Le elezioni e i sogni teocratici del Vaticano

Maria Mantello
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Le elezioni si avvicinano ed ecco la Chiesa – querulo assicuratore del voto di scambio – pronta a gettare sul piatto della bilancia i suoi diktat non negoziabili: salute, famiglia, educazione.

Cercando di piazzare come “naturale” la sua volontà di non separazione tra legge statale e confessionalismo religioso.

In sussulti teocratici pretende un potere senza spazio e tempo, perché – come proclamava nel medioevo – le deriverebbe da una rivelazione divina, di cui essa sola sarebbe depositaria e interprete. Così in nome di un’investitura misteriosa e senza limiti, vuole avere le chiavi del Tempio e dello Stato. Insomma un indiscusso potere di controllo politico, economico, sociale. E per questo punta i piedi (calzati rosso-Prada).

Chiusa nella sua gabbia di princìpi eterni, e quindi a-storici, essa però nella storia ci vuole stare e come, perché tutto e tutti siano conformati, normalizzati al suo catechismo.

Tuona contro l’illuminismo, la storicizzazione e secolarizzazione dei valori, in una parola contro la laicità, colpevole ai suoi occhi di aver aperto la strada alla relatività delle conclusioni. Ovvero di aver liberato l’umanità da quella cappa deterministica di supposti sacralizzati ed eterni moduli di uomo e di donna di cui santa-romana-chiesa si attribuisce l’appalto della denominazione d’origine controllata.

Questa Chiesa tutta Curia e Cei, sogna il ritorno al papa-re e non perde occasione per rilanciare il suo universalismo. Soprattutto in Italia dove tanti politici privi del minimo senso dello Stato per insipienza, ignoranza e malafede, si fanno paladini del peggior spirito clericale.

La curia vaticana sa di trovare terreno fertile. Per questo mesta le acque, entra nell’agone politico benedicendo le falangi per nuove ammucchiate centriste che facciano strame di quella laicità che garantisce la separazione tra “leggi umane” e “leggi divine”.

Una laicità che dopo i rocamboleschi esercizi aggettivali per addomesticarla (sana laicità, laicità positiva…), adesso è additata esplicitamente come minaccia.

È quanto ha dichiarato il cardinal Scola, aprendo di fatto la campagna elettorale il 6 dicembre usando l’ara sacra del duomo di Milano come piazza per esigere la superiorità della sua libertà di religione, rispetto ad ogni altra libertà.

E non a caso lo ha fatto riannodando le fila con quella chiesa costantiniana dell’in hoc signo vinces che nei fatti brandiva il cattolicesimo come religio più licita delle altre, e apriva il varco a secoli e secoli di persecuzioni contro i non conformi: o perché professano altri culti, o perché vogliono credere in modo diverso, o solo perché omosessuali, o donne a cui va stretto il modello ancillare del fiat mariano.

L’8 dicembre – nel giorno in cui la Chiesa celebra il dogma dell’Immacolata concezione della Vergine – a rinforzo, è stato emanato il discorso il Papa per la Giornata mondiale della pace.

Un discorso sulla pace, che sa però di dichiarazione di guerra al diritto dovere di essere proprietari della propria vita. Quello che la laicità garantisce ad ognuno, ma che il l’ex prefetto della fede Ratzinger considera relativismo e che per questo pretende sia negato per legge, perché tutti finalmente siano normalizzati nella «pace con Dio, nel vivere secondo la sua volontà».

Così in nome del dio padre si sacrifica il fratello, marchiato con le stigmate del diverso perché vuole programmare responsabilmente la nascita di un figlio, perché rivendica la famiglia dell’affettività che può vedere anche l’unione di due persone dello stesso sesso, perché non vuole essere costretto a passare il suo fine vita in un letto irto di tubi.

Come tutto questo possa arrecare «offesa contro la verità della persona umana, una ferita grave inflitta alla giustizia e alla pace», come sentenzia papa Ratzinger non è soltanto del tutto relativo, ma anche lontanissimo da quella carità cristiana, che tanti cristiani, che si guardano bene dal nominare il nome di Dio invano, continuano a considerare un valore per la loro fede.