendium”, deve «permeare il contenuto della catechesi, dell’educazione cristiana, della formazione di seminaristi e religiosi, la continua formazione di vescovi e preti e specialmente del laicato». A «testimonianza della nostra fede nella bontà della creazione di Dio» e a servizio dell’evangelizzazione è importante la «salvaguardia del creato», ulteriore forma di giustizia, perché attraverso essa si dimostra «solidarietà con tutti gli esseri che dipendono per la vita e il sostentamento dai beni della creazione», «solidarietà intergenerazionale» e «chiara testimonianza del responsabile ed equo uso dei beni della Terra, nostra comune casa» (proposizione n. 56).

Ai poveri è dedicata la proposizione 31, senza il minimo accenno però alle strutture socio-economiche che determinano l’impoverimento di grandi masse: «Oggi – rilevano i vescovi – c’è un nuovo povero e ci sono nuovi aspetti di povertà: affamati, senzatetto, ammalati, abbandonati, tossicodipendenti, migranti ed emarginati, rifugiati politici, popoli indigeni. La presente crisi economica colpisce seriamente il povero. Fra i più poveri nella società contemporanea ci sono i bambini violati nella loro dignità di vita infantile». «L’opzione preferenziale per i poveri ci porta a cercare il povero e a lavorare in sua difesa in modo che nella Chiesa possa sentirsi a casa. I poveri sono sia i destinatari sia gli attori della Nuova Evangelizzazione».

In un mondo sempre più “piccolo”, dalle comunicazioni sempre più rapide, dalle migrazioni sempre più consistenti, anche per effetto di gravi ingiustizie, il dialogo interreligioso non può che essere «parte della Nuova Evangelizzazione». Alla Proposizione n. 53, i padri sinodali sottolineano che «la Chiesa invita i cristiani a perseverare ed intensificare le loro relazioni con i musulmani secondo l’insegnamento della Nostra Aetate», la Dichiarazione conciliare sul dialogo interreligioso. «Fedele all’insegnamento del Vaticano II, la Chiesa rispetta le altre religioni e i loro aderenti ed è felice di collaborare con loro in difesa e per la promozione dell’inviolabile dignità di ogni persona» (e proprio per l’“inviolabile dignità”, alla proposizione n. 10, si afferma che «la proclamazione del Vangelo, fatta nella sua integralità, deve essere offerta nel totale rispetto di ogni persona, senza cadere in forme di proselitismo»). In questo quadro «i padri sinodali riaffermano che la libertà religiosa è un diritto umano basilare». «Alla luce del riconoscimento del Vaticano II», si legge alla proposizione n. 16, e di fronte alla «crescente necessità di proteggere la libertà religiosa dei cristiani nel mondo, i vescovi propongono un rinnovato impegno nella diffusione dell’insegnamento della Dignitatis humanae» e nel considerare «l’opportunità di creare una commissione di leader ecclesiali in rappresentanza di varie Chiese locali, anche affidando questo compito al Pontificio Consiglio per la Giustizia e la Pace, sugli attentati alla libertà religiosa, finalizzata a ottenere accurata informazione per una pubblica testimonianza sul diritto fondamentale alla libertà religiosa e alla libertà di coscienza».

La famiglia e altre questioni

Che per la Chiesa la famiglia sia importante sotto ogni punto di vista è noto, ma tanto più lo è per l’evangelizzazione, nel passato come nel futuro, perché la trasmissione della fede avviene soprattutto nell’ambito familiare. Sostenerla in questo compito è necessario, ma ai padri sinodali appare un approccio insufficiente: bisogna comprendere e sciogliere nodi indilazionabili. La Nuova Evangelizzazione, si legge nella proposizione n. 48, «deve sforzarsi di affrontare importanti problemi pastorali riguardanti il matrimonio, il caso dei divorziati risposati, la situazione dei loro figli, il destino dei coniugi abbandonati, le coppie conviventi senza matrimonio e la tendenza della società a ridefinire il matrimonio. La Chiesa con cura materna e spirito evangelico deve cercare risposte adeguate a queste situazioni». Una impostazione piuttosto sorprendente e “morbida”, considerata la “guerra” che la Chiesa sta conducendo in varie parti del mondo contro l’istituzione di matrimoni o simil-matrimoni gay. Ma nello stesso tempo, ci si attendeva forse qualche raccomandazione in più a riguardo dei divorziati risposati, come richiesto in aula da diversi vescovi. Chissà che non ci sia qualcosa di più nella versione integrale delle proposizioni consegnate al papa.

Dei teologi si parla nelle proposizioni nn. 17 e 30. Nella prima, i sinodali «chiedono ai teologi di sviluppare una nuova apologetica del pensiero cristiano, che sia una teologia della credibilità adeguata alla Nuova Evangelizzazione». Nella seconda scrivono che «è necessario che essi pensino e sentano con la Chiesa (sentire cum Ecclesia). (…). Il Sinodo propone che la Nuova Evangelizzazione sia considerata come dimensione integrale della missione di ogni facoltà teologica e che sia istituito un dipartimento di studi sull’argomento nelle università cattoliche».

La proposizione n. 50 riconosce ai religiosi «un contributo veramente importante al lavoro di evangelizzazione della Chiesa». Tanto più «significativo» sarà ora se, chiedono i vescovi, la vita consacrata sarà «pienamente disponibile»,«pienamente evangelica ed evangelizzante, in profonda comunione con i pastori della Chiesa e in corresponsabilità con il laicato, fedele al proprio rispettivo carisma».

Le parrocchie sono coinvolte in vario modo e a più livelli, secondo i padri sinodali, nel lavoro di Nuova Evangelizzazione, come anche altre realtà ecclesiali, movimenti e associazioni. Ma sia per «le parrocchie tradizionali, sia per le nuove realtà ecclesiali» vale l’appello del Sinodo (proposizione n. 26) a «rendere visibile insieme la comunione della Chiesa particolare riunita intorno al vescovo».

Nella proposizione n. 46 trovano spazio le donne, le cui capacità i vescovi individuano nella «attenzione agli altri», nella capacità di «nutrimento e compassione», nella «dedizione alla trasmissione della fede in famiglia». Bontà sua, il Sinodo «ammette che oggi le donne (laiche e religiose) insieme agli uomini contribuiscono alla riflessione teologica a tutti i livelli e partecipano delle responsabilità pastorali in molti modi».

Un accenno alla proposizione 22, che chiama ad una ineluttabile «conversione»: «La Nuova Evangelizzazione richiede una conversione personale e collettiva, nuovi metodi di evangelizzazione e rinnovamento delle strutture pastorali», affinché «siano in grado di condurre da una strategia pastorale di mantenimento ad una posizione pastorale veramente missionaria», e dato che «non rispondono più alle esigenze del tempo attuale». (eletta cucuzza)

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Si poteva fare di più. Il generale dei Gesuiti fa un bilancio del Sinodo

Eletta Cucuzza
Adista Notizie n. 40 del 10/11/2012

Non era passato un giorno dalla chiusura del Sinodo sulla nuova evangelizzazione che è giunta, sull’evento, l’autorevole valutazione del preposito generale della Compagnia di Gesù, p. Adolfo Nicolás. Nell’intervista resa al Servizio digitale di informazione dei gesuiti (29/10), p. Nicolás espone un lucido bilancio, segnalando le ombre accanto alle luci.

Innanzitutto riferisce del suo sentimento precedente l’inizio dei lavori: «Devo confessare che avevo alcuni timori sul Sinodo prima del suo inizio. Mi domandavo: ci muoveremo nella direzione di parlare sempre delle stesse cose o saremo capaci di andare avanti con coraggio e creatività?». La risposta è altrettanto diretta: «La realtà del Sinodo è andata nelle due direzioni. Posso indicare alcuni aspetti positivi, ispiratori e incoraggianti e alcune insufficienze che indicano campi in cui la Chiesa, o almeno la consapevolezza dei Vescovi e degli altri Padri Sinodali, me incluso, ha ancora strada da fare».

Ed elenca i primi: «Apporti geografici. Questo aspetto si riferisce alla presentazione che ci ha dato il giusto senso della situazione, degli argomenti e, spesso, delle sofferenze di alcuni Paesi, in particolare il Medio Oriente, l’Africa o l’Asia. Uno dei migliori aspetti del Sinodo è il fatto stesso che i vescovi di tante nazioni hanno la possibilità di comunicare tra loro e scambiarsi liberamente le esperienze e il pensiero». A seguire, e rivelando fra l’altro alacri contatti fra i vescovi “dietro le quinte”: «Iniziative originali in corso, specialmente quelle basate sui progetti di cooperazione, di lavoro in rete e di scambi a livello internazionale, nei quali sono coinvolti a fondo e impegnati i laici e i movimenti. E questo non solo attraverso gli interventi nelle sessioni plenarie, ma soprattutto negli scambi informali e nei commenti sulle stesse iniziative al di fuori delle sessioni»; «riflessioni sui fondamenti, il significato e le dimensioni della Nuova Evangelizzazione», con alcuni punti di «grande convergenza» fra i quali «l’importanza e la necessità dell’esperienza religiosa», «l’urgenza di una buona formazione spirituale e intellettuale dei Nuovi Evangelizzatori», «il ruolo centrale della famiglia (Chiesa domestica) come luogo privilegiato per la crescita nella fede», «l’importanza della parrocchia e delle sue strutture che hanno bisogno di essere rinnovate per diventare sempre più aperte a un più vasto impegno e ministero dei laici».

Sostanziali anche le “insufficienze” segnalate da p. Nicolás, dalle quali peraltro egli stesso in quanto “padre sinodale” (per il suo intervento, v. Adista Notizie n. 38/12) non si tira mai fuori. «La voce del “Popolo di Dio” – constata – non ha spazio per essere ascoltata. È un Sinodo di vescovi e quindi non c’è molto spazio per la partecipazione dei laici, anche se sono stati invitati un certo numero di “esperti” e “osservatori” (auditores)». Come conseguenza «è stato difficile non pensare che questa era una riunione di “uomini di Chiesa che riaffermavano la Chiesa”, cosa buona in se stessa, ma che non rispecchia ciò di cui abbiamo bisogno in tempo di Nuova Evangelizzazione», e perciò c’è «il pericolo reale – teme p. Nicolás – di produrre sempre la stessa cosa».

Non è stato un bene poi la «mancanza di riflessione sulla Prima Evangelizzazione» e, di conseguenza, la «scarsa considerazione sul se e cosa abbiamo imparato dalla lunga storia passata e dagli aspetti positivi di essa, come pure dagli errori che abbiamo commesso. Questa omissione potrebbe avere conseguenze molto negative», conclude lapidario.

La «poca consapevolezza e/o conoscenza della storia dell’evangelizzazione» ha comportato anche una misconoscenza del «ruolo che hanno avuto in essa i religiosi e le religiose. In certi momenti la vita religiosa è stata ignorata o è stata ricordata solo di sfuggita. Non che noi religiosi abbiamo bisogno di ulteriori affermazioni, ma intendo esprimere la mia preoccupazione per il fatto che la Chiesa rischia di perdere la sua stessa memoria».

Ma «il punto forse il più debole del Sinodo è stata la metodologia che si è seguita» (ma non esplicita oltre). «Spero tuttavia – ha aggiunto – che la complessa realtà e le necessità del futuro aiutino la Chiesa a riorganizzare i suoi modi di procedere in vista di maggiori frutti apostolici».

Santità e salvezza fuori della Chiesa

Nel seguito dell’intervista p. Nicolás torna su un concetto contenuto nel suo intervento al Sinodo, dove aveva detto: «Mi spiace che abbiamo visto i segni della fede e della santità in un’ottica occidentale ed europea». «Ciò che voglio dire – spiega ora – è che ci siamo abituati a questi segni e siamo inclini a pensare che non ce ne siano altri. Se questo è il caso – si chiede –, non renderemmo Dio molto limitato, prevedibile e perfino ridotto alla capacità europea di “vedere” segni familiari della sua presenza e azione? Senza alcun dubbio sostengo che questi segni sono buoni, credibili e solidi. Il mio interrogativo riguarda ciò che possiamo aver perduto non scoprendo altri segni, per non essere sorpresi e in ammirazione all’azione creativa di Dio in “altri”, in gente di diverse culture, tradizioni e appartenenza etnica».

Ma «se c’è santità fuori della Chiesa», è la conseguente domanda dell’intervistatore, «non dobbiamo dire che c’è anche salvezza»?

«Naturalmente», risponde il preposito dei gesuiti. «Lo abbiamo sempre saputo. Fa parte della Libertà di Dio. Dio è libero di fare come vuole con la gente (uomini e donne) in ogni situazione e in ogni contesto. Gesù non ha avuto difficoltà nel riconoscere in un soldato pagano o in una donna straniera la profondità della fede che ha trovato invece mancante tra i suoi discepoli». «La mia più profonda preoccupazione – aggiunge – è scoprire in che modo Dio è al lavoro nell’uomo e come questi coopera con l’azione di Dio.”