Le donne nell’agenda Monti

Anna Picciolini
www.womenews.net

Lascio a qualcuna con le competenze economiche che io non ho il compito di analizzare quale sia l’impatto di genere dei provvedimenti previsti dall’agenda Monti. Qui vorrei sottolineare come tutto il documento sia sostanzialmente gender blind, pensato e scritto da qualcuno che non “vede” come gli effetti delle leggi, da quelle finanziarie a quelle sui diritti, hanno effetti diversi su uomini e donne.

Non vorrei insistere troppo sul linguaggio: conosco la fatica dei continui tentativi di superare il “maschile inclusivo” che si pretende universale. Conosco lo stupore negli occhi di quasi tutti i compagni e purtroppo anche di molte compagne, di fronte alle richieste di cambiare documenti e volantini. Non posso chiedere a Monti e ai suoi quello che non riesco ad ottenere da chi mi sta più vicino. Nell’agenda dunque il termine “cittadini” comprende anche le cittadine, “lavoratori” include le lavoratrici, e, ovviamente, “giovani” viene usato con l’articolo maschile plurale…

A parte il paragrafo specifico a noi dedicato la parola “donne” compare solo nel paragrafo sul lavoro, nel solito stupido elenco: giovani-donne-lavoratori anziani come “categorie più colpite dalla crisi”.

Il paragrafo specifico contiene una serie di luoghi comuni frutto di un’impostazione dei problemi che delle donne non vede neppure il lavoro svolto per sostenere la vita materiale di tutti e tutte. L’insistenza su una presenza maggiore delle donne nel mercato del lavoro, da cui ci si aspetta un significativo aumento del Pil, significa anche non vedere i limiti del Pil come unico strumento di misurazione della ricchezza di un Paese. Come ormai sappiamo le donne italiane sono meno presenti sul mercato del lavoro (produttivo e retribuito) rispetto alle altre europee, ma in complesso lavorano più delle altre se si considera il lavoro domestico e/o di cura, che sta fuori dal mercato del lavoro e non è retribuito. Il nostro problema non è quello di essere o no “dentro” il mercato del lavoro, ma che tutto il nostro lavoro, quello svolto per il mercato e quello svolto gratuitamente in famiglia e nelle relazioni, sia riconosciuto. Non sono le donne a doversi collocare nelle attività il cui calcolo contribuisce alla formazione del Pil, sono le categorie economiche che dovrebbero essere cambiate.

Anche la divisione in tre paragrafi diversi di donne, welfare e famiglia (dove si parla di welfare familiare) conferma l’ottica gender blind, l’incapacità di vedere i soggetti, uomini e donne, e le relazioni asimmetriche degli uni e delle altre nella famiglia e nel sistema di welfare.

I soggetti di cui si parla sono soprattutto soggetti collettivi, le imprese, le professioni, le categorie, se sono soggetti individuali sono tutti al maschile (ovviamente inclusivo).

Centrali i “cittadini-consumatori” posti al centro delle scelte di politica economica e la cui qualità di vita e possibilità di scelta verranno migliorate da una economia più efficiente e innovativa grazie alla concorrenza. Che intere aree del consumo siano nelle mani e sulle spalle delle donne evidentemente non fa parte dell’analisi.

Ma è tutto il testo, fin dall’inizio, a rivelare un atteggiamento gender blind: fra i valori che costituirebbero il “denominatore comune delle forze europeiste” manca l’antisessismo. Le discriminazioni contro cui si dovrebbe lottare sono l’effetto di atteggiamenti, che vanno condannati ancor prima che producano effetti. Manca anche, ed è altrettanto grave, l’antirazzismo (la xenofobia e l’antisemitismo non sono la stessa cosa).

Un’osservazione curiosa: il paragrafo “donne”, anche nella versione ufficiale, mantiene traccia delle “revisioni”: chi l’ha corretto, chi aveva scritto una o più precedenti versioni, e com’erano, non è dato saperlo. Probabilmente, dopo che mani maschili avevano scritto la maggior parte del documento, si è chiesto a mani femminili di intervenire “sul tema specifico” secondo una prassi molto diffusa.

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»Quale leader politico è disposto a firmare un contratto con le donne del Sud Italia?

Rosy Canale *

Quali sono i programmi che le varie formazioni politiche hanno pensato per il rilancio delle iniziative al femminile nel sud Italia? Quali sono i progetti? Vogliamo vederli, vogliamo essere parte nella scrittura di iniziative rivolte al nostro mezzogiorno.

Ci sono delle esperienze che meritano si essere ricordate se non addirittura prese come esempio o modello riproponibile. Parlo del Movimento delle donne di San Luca, nato come associazione all’indomani della strage di Duisburg e divenuto col tempo un riferimento di cambiamento e trasformazione con un animo tutto al femminile.

Parlo di San Luca, il paese aspromontano cristallizzato nella sua immagine di roccaforte della malavita calabrese. Ma San Luca in fondo non rappresenta solo se stesso, ma una terra alla deriva di se stessa: la Calabria, ultima figlia di un Sud Italia dimenticato.

Il Sud in cui sono nata e cresciuta è una realta’ da terzo mondo d’Europa. Il divario socio economico con il Nord, che orami è divenuto un divario esistenziale, è stato alimentato dalle logiche discriminanti di alcune fazioni politiche che per anni ci hanno umiliato e beffato.Sotto gli occhi dei potenti che li appogiavano rendendoli personaggi. Strutture primarie assenti o insufficenti.Anziani malati con le valige in mano per tentare i viaggi della speranza verso “u nord”. Fughe di cervelli perche privi di ogni opportunità. Collegamenti impossibili. La SA-RC è una trappola mortale, in una storia senza fine che si ripete da oltre 30 anni. Treni soppressi, destinazioni impossibili, carrozze fatiscenti e luride. Vivere di espedienti, ogni giorno per 365 giorni all’anno. Il bisogno si trasforma in disperazione e la disperazione in rabbia. La malavita prende piede divenendo spesso una conseguenza e non la causa, al contrario di cio’ che molti vogliono far credere.

La Calabria serve cosi, una popolazione disarmata e sottomessa. Da poter dominare e spremere quando occorre. Il bisogno non va soddisfatto ma cavalcato, utilizzato come deterrente per tenere in pugno i deboli che si comandano meglio. Lo hanno fatto i politici locali, spogliando la madre terra e violentandola senza pieta’. Lo continuano a fare i politici nazionali, imponendo nomine e candidature. Cosi ci trattano da sempre.

Quando i calabresi diranno basta? Ma ci sono cittadini che hanno deciso di organizzarsi. Che si sono rimboccati le maniche e che hanno fatto della rinascita una ragione di vita. Persone che hanno dato esempio: le donne di San Luca e moltissime donne calabresi che seguono i nostri programmi.

In quanto portatrice sana di un’esperienza straordinaria fatta di donne calabresi e dedicata alle donne del Sud Italia mi chiedo: quali sono i programmi che le varie formazioni politiche hanno pensato per il rilancio delle iniziative al femminile nel sud Italia? Quali sono i progetti? Vogliamo vederli, vogliamo essere parte nella scrittura di iniziative rivolte al nostro mezzogiorno.

Chiediamo un confronto, aperto, cristallino. Vogliamo sapere cosa conoscete delle reali problematiche legate ai singoli territori, alla loro quotidianità. Vogliamo essere protagoniste e non spettatrici passive del cambiamento, che pretendiamo a questo punto della storia.

Quale leader politico è disposto a firmare un contratto con le donne del Sud Italia? Un protocollo d’intesa con un sostegno che non si dissolva dopo le elezioni. Dei punti chiari e degli obiettivi ferrei da ottenere in un tempo concordato.

Parlo a nome di tutte le donne calabresi che insieme a me fanno riferimento ad un cammino di rinnovamento, di tutte quelle realtà associazionistiche del Sud Italia che condividono con noi valori ed iniziative, e chiedo ai leader politici di sottoscrivere un contratto a sostegno di opportunita’ di sviluppo e riscatto per il mezzogorno d’Italia.

* Rosy Canale, libera cittadina, Presidente Movimento Donne San Luca e della Locride
Dal 15 ottobre è in libreria Rosy Canale- Emanuela Zuccalà, La mia ’ndrangheta, Edizioni Paoline